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Lunedì 21 GENNAIO 2019
Ecco perché il Patto per la scienza di Burioni non mi ha convinto
Il “patto” proposto dal prof. Burioni è una operazione retorica e più esattamente metonimica perché deduce una idea ingannevole di medicina da una idea generica di scienza, quindi altrettanto ingannevole. Questo è visibilmente scorretto e molto poco scientifico
Pochi giorni fa il prof. Burioni ha proposto un patto per la scienza sottoscritto da Beppe Grillo e da Matteo Renzi. Come era prevedibile ciò ha causato un grande clamore mediatico che, però ahimè, non aveva a che fare con l’oggetto del patto, cioè con la “scienza” ma con i suoi improbabili sottoscrittori tanto improbabili da fare scalpore.
Se “quel” patto, a parità di contenuti, fosse stato sottoscritto da gente normale non avrebbe avuto nessun risalto, del resto, come vedremo, esso non propone nulla di particolarmente nuovo e di particolarmente interessante anche se è una occasione da non sprecare per parlare di medicina.
La scienza sottointesa
Che la scienza, in una operazione mediatica, come indubbiamente è quella del patto, resti sottointesa, cioè non faccia notizia, ripropone una questione che non mi stancherò mai di condannare e che definisco: quella del suo uso opportunistico che, si badi bene, non riguarda solo la politica ma anche tutti coloro, compreso i supposti o sedicenti “scienziati”, che perseguono fini non scientifici per mezzo della scienza, ma facendo credere che i loro interessi siano esclusivamente scientifici.
Sia chiaro: non è vietato servirsi della scienza, se lo fosse nessuna industria farmaceutica potrebbe produrre farmaci e i medici non potrebbero fare il loro mestiere, quello che dovrebbe essere vietato è il suo uso disonesto cioè l’inganno, di qualsiasi tipo esso sia, attraverso la scienza.
Coloro che si servono della scienza hanno l’obbligo dell’irreprensibilità.
Quando questo obbligo non è rispettato si corre il rischio di danneggiare la scienza o meglio la fiducia delle persone nella scienza.
Tornando al patto, se la scienza è usata dalla politica per fare la guerra sui vaccini o fare la pace sui vaccini, per me non fa alcuna differenza, perché, in entrambi i casi, sono sicuro che, prima delle sue ragioni, vengono quelle, per le quali, la politica ritiene vantaggioso, per se stessa, fare o la guerra o la pace.
Ontologia della medicina
Il “patto” proposto dal prof. Burioni in realtà è una operazione retorica e più esattamente metonimica perché deduce una idea ingannevole di medicina da una idea generica di scienza, quindi altrettanto ingannevole. Questo è visibilmente scorretto e come vedremo molto poco scientifico.
Il “patto” si riferisce infatti ad un concetto troppo generico di scienza. In tale concetto rientrano tutte le scienze che studiano le leggi di natura (nomotetiche) ma anche quelle che studiano le singolarità dei fenomeni(idiografiche), le scienze cd “esatte” ma anche quelle empiriche e ancora quelle umanistiche. Quindi un calderone.
La medicina, rispetto alle numerose classificazioni delle scienze disponibili, non è una “scienza normale” come le altre, (il riferimento ovviamente è a Khun) nel senso che:
- ambisce ad essere una scienza nomotetica ma suo malgrado è inevitabilmente idiografica,
- come scienza nomotetica non è una scienza esatta ma al massimo è una scienza per approssimazione,
- non è solo una conoscenza della natura ma è anche conoscenza dell’essere e della persona, quindi ontologia e conoscenza filosofica,
- non è solo oggettività e neanche solo soggettività, ma relazioni,
- non è solo metodologia ma è anche pragmatismo e empiria,
- non è solo natura ma anche cultura,
- non è solo fatti ma anche fenomeni,
- non è solo giudizio ma anche consenso.
Inoltre la medicina, non è una scienza nel senso di un singolo sapere ma piuttosto è uno “scatolone” (meta-conoscenza) che tiene insieme una congerie di conoscenze, tra loro coordinate e usate in modo pragmatico tanto dal malato che dal medico. Essa è decisamente una “scienza anormale”.
Ora dedurre da una idea di scienza normale i postulati di una medicina comunque anormale, non è un inganno epistemico da poco. L’ontologia della medicina è deducibile solo ed esclusivamente dal proprio essere anormale altrimenti per essa non sarebbe possibile distinguere una cellula da una persona.
Per il patto del prof. Burioni la cellula e la persona sono indistinguibili quindi sono ontologicamente la stessa cosa. Equivoco tutt’altro che irrilevante. Oggi nessuno di noi è disponibile ad essere ridotto ad una cellula.
La crisi antimetafisica
Il patto, che io avrei sottoscritto volentieri, avrebbe dovuto riguardare “quale medicina” nel nostro tempo, dal momento che, nel nostro tempo, innegabilmente stiamo vivendo, in diretta, la crisi di una medicina, auspicata, più di un secolo fa, come scientifica quindi come una scienza esatta ma che si è rivelata suo malgrado tutt’altro.
Ciò che oggi è in crisi è la pretesa della medicina positivistica di valere come una scienza metafisica (conoscenza assoluta). Oggi la crisi della medicina ha un marcato tratto anti-metafisico. Per milioni di persone normali essa non è più una scienza assoluta.
Essa pur nelle sue verità scientifiche è sempre un pensiero relativo sia a chi la pratica sia a chi ne usufruisce e per di più fortemente sensibile ai contesti.
Con l’espresssione “scienza esatta” si possono intendere generalmente due definizioni diverse:
- una scienza che risponde a qualsiasi domanda nel proprio ambito con rigore e risultati esatti, misurabili, riproducibili ed esprimibili in modo analitico ed oggettivo,
- una scienza che, per il suo rigore metodologico (metodo scientifico),è in grado di produrre risultati e predizioni con un'accurata espressione quantitativa.
La medicina, purtroppo, non ha nessuna delle caratteristiche di una “scienza esatta”, essa è una conoscenza stocastica (non semplicemente probabilistica), che dipende spesso dal casuale, dall’aleatorio, dal singolare, dal contingente, dalla storia individuale, dal contesto, dalle culture disponibili.
Verità para-consistenti
Se la medicina fosse una scienza esatta per curare le malattie basterebbero dei computer. In questo caso i computer sarebbero imbattibili. I medici servono proprio perché essa non è una scienza esatta e, per le stesse ragioni, servono financo le opinioni dei cittadini, cioè il confronto con le loro verità empiriche.
Oggi i cittadini sono coloro che “falsificano”, in senso popperiano, le verità della medicina. Oggi episteme e doxa sono complementari. Oggi il rigore metodologico è normalmente smentito dalla complessità ordinaria del malato cosa che in medicina mette in crisi il valore assoluto della procedura in tutte le sue forme quale garanzia fondamentale di scientificità.
Oggi invece alcuni, come il prof. Burioni, invece di affrontare la complessità di una conoscenza stocastica e di una logica para-completa, puntano ad imporre una medicina inesatta come se fosse esatta, attraverso procedure, algoritmi, obblighi di legge, avvalendosi di evidenze scientifiche come se queste fossero verità dogmatiche e apodittiche, quando in realtà non lo sono.
La maggior parte delle evidenze scientifiche hanno lo sgradevole inconveniente di essere vere in certi casi e di non essere vere in altri. Dipende dal malato con cui si ha a che fare. Per questo sarebbe bene considerarle verità paraconsistenti cioèsempre relative ad un certo grado di complessità.
E’ noto a tutti che la tomba delle evidenze è il malato complesso. Questo non vuol dire sia chiaro che dobbiamo rinunciare ad avere delle evidenze scientifiche e a non essere scientifici, tutt’altro, vuol dire solo che dobbiamo imparare ad usarle dentro eque epistemologie cioè come verità discrete che per essere davvero vere sono obbligate a fare i conti con il reale. Cioè ad essere più realiste dei loro valori sperimentali.
Oggi la società chiede un maggiore realismo ma oltre i laboratori.
Esitazione sociale
Maggiore realismo significa fare i conti con lacune, contraddizioni, dis-conferme, discontinuità, differenze singolarità.
Questa società, empiricamente, ha compreso, in milioni di modi diversi attraverso milioni di individui diversi, la para-consistenza delle verità della medicina e per questo “esita”.
L’esitazione di cui si parla a proposito di vaccini è un problema che riguarda tutta la medicina. Questa società “esita” nei confronti di una scienza proposta come esatta quando esatta non è. “Esita” nei confronti dell’inganno epistemico. Per questo parti significative di essa, “esitano” nei confronti dei vaccini.
Se essa “non esitasse” davanti ad una medicina proposta come scienza esatta quando esatta non è essa non esiterebbe nei confronti dei vaccini. Oggi molti cittadini “esitano” semplicemente difronte ad un qualsiasi farmaco figurarsi difronte a 10 vaccini obbligatori da somministrare ai propri figli.
Personalmente sottoscriverei volentieri un patto che, per rispondere all’esitazione sociale, rinunciasse all’inganno epistemico proponendo una definizione di scienza medica realistica restituendole il diritto, come impresa gnoseologica e assiologica, alla fallibilità.
Medicina politica e società
Il patto proposto dal prof. Burioni va esattamente nella direzione opposta, perpetuare l’inganno epistemico, negare la società come interlocutore, negare i suoi problemi di esitazione, negare tutte le complessità in gioco.
Non a caso esso nei suoi 5 punti si rivolge esclusivamente alla “politica” per chiederle, sostanzialmente, di coprire l’inganno epistemico, di vincere l’esitazione dei cittadini obbligandoli con le leggi ad accettare una idea irreale di medicina.
Questo non è solo semplicemente ingannevole ma è una follia e non ci porta da nessuna parte ma soprattutto è destinato a far crescere il disincanto della società nei confronti della scienza e in particolare della medicina.
Al contrario si tratta di pensare ad un “patto” per parlare alla società e ai cittadini per farci carico del problema dell’esitazione sociale, (vedi il mio blog su il Fatto Quotidiano del 10 gennaio 2019), per ripensare la relazione tra medicina e società e per ricostruire un rapporto fiduciario esattamente quello che a causa dell’inganno epistemico e molto altro, oggi abbiamo perso.
Alla politica chiederei ben altro:
- di ripensare la formazione universitaria quindi i contenuti e i programmi di studio,
- di insegnare ai medici a ragionare nella complessità, nelle relazioni a usare la conoscenza ontologica, a comprendere i problemi dell’evidenza scientifica, il valore del consenso informato ecc, ecc.
Cioè alla politica non esisterei a chiedere due cose:
- una riforma della medicina,
- la risoluzione della “questione medica quindi un nuovo medico.
Pseudo-scienze
L’altra cosa che del patto mi ha colpito negativamente è il punto 2 dove si reintroduce in modo subdolo la famosa questione delle pseudo-scienze con l’intento di sbaragliare “le terapie non basate sulle prove scientifiche”.
Tra le “pseudoscienze” del prof. Burioni rientra l’omeopatia che, dati alla mano, rappresenta la seconda medicina dopo quella scientifica maggiormente praticata al mondo.
A parte il fatto che nel nostro paese l’omeopatia non fa parte dei livelli essenziali di assistenza, quindi essa è una scelta libera del cittadino, ma mi chiedo come fa una persona sana di mente a chiedere alla politica di mettere fuori gioco un patrimonio scientifico a sua volta (anche se in modo diverso) tanto importante, ma soprattutto a privare miliardi di cittadini della libertà di scegliere la propria cura? Ma mi chiedo anche come si fa a sottoscrivere una simile assurdità?
Ammortizzatori sociali
Vorrei invitare, i sottoscrittori del patto, a immaginare cosa potrebbe capitare se la politica, alla quale si rivolge il prof. Burioni, decidesse, con una legge, di mettere al bando l’omeopatia, perché considerata una terapia non basata sulle prove scientifiche.
L’effetto, credete a me, sarebbe un disastro. In primo luogo ci sarebbe una rivolta sociale, in secondo luogo i cittadini avrebbero una sola medicina di Stato fondata peraltro sull’inganno epistemico, in terzo luogo avremmo fatto fuori l’unico ammortizzatore sociale oggi disponibile nei confronti del problema dell’esitazione sociale.
Il prof. Burioni dovrebbe ringraziare l’omeopatia, l’agopuntura, quindi le medicine complementari, perché queste, davvero come un ammortizzatore sociale, si fanno carico, a scala di milioni e milioni di cittadini, di compensare le loro tante insoddisfazioni nei confronti della medicina ufficiale.
E bene ha fatto la Fnomceo a tutelare deontologicamente i medici omeopati considerandoli semplicemente una estensione di quelli scientifici. Cioè un complemento, scientifico a suo modo, nei confronti della medicina a sua volta, a suo modo scientifica.
La scienza non è solo conoscenza ma è un modo di essere della conoscenza.
Che differenza c’è tra una scienza inesatta e una pseudoscienza?
Ma a parte questo mi chiedo e chiedo al prof. Burioni e ai suoi incauti sostenitori: se l’evidenza scientifica è ordinariamente una prova fallace cioè empiricamente falsificabile e se la medicina non è una scienza esatta e se la pseudoscienza è a sua volta una scienza inesatta, dove passa la differenza tra una scienza inesatta e la pseudoscienza?
C’è il rischio che se insistiamo a ritenere la medicina una scienza esatta quando non lo è, agli occhi di questa società essa possa essere considerata a sua volta una pseudoscienza. Del resto, chiedo ancora, secondo voi l’esitazione nei confronti della medicina scientifica di vasti settori della popolazione da dove nascerebbe? Più si insiste a proporre una medicina falsamente esatta e infallibile, più i cittadini sono autorizzati a considerare la medicina scientifica una pseudoscienza e quindi a cercare la soluzione ai loro problemi altrove.
Quale prova e quale metodo?
A questo punto vorrei rassicurare il prof. Burioni, è ovvio che:
- non possiamo rinunciare ad avere delle evidenze quale prove di verità,
- non possiamo rinunciare ad un metodo per verificarle,
- dobbiamo rimarcare una differenza tra scienza e pseudoscienza,
ma a due condizioni:
- la demarcazione tra scienza e pseudoscienza non può passare come propone il prof. Burioni per una prova scientifica paraconsistente, cioè l’evidenza, ma deve passare per una prova pragmatica inconfutabile che per me è il risultato, cioè deve passare per un criterio controllato tanto dal medico che dal malato,
- non si tratta di essere liberi dal metodo perché a sua volta paraconsistente ma proprio perché è paraconsistente si tratta di essere liberi nel metodo cioè nel suo uso (Fayerabend). Liberi vuol dire autonomi come medici di interpretarlo, per assicurarsi sempre, che esso sia adeguato al malato nella sua singolarità.
Evidenze senza verità
In sostanza per essere ancora più chiaro:
- una evidenza (qualsiasi essa sia) è vera solo se funziona,
- di evidenze oltre la “prova scientifica” cioè l’esperimento ce ne sono altre di genere diverso,
- il metodo non può essere vincolante in modo assoluto.
Se una evidenza è adeguata al proprio metodo e ai propri criteri di verificazione, quindi scientificamente corretta, ma sul caso concreto non funziona, in linea teorica resta tale, ma sul piano pratico è una evidenza senza verità e il metodo in questi casi deve essere, nel primario interesse del malato, interpretato.
Il criterio pragmatico del risultato
Proviamo ora a fare una cosa diversa da quella che propone il prof. Burioni, cioè a fissare la demarcazione tra scienza e pseudoscienza sul risultato empiricamente verificabile, in questo caso:
- tutto quanto dà un risultato verificabile è scienza,
- tutto ciò che non dà un risultato verificabile, è pseudoscienza.
A questo punto sfido il prof. Burioni a negare con le sue evidenze scientifiche che milioni di milioni di cittadini abbiano avuto grazie all’omeopatia o all’agopuntura, dei risultati soddisfacenti.
Cioè a negare quelle che potremmo definire le verità di fatto dell’omeopatia per distinguerle dalle verità di ragione della medicina ufficiale. L’omeopatia ha le proprie evidenze, la propria metodologia, e il tentativo del prof. Burioni di delegittimarla usando altre evidenze, altre metodologie è epistemicamente scorretto perché, come ho già avuto modo di chiarire, l’omeopatia e la medicina scientifica non sono epistemicamente commensurabili (QS 18 ottobre 2018).
Esse vanno assunte come due paradigmi che pensano la malattia e il malato da postulati totalmente diversi tanto diversi da essere poco confrontabili.
È il modo di usare la conoscenza che fa la scienza
Il vero problema dell’omeopatia è la circoscrivibilità del suo impiego nel senso che l’omeopatia diventerebbe una psuedo-scienza solo nel caso in cui essa fosse del tutto inappropriata alla malattia da curare. Per me l’omeopatia che cura il cancro si propone di fatto oncologicamente come pseudo scienza. Ma lo sarebbe solo perché non darebbe risultati, ma non perché non è scientifica.
Questo vuol dire che in tutti i casi dove essa è usata con risultati positivi essa in nessun modo può essere considerata una pseudo-scienza proprio perché dà risultati.
Insomma a decidere la scientificità di qualcosa non è solo il metodo, l’evidenza, come propone il prof. Burioni, ma anche l’uso che si fa della conoscenza. Ciò pone il problema inedito delle modalità. La scienza è un certo modo di essere della conoscenza.
Cosa conviene al cittadino
Ora mettiamoci nei panni di un cittadino, a costui cosa conviene? Al cittadino di oggi conviene:
- sempre il risultato,
- interessa poco se chi lo cura ricorre a diversi generi di evidenze,
- che la medicina impari a rendere compossibili le verità nomotetiche con le verità idiografiche,
- che natura e cultura trovino una nuova relazione attraverso la quale dialogare,
- essere compreso nella sua complessità e come complessità essere adeguatamente curato,
- la modalità dell’adeguatezza che è altra cosa da quella dell’appropriatezza.
Le mignatte non sono attuali
Da oltre 30 anni vado dicendo ciò che l’altro giorno con mia grande soddisfazione ha dichiarato la professoressa Maria Luisa Villa ordinario di immunologia all’università degli studi di Milano “non siamo più nell’epoca del positivismo. Sappiamo di poter sbagliare. Dobbiamo imparare a rispondere ai dubbi della gente”. (La Verità, 15 gennaio 2019).
Non conosco personalmente la professoressa Villa ma immagino, leggendo la sua intervista, che anche lei, come me, il patto proposto dal prof. Burioni non lo avrebbe sottoscritto.
Non ho nei confronti del prof. Burioni nessuna avversione. Egli come me ama la scienza ma ha semplicemente una idea di scienza e di medicina diversa dalla mia. Pur non conoscendolo di persona è un tipo di medico medio a me molto famigliare. Egli è la proiezione ortogonale di una certa medicina che ha il solo difetto di essere rimasta ferma nel tempo accumulando gradi crescenti di regressività e che a causa di ciò, oggi necessita di un profondo ripensamento.
I patti sulla medicina vanno fatti al futuro non al passato cioè non possono essere conservativi come se la medicina fosse un monumento da restaurare ma devono essere innovativi perché la medicina particolarmente oggi deve risolvere la propria crisi di credibilità, per la quale il restauro non basta.
Il patto del prof. Burioni mi fa pensare ad un medico, per restare in tema, che continua a prescrivere al proprio malato “mignatte” in luogo di farmaci ipotensivi.
Oggi le mignatte sono scientificamente inattuali quanto socialmente inaccettabili per cui non mi si può criticare se io, difronte ad esse, esito.
Conclusione: la medicina della scelta
In chiusura vorrei richiamare, a beneficio non solo del prof. Burioni, due elaborazioni che chi discute di medicina e di patti non dovrebbe ignorare, a mio parere degli autentici “breakthrough” che sono:
- la riforma della deontologia proposta dall’ordine di Trento,
- le 100 tesi pubblicate dalla Fnomceo per dare vita alla discussione sugli stati generali della professione medica.
Esse si propongono di avviare un discorso nuovo sulla medicina e per questo, entrambi, sono state costrette, per i loro fini, a fare il punto sulla medicina scientifica, sui suoi problemi, sulle sue aporie, sulla sua crisi, fino a proporre tesi per una sua ridefinizione ovviamente da discutere.
Nel lavoro di Trento la medicina è definita come:
- un sistema di conoscenze scientifiche e umanistiche di natura complessa, che si avvale della razionalità del buon senso e della ragionevolezza,
- che ammette eccezioni, deroghe, interpretazioni, integrazioni, nei casi in cui le conoscenze scientifiche disponibili non funzionano o sono in contraddizione con i fatti clinici,
- nei confronti della quale è dovere del medico garantire modalità adeguate.
Nelle 100 tesi ci viene proposta nei confronti della tradizionale definizione di medicina una svolta: la “medicina della scelta”. Essa è costruita passo dopo passo attraverso ben 35 tesi (93.0/93.35) e che invito tutti a leggere e a discutere. (Le 100 tesi sono scaricabili da questo giornale).
Mi limito a citare la sinossi che apre le tesi: “Per connotare una idea diversa di medicina rispetto a quella classica del paradigma positivista si propone di usare l’espressione “medicina della scelta”. Se il malato è un mondo a molti mondi, una complessità, un insieme di potenzialità, una singolarità, cade il presupposto metafisico del positivismo, che è quello della scelta clinica a senso unico resa obbligatoria da un unico universo con un unico decisore. Oggi la scelta non riguarda solo il medico ma anche il malato e per di più essa come scelta compartecipata nei confronti della complessità impone di scegliere di più non di meno, e quindi impone nuove autonomie e nuove responsabilità. Per queste ragioni il concetto di scelta è assunto come emblematico di una nuova idea di malato e quindi di medicina. La scelta è quindi un concetto radicale che in sé riassume il senso del cambiamento.”
Sulla “medicina della scelta”, un patto con il prof. Burioni, lo sottoscriverei senza esitazione.
Ivan Cavicchi
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