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Martedì 17 LUGLIO 2018
Verso gli Stati generali della professione medica, ma in quale direzione?

Gli stati generali annunciati dalla Fnomceo hanno l’ambizione di segnare una discontinuità rispetto al passato. Acune riflessioni dopo gli interventi di Benato e Muzzetto.

Nel suo interessante intervento su QS dal titolo “La vera autonomia del medico nei moderni processi di curaMaurizio  Benato entra nel vivo di problemi che sono cruciali per la professione,  mentre  altri sembra invece non prendere nella dovuta considerazione
 
Nelle sue argomentazioni, tutte interne al contesto professionale, pone come conclusione la necessità di rivedere il modello organizzativo superando la piramidalità top-down dell’attuale approccio neo-aziendalista  a favore di un sistema orizzontale e di condivisione di saperi, conoscenze e esperienze: “Oggi l’organizzazione non può essere intesa come una struttura piramidale, formata da un insieme di compiti “specialistici” da coordinare attraverso una chiara struttura gerarchica ma come un insieme di catene orizzontali di attività finalizzate a predisporre il prodotto/servizio per il paziente. Si lavora per processi ad alta integrazione multidisciplinare e si riorganizzano e si differenziano le responsabilità cliniche, gestionali e logistiche. Si ricercano strumenti che orientano i comportamenti verso i risultati, altrimenti si è guidati dai soli interessi economico-finanziari da una parte e professionali dall’altra. Si evita la burocratizzazione con il rischio presente che il medico venga misurato in maniera spuria, per intenderci ad esempio come numero di pazienti che il singolo medico è in grado di processare in un dato periodo di tempo.”
 
Dal modello quantitativistico all’approccio qualitativistico
In tale approccio Maurizio Benato  sembra suggerire la necessità di passare da una logica di tipo quantitativistico (in termini di prestazioni rese) a una logica di tipo qualitativistico (quali pazienti e in quali setting clinici) con attenzione al  risultato e non alla produttività numerica di cui spesso e a sproposito abbiamo sentito parlare nel corso della nostra vita professionale
 
Un approccio di questo tipo è in realtà ben presente da molti anni nella discussione sui modelli organizzativi e concretamente realizzato, già da almeno 15 anni,  in alcune realtà avanzate tra le quali il ruolo di  superstar è giustamente ricoperto dalla  HMO Kaiser Permanente, di cui abbiamo fin troppo discusso.
 
Per chi ha avuto modo di vedere di persona il funzionamento di tale sistema assicurativo, che assiste milioni e milioni di americani senza barriere di accesso,  ha  potuto riscontrare come l’orizzontalità dei processi, la condivisione delle decisioni cliniche e l’elaborazione sul campo  di linee guida e protocolli diagnostico-terapeutici condivisi tra tutti gli operatori rappresentino il modo in cui opera l’organizzazione. A questo si aggiunge una totale trasparenza dei percorsi e dei risultati clinici (e non numerici) e un  attenzione particolare al setting assistenziale le cui caratteristiche sono la duttilità e fluidità per meglio rispondere  alle sempre nuove necessità di assistenza di una popolazione che non solo invecchia ma che ha problemi clinici di tipo cronico crescenti
 
Si potrebbe dire,  tutto l’opposto di  quel che avviene nelle nostre aziende, dove il modello, aldilà dell’onnipresente retorica bocconiana,  è totalmente top down e gravato da quel formalismo burocratico che impedisce crescita dell’organizzazione e miglioramento dei processi assistenziali
 
Se dunque questo è il modello a cui giustamente punta Maurizio Benato allora forse la FNOMCEO invece di attivare consulenze con personalità, che nessuna esperienza hanno di modelli organizzativi,  avrebbe potuto invitare un esponente di Kaiser Permanente o inviare una delegazione in California (come facemmo con il Sant’Anna nel 2008)  per vedere cosa di quel modello può essere implementato anche nel nostro paese. Imparare dunque con grande modestia dalla esperienza altrui mantenendo quel modello di trasmissione di saperi, tipico della formazione  medica di qualità,  che poggia sulla nuda vita e non su letture affrettate.
 
Una fase politico-economica profondamente diversa
Ho appena ricordato che il  modello integrato ospedale- territorio patient-centerd di Kaiser Permanente è una realtà già da oltre 15 anni. Un tempo che con la crisi che ha sconvolto il mondo  e l’Europa negli ultimi dieci anni è purtroppo  ormai  definitivamente tramontato.
 
Allora in tutti i paesi del mondo la spesa sanitaria era in crescita e la necessità di migliorare l’efficienza organizzativa era il segno dell’interesse dello Stato per gli istituti di protezione dei cittadini.
 
Oggi il tempo è quello del ritiro dello Stato dal modello welfaristico di cui l’Europa è stata la culla  e questo non perché i governi siano peggiori dei precedenti, ma semplicemente perché l’estrazione di valore della nuova economia dell’immateriale (di cui i bisogni  sanitari  allargati alla vita plurale dell’individuo sono la componente di maggiore rilievo)  ha bisogno di saltare l’intermediazione del professionista.
 
Oggi il complesso farmaco-industriale assicurativo si rivolge direttamente al cittadino in un rapporto diretto in cui la domanda (generata dalla grancassa della pseudo-informazione scientifica a cui si aggiungono istituti di ricerca di rilievo pronti a dimostrare tutto e il contrario di tutto) deve trovare una risposta non più mediata ma immediata.
 
Questo spiega la medicina low cost, le polizze assicurative con i pacchetti modulari di inutili esami di screening, gli integratori, i farmaci da banco venduti online e a breve la rivoluzione dell’intelligenza artificiale con l’avvento medici-robot a cui il cittadino si rivolgerà direttamente per avere una diagnosi nel giro di una manciata di secondi.
 
Questo mondo non trova rappresentazione nelle riflessioni di Maurizio Benato che in un certo senso rimangono decontestualizzate, asettiche e quindi rischiano di rappresentare un “esercizio di stile” che non riuscirà a produrre effetti, non perché sia concettualmente inadeguato,  ma perché dei raccolti in cui prima signoreggiava la medicina  si è oggi impadronita l’economia. 
 
Il mito del buon selvaggio
Un altro aspetto che ritengo utile approfondire , anche in vista della riforma del codice deontologico su cui è oggi intervenuto con grande competenza Piero Muzzetto, riguarda una delle componenti del binomio relazionale: il cittadino sia nel rapporto duale con il medico e sia nel rapporto plurale con l’organizzazione.
 
Il mito da sfatare è quello, ancora una volta paternalistico sotto mentite spoglie,  del buon selvaggio. Il cittadino non è un soggetto antropologico, una specie di osservato speciale da fare uscire dall’enclave in cui lo costringe l’asimmetria informativa con il medico.
 
Il cittadino è un soggetto  portatore di diritti e doveri ben precisi che la nostra Costituzione definisce in modo esaustivo e sovraordinato a tutto quel che viene dopo. Per lui vale il diritto alla salute, che non può essere subordinato a nessuna limitazione dettata da esigenze economiche, ma vale anche il dovere di comportarsi rispettosamente verso la struttura e il professionista. Per lui vale il diritto di scegliere sempre e comunque tra le varie opzioni che gli vengono rappresentate in modo adeguato al suo livello di conoscenza della medicina, ma vale anche il dovere di ascoltare il medico e tenere in considerazione quanto gli viene detto. 
 
Questi due elementi vanno tenuti insieme altrimenti non si capisce l’attenzione che la FNOMCEO vuol dare al problema delle aggressioni ai medici che sempre più spesso è dato osservare,  non diversamente da quello che accade nel mondo della scuola.
 
Il cittadino è allora l’inizio di tutto solo nel senso che intendeva Canguilhem quando sosteneva che “la medicina  esiste perché c’è l’uomo malato e l’uomo sa di cosa è malato perché esiste la medicina”. All’infuori di questa relazione  c’è solo una visione retorica  che non cambia nulla e che mitizza  il cittadino per lasciarlo in una sorta di aurorale innocenza che è il contrario della vera partecipazione al processo di cura.
 
Il processo di cura nella vita reale
E’ del tutto evidente che chi è estraneo alla pratica terapeutica non può nemmeno lontanamente percepire come l’economia dell’immateriale abbia (anche strumentalmente)  trasformato la relazione medico paziente.
Oggi nella mia pratica quotidiana di allergologo  metà del tempo a disposizione per ciascun paziente  deve essere impiegato per sfatare i miti razionali e   i preconcetti che i pazienti hanno in tema di allergia, intolleranze e sintomi correlati.
 
La metà delle persone che visito hanno già in tasca una diagnosi che hanno dedotto da internet o da qualche trasmissione televisiva senza avere a disposizione adeguati strumenti per valutare l’attendibilità di quanto letto o ascoltato. E spesso senza neanche avere una atteggiamento di ascolto verso chi gli sta davanti e impiega ogni giorno ore per migliorare la propria formazione.
 
Internet, il potente megafono dell’economia del bios, lavora 24 ore al giorno per creare bisogni per cui l’industria ha già pronto il rimedio. E il messaggio è asseverativo e soprasaturo di olimpica razionalità. L’esatto opposto della  razionalità incrementale che conduce il buon clinico verso una corretta diagnosi.
Anche questi aspetti meriterebbero una discussione franca e onesta senza prefigurare compromessi al ribasso che nulla modificano nella pratica reale
 
Stati generali: anche per una nuova governance degli organi di rappresentanza?
Concludo infine con una ultima considerazione. Gli stati generali hanno l’ambizione di segnare una discontinuità rispetto al passato. Essi nelle parole di Piero Muzzetto devono pronunciare: “Posizioni chiare, precise, assai differenti rispetto alle proposizioni federative di quest’ultimo quindicennio, che hanno consentito interpretazioni eufemisticamente definite fantasiose sul ruolo e sulla valenza medica; e hanno prodotto incomprensioni ed aspettative immotivate nel sistema di gestione della cura e dell’assistenza. Un processo iniziato che deve continuare, partendo dagli assunti di base per il rilancio della sanità del terzo millennio, su cui ci sarà un primo confronto”.
 
Anche qui difficile non concordare. Nel rapporto con il cittadino dell’economia dell’immateriale il medico deve riprendere un ruolo su cui pesa la ruggine del tempo trascorso senza scegliere.
 
Serve tuttavia anche una nuova governance dei nostri organi di rappresentanza e degli enti correlati. In primis la cassaforte della categoria l’ENPAM. Rivedere gli stratosferici compensi del Presidente e del Consiglio di amministrazione degni del CDA di una grande azienda privata  e i gettoni di presenza da 1600 euro per due ore di lavoro,  sarebbe il segno che qualcosa si vuole effettivamente cambiare.
 
Coraggio dunque,  e poniamo fine a un ingiustificato privilegio, riservato ai pochi che contano davvero,  che, di fronte alla crescente proletarizzazione della categoria e alla mancanza di prospettive dei più giovani colleghi,  ha il sapore della beffa.
 
Roberto Polillo

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