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Mercoledì 05 SETTEMBRE 2018
Alla Casa Internazionale delle Donne in scena 'Io Obietto' della ginecologa Elisabetta Canitano

Nell'opera messa in scena ieri sera si confrontano numeri e casi del resto d'Europa: in Svezia o Islanda l'obiezione di coscienza non è riconosciuta, mentre in altri, come Francia o Germania, i ginecologi obiettori siano una esigua minoranza. In Italia si va dal 93,3% di obiettori di coscienza nel Molise e dal il 92,9% nella Provincia Autonoma di Bolzano all'80,7% nel Lazio

Ieri sera si è svolto un appuntamento importante e sentito dalla comunità che vi ha partecipato alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, sita in Trastevere alla Salita del Buon Pastore. Uno spettacolo teatrale, già portato in diversi teatri, la cui autrice è Elisabetta Canitano la quale, oltre ad essere una ginecologa dell'Asl Roma 3, è anche una attiva femminista, particolarmente impegnata sulla tematica del diritto alle donne di interrompere la propria gravidanza liberamente. Canitano è nota alla cronaca politica per essersi candidata, tra l'altro, alle elezioni regionali nella sua regione, il Lazio, alla carica di Governatrice con la lista Potere al Popolo! (Pap).

Lo spettacolo è intitolato “Io Obietto”, per la regia di Amando Pinehiro e con attrici sul palco Chiara David, Natalia Magni, Laura Nardi e Valentina Valsania. Nello stile un po' “anni Settanta” del teatro di Bertold Brecht, l'opera narra una vicenda realmente accaduta e Canitano non esita a proclamarla dal palco, al termine dello spettacolo, totalmente fedele ai fatti: il caso di una donna lasciata morire a Catania, il 16 ottobre del 2016, Valentina Milluzzo, perché in una struttura pubblica non le si riuscì a trovare nessun medico disposto a praticarle un aborto terapeutico dopo la ventesima settimana, malgrado il sacco fosse in vagina.

Per l'opera teatrale, non avendo ricevuto le autorizzazioni dalla famiglia, è stato utilizzato un nome di fantasia, Bianca Rossi. Si affrontano le tematiche della speranza e della gioia della madre nei confronti di una vita che sta per nascere (nel caso specifico due gemelli), nell'ignoranza della propria reale condizione sanitaria; la preoccupazione e l'angoscia della madre di Bianca, che inutilmente rivolge ai medici e agli operatori sanitari le proprie preoccupazioni; si mette poi l'indice su ginecologi, ostetriche, infermieri e sul primario responsabile quel 16 ottobre, tacciandoli sostanzialmente di indifferenza e di miopia personalistica; infine, si evidenzia nella prima parte dell'opera il caso dell'obiezione dei ginecologi nel nostro Paese, mettendo a confronto numeri e casi del resto d'Europa, sottolineando come in non pochi paesi, come Svezia o Islanda, l'obiezione di coscienza non sia riconosciuta, mentre in altri, come Francia o Germania, i ginecologi obiettori siano una esigua minoranza e abbiano vita difficile, mentre da noi, in Italia, si arriva a numeri da “capogiro”: dal 93,3% di obiettori di coscienza nel Molise, dal il 92,9% nella Provincia Autonoma di Bolzano, dal 90,2% in Basilicata all’87,6% in Sicilia, e poi 86,1% in Puglia, 81,8% in Campania, 80,7% nel Lazio.

“Il problema dell'obiezione di coscienza - dichiara a Quotidiano Sanità Elisabetta Canitano - non riguarda, come si potrebbe pensare solo la libera scelta delle donne nel primo trimestre, che si risolverebbe con repartini dedicati (come per altro ingenuamente si fa nel Lazio). Né riguarda la complessa questione dell'aborto terapeutico. La questione dell'obiezione di coscienza riguarda tutte le donne in gravidanza che rischiano di ricevere cure inadeguate perché la presenza del battito cardiaco fetale, anche di un embrione, può ritardare le cure alle donne per motivi religiosi”.
“Sembra - conclude Canitano - incredibile, ma la storia di Valentina Milluzzo lo dimostra: di obiezione di coscienza si può morire”.
Lorenzo Proia

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