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Mercoledì 28 NOVEMBRE 2018
Specializzandi: la Presidenza del Consiglio non risarcisce se non è citata in giudizio

Nulla di fatto (per ora) per la richiesta di risarcimento in base alle norme Ue di 34 medici perché il bersaglio della domanda era sbagliato: il Miur invece della Presidenza del Consiglio. Le sezioni unite della Cassazione (sentenza 30649/2018) cassano la sentenza della Corte d'Appello, accolgono il ricorso della Presidenza del consiglio e fanno chiarezza sul tema della autonomia dei rapporti sostanziali e processuali all'interno dell'amministrazione statale. LA SENTENZA.

La richiesta del pagamento secondo le direttive europee da parte dei medici specializzandi deve essere rivolta alla Presidenza del consiglio e non al Miur. Se per sbaglio questo avviene, l'errore dell'organo legittimato passivo può essere risolto seguendo precise regole processuali che non possono essere ignorate dal giudice. Questo quindi non può condannare al risarcimento del danno la Presidenza del Consiglio senza che abbia partecipato al giudizio.

Il fatto
Trentaquattro medici specialisti che avevano frequentato le scuole di specializzazione in varie Università italiane negli anni accademici tra il 1982/1983 e il 1990/1991 conseguendo i relativi diplomi, hanno citato in giudizio il ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) per ottenerne la condanna al pagamento della “adeguata retribuzione” prescritta dalle direttive CEE (n.362 e 363 del 1975 modificate dalla n.76 del 1982) per l'attività svolta nei periodi di frequenza dei corsi di specializzazione.

Il ministero, anche se costituito in ritardo, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto e nel merito contestava la fondatezza della domanda.

Il Tribunale accoglieva il ricorso di 32 dei 34 medici, ma il MIUR impugnava la sentenza e la Corte d’Appello in parziale accoglimento dell'appello principale proposto dal ministero e in parziale riforma della sentenza impugnata, respingeva le domande formulate nel giudizio di primo grado da altri tre medici, rideterminava le somme dovute per gli altri secondo la legge 379/1990 e condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri, individuata d'ufficio come “ripartizione statale competente”, al pagamento delle somme (oltre interessi legali) in favore degli attori originari attori tranne tre.

La Presidenza del Consiglio a questo punto è ricorsa in Cassazione denunciando denuncia, con unico motivo, la violazione di molteplici norme di diritto e la nullità della sentenza d'appello per averla condannata nonostante non fosse mai stata evocata in giudizio e non avesse quindi potuto contraddire nel processo: per poter partecipare a un giudizio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve necessariamente essere citata e non può subire un subentro automatico e non conosciuto nel processo.

La sentenza
La Cassazione nella sentenza 30649/2018 (sezioni unite) ha spiegato che:
a) quanto alla violazione dei limiti della devoluzione, la doglianza si mostra non sufficientemente specifica, tenendo conto che, diversamente da quanto genericamente postulato nel ricorso circa l'oggetto delle censure svolte in appello dal Ministero, dalla sentenza impugnata risulta che con il secondo motivo di appello il Ministero aveva dedotto la non spettanza in favore degli attori della remunerazione adeguata richiesta, evidenziando fra l'altro come il tribunale avesse operato una inammissibile manipolazione della normativa di attuazione della disciplina comunitaria, facendo ottenere agli attori utilità non previste dalla normativa nazionale;

b) conseguentemente, non può dirsi che la corte di merito abbia rilevato d'ufficio la questione relativa alla non spettanza in favore dei medici appellati della retribuzione prevista dal D.Lgs.257/91, e ciò preclude anche l'applicazione del disposto dell'art.101 comma 2 cod.proc.civ.;

c) inoltre del tutto impropria si mostra la denuncia di violazione dell'art.115 comma 1 cod.proc.civ. in relazione a una eventuale mancata contestazione ‘delle richieste’ degli attori, posto che la norma richiamata si riferisce a fatti specifici allegati, non alle domande;

d) inammissibile, in quanto integrante errore revocatorio rimediabile ex art.395 n.4 cod.proc.civ., si mostra il motivo di ricorso per Cassazione concernente la erronea esclusione, da parte della corte di merito, di un fatto (messa in mora anteriore alla citazione) che risulterebbe invece dagli atti”.

In sostanza la Cassazione ha accolto il ricorso della Presidenza (accogliendo solo alcuni ricorsi che hanno seguito le vie corrette e respisngendo quindi gli altri) del consiglio e ha fatto chiarezza sul tema della autonomia dei rapporti sostanziali e processuali all'interno dell'amministrazione statale. Per l'inadempimento dell'obbligo della trasposizione della direttiva, la responsabilità compete allo Stato “e per esso alla Presidenza del consiglio dei ministri quale articolazione dell'apparato statuale che è legittimata a rappresentare lo Stato nella sua unitarietà”. Ma i medici hanno rivolto la propria azione contro il Miur, soggetto non legittimato a rispondere delle conseguenze del mancato recepimento delle direttive comunitarie.

La Cassazione richiama l'interpretazione del citato articolo 4 della legge 260/1958 fatta in passato sempre dalle Sezioni unite (sentenza 3117/2006): per i giudici questa norma consente di rimediare proprio a errori commessi nella individuazione dell'organo competente a rappresentare lo Stato, resa difficoltosa dal fatto che l'ordinamento “contempla una molteplicità di organi” dotati di una “specifica legitimatio ad causam in relazione alle loro rispettive competenze”.

Quindi rileva che la non corretta instaurazione del rapporto processuale è solo una irregolarità che deve essere eccepita dall'Avvocatura dello Stato nella prima udienza con la conseguente concessione di termini per la rinnovazione dell'atto nei confronti dell'organo legittimato, salva la facoltà per quest'ultimo di intervenire. In questo caso l'Avvocatura “tardivamente eccepiva il difetto di legittimazione”, senza la possibilità di rinnovare l'atto nei confronti della Presidenza del Consiglio. Quindi la Corte d'appello non avrebbe potuto condannare la Presidenza del consiglio, che non aveva partecipato al giudizio.

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