quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Giovedì 21 GIUGNO 2018
Cellule tumorali dormienti: ecco come colpire le ‘brutte’ addormentate che danno origine alle metastasi
Sono una new entry nel panorama della ricerca oncologica e per la prima volta viene loro dedicato un intero congresso. Si tratta delle cosiddette cellule tumorali ‘dormienti’ che, sfuggite precocemente al tumore primitivo, si vanno ad annidare in organi distanti dove restano addormentate anche per anni, finché un trigger non le risveglia; allora cominciano a replicare e a formare metastasi. Già in corso negli Usa il primo studio sull’uomo per cercare di ucciderle ‘nel sonno’.
Per anni e anni, l’obiettivo delle terapie anti-tumorali è stato quello di colpire le cellule a rapida proliferazione, tipicamente quelle tumorali (e non solo purtroppo). Ma da qualche tempo, l’orizzonte della ricerca oncologica si è andato allargando. Sempre più interessante appare il ruolo, anche come possibile target terapeutico, delle cosiddette ‘cellule tumorali dormienti’.
E il motivo è presto detto. Queste cellule, che si trovano sparse in giro per l’organismo, in stato quiescente, per qualche motivo e ad un certo punto della storia oncologica di un paziente, si risvegliano e vanno a dare metastasi, le responsabili del 90% delle cause di decesso dei pazienti.
Purtroppo, proprio in quanto ‘dormienti’, queste cellule sfuggono alle terapie anti-tumorali mirate contro le cellule a rapida divisione. Altro problema è che queste cellule non sono numerose ed è quindi molto difficile ‘notarle’ in mezzo ai miliardi di cellule che compongono l’organismo.
Ma il vento sta cambiando, gli strumenti diagnostici e di ricerca progrediscono e gli studiosi sono convinti che questa rappresenterà la prossima frontiera dell’oncologia. Al punto da aver organizzato il primo congresso su questo tema (‘Cancer Dormancy and Residual Disease’ ), in corso in questi giorni a Montreal (Canada). E Nature di questa settimana dedica un articolo allo stato dell’arte delle ricerche in questo campo.
Cosa sono le cellule tumorali dormienti
Il discorso delle cellule dormienti è particolarmente sentito per quei tumori, come la mammella, la postata e il pancreas, ad alti tassi di recidiva, anche a distanza di molti anni dal primo trattamento. Il tumore sembra scomparso per anni, poi all’improvviso risbuca fuori. Perché?
Secondo le ultime teorie, suffragate da evidenze sempre più robuste, alcune cellule tumorali, si staccano dal tumore primitivo molto precocemente nella storia di una neoplasia, si vanno a trovare un organo da qualche parte e lì giacciono ‘addormentate’ per mesi o anni, finché un trigger – non si sa ancora quale possa essere – le risveglia; questo è il segnale che è ora di cominciare a replicare, dando luogo in questo modo ad una metastasi.
Alla ricerca di nuovi modelli di studio e di diagnosi
Quando i ricercatori hanno cominciato a studiare il fenomeno della ‘dormienza’ si sono imbattuti in un primo problema. Il tumore si è sempre studiato su modelli murini di cancro, progettati per generare dei tumori primitivi a rapido sviluppo; per studiare questo fenomeno al contrario serve un modello di tumore a lento sviluppo, che possa avere il tempo di disseminare in circolo cellule tumorali.
E poi necessario imparare a tracciare queste cellule, una volta che il tumore primitivo sia stato rimosso. Un problema questo solo in parte superato grazie agli sforzi di alcuni laboratori che hanno sviluppato dei modelli murini rispondenti a queste caratteristiche.
E a fare progressi sono anche gli strumenti per individuare queste subdole cellule. Alla Duke University ad esempio viene utilizzato un mix di marcatori fluorescenti per individuare e tracciare queste temibili cellule, che esprimono geni tumorali. Al congresso di Montreal, Jason Bielas del Fred Hutchinson Cancer Research Center (Seattle, Usa) presenterà il suo metodo per rintracciare queste cellule utilizzando delle specifiche sequenze di DNA. Si tratta di una tecnica economica e ad alta risoluzione: è in grado di individuare una di queste ‘brutte addormentate’ in mezzo ad un miliardo di cellule.
Come far in modo che le ‘brutte addormentate’ non si risveglino più: alla ricerca di un trattamento
Ma questo è solo il primo passo. Una volta individuate le cellule dormienti, sarà necessario andare a studiare quali fattori le mettono a dormire, e quali trigger le possono risvegliare. Una volta acquisita questa informazione sarà forse possibile ‘metterle a dormire’ per sempre. “Fintanto che queste cellule continueranno a dormire – afferma decisa Kathy Miller, senologa dell’Indiana University (USA) - sono certa che non uccideranno la mia paziente”.
In tutto il mondo si sta studiando il modo di mantenere dormienti queste cellule tumorali, che sono come un fuoco che cova sotto la cenere. E qualche risultato preliminare lo si sta cominciando a vedere.
E’ il caso ad esempio di Julio Aguirre-Ghiso della Icahn School of Medicine presso il Mount Sinai di New York, che nel 2015 ha dimostrato come l’associazione di due farmaci già in commercio (la 5-azadeossicitidina e l’acido retinoico) possa indurre questo stato di ‘dormienza’ nelle cellule di tumore della prostata sia in coltura, che nei topi. E proprio a partire dai risultati di questa ricerca, al Mount Sinai è appena partito un trial, condotto da William Oh, che testarà questa associazione su pazienti con tumore della prostata in carne ed ossa.
Un altro filone di ricerca sta investigando come fare ad uccidere queste cellule dormienti. Un altro gruppo di ricerca del Mount Sinai, diretto da Veronica Calvo-Vidal, ha scoperto che queste cellule esprimono dei livelli molto alti di una proteina, la PERK. In collaborazione con un’industria farmaceutica (la Ely-Lilly) stanno dunque tentando di mettere a punto un inibitore di questa proteina; i primi studi sul topo, suggeriscono che questo PERK-inibitore sarebbe in grado di uccidere le cellule dormienti, anche se non è ancora noto attraverso quale meccanismo (sono in corso studi sull’espressione genetica di queste cellule, per chiarire questo punto).
Per le ‘brutte addormentate’ insomma, la fine potrebbe essere vicina.
Maria Rita Montebelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA