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Martedì 02 OTTOBRE 2018
Numero chiuso a Medicina. I dubbi degli infermieri
“Prima che sul numero chiuso è sicuramente necessario intervenire sull’organizzazione del lavoro e di questo il Servizio sanitario nazionale che, ormai soffocato dalle carenze di organici, ne ha davvero bisogno”.
La Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), prende posizione sull’idea di abolizione del numero chiuso nelle facoltà di medicina che, scrive in una nota, “non coinvolgerebbe solo i medici, ma anche le professioni sanitarie che a queste facoltà fanno capo”.
Prima questione da affrontare per Fnopi è la capacità delle nostre Università di affrontare un eventuale fine della selezione all’ingresso. “Abbiamo strutture, personale e risorse per oltre 100mila iscritti contro i 14-15mila del numero programmato per la sola laurea in infermieristica (i più numerosi tra gli iscritti alle facoltà a numero chiuso)?, si chide la Federazione degli infermieri.
Che rimarca come ci sia “un problema di risorse molto importante da risolvere per poter importare un impianto in cui nel primo anno si gioca l'intero sistema”.
Per Fnopi, “l’Università italiana ha le forze culturali per farcela, ma non ha le risorse e per abolire il numero chiuso servono almeno tre condizioni: risorse per poter includere gli studenti al primo anno facendo loro fare tutte le attività formative previste dal curriculum di studi europeo; un rigoroso sistema di sbarramento finale; una dotazione fatta di esami sostenuti più un'altra prova selettiva, che potrebbe essere necessaria”.
“L’idea di abolire il numero chiuso non è nuova”, scrive ancora la Fnopi che sottolinea come siano “almeno 4-5 anni che torna periodicamente alla ribalta delle cronache e si affianca all’ipotesi di introdurre in Italia un modello analogo a quello francese”.
“Già quattro anni fa, nel 2014, Andrea Lenzi, allora presidente del Consiglio Universitario nazionale, giudicando difficile un’apertura totale delle facoltà oggi a numero chiuso, aveva ipotizzato una pre-selezione già al liceo (ad esempio al terzo anno) con un periodo di introduzione alle varie facoltà e un orientamento verso il tipo di studi che si vuole poi intraprendere. Poi, alla fine del primo anno di corso, in base a come sono andati gli esami lo studente può proseguire la facoltà, sceglierne un’altra oppure uscire”.
“Un orientamento fatto durante le superiori, spiega Fnopi, in modo che non si presentino centinaia di migliaia di studenti per un numero di posti comunque limitato, cosa che non accade in nessuna parte del mondo”.
“Ma al di là delle possibili vie da percorrere ancora tutte aperte a quanto sembra leggendo anche il Def, c’è però un problema a monte da dover risolvere: dare spazio a più laureati non può significare creare più disoccupati. Il sistema attuale, scrive la Fnopi, tra blocchi del turn over e carenza di risorse non dà spazio a un numero eccessivo di professionisti sanitari, in nessuna professione”.
“E per la professione infermieristica in particolare c’è un’altra considerazione da fare: i nostri studenti, anche con il numero chiuso, rappresentano oltre il 40% degli studenti universitari, ma i professori infermieri sono troppo pochi: solo 4 ordinari, 23 associati e un numero basso di ricercatori per un totale di circa 41 docenti”, aggiunge ancora la Fnopi.
Che prosegue: “Solo in 22 università quindi gli studenti hanno l’opportunità di seguire corsi di insegnamento del settore scientifico disciplinare MED45 tenuti da docenti inseriti nell’organico dei professori universitari. Con questi numeri, il rapporto docente/studenti è di circa 1 a 1.350, mentre, ad esempio, per i corsi di laurea in odontoiatria, considerando i docenti afferenti al settore malattie odontostomatologiche MED 23, il confronto è 1 a 6. Questo significa che c’è una forte necessità di una revisione delle docenze, probabilmente prima di una possibile revisione del numero chiuso”.
“Anche perché abolire tout court il numero chiuso – conclude Fnopi - non può significare illudere giovani che sono pronti a dedicare anni della loro vita allo studio e alla formazione, ma che poi rischiano di non trovare alcuno sbocco che soddisfi la loro vocazione. Prima che sul numero chiuso è sicuramente necessario intervenire, quindi, sull’organizzazione del lavoro e di questo il Servizio sanitario nazionale che, ormai soffocato dalle carenze di organici, ne ha davvero bisogno”.
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