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Lunedì 18 GIUGNO 2018
Medico condannato per trasfusione a testimone di Geova. L’Ordine: “Sentenza grave”
È accaduto all'ospedale di Termini Imerese. Per il presidente dell’Omceo, Toti Amato, “il medico deve rispettare la scelta dell’ammalato, resta il fatto che sui professionisti incombono i principi di scienza e coscienza, ovvero fare tutto il possibile per salvare un ammalato quando la sua vita è in pericolo”. Per Amato si tratta di “un fatto non da poco, tanto grave quanto la prima condanna penale emessa in Italia a un medico dopo avere salvato una vita”.
“Fermo restando il diritto di non curarsi costituzionalmente garantito e che, nel conflitto tra coscienza e salute di un paziente che rifiuta una trasfusione di sangue, il medico deve rispettare la scelta dell’ammalato, resta il fatto che sui professionisti incombono i principi di scienza e coscienza, ovvero fare tutto il possibile per salvare un ammalato quando la sua vita è in pericolo”. Così Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo, sulla sentenza emessa dal tribunale di Termini Imerese, passata ora alla Corte di appello di Palermo, che ha condannato per violenza privata un medico dell'ospedale di Termini Imerese, riconoscendogli la responsabilità penale per avere somministrato ad una donna Testimone di Geova una trasfusione di sangue contro la sua volontà.
“Nessuno vuole negare l’importanza morale e culturale, prima ancora che giuridica - spiega il presidente dell’Omceo di Parlermo - della questione Testimone di Geova e trasfusioni perché ciascuno è custode della propria salute, fisica e spirituale, ma in mancanza di alternative terapeutiche e tenendo conto di un quadro clinico grave, il rifiuto di sangue diventa un fatto drammatico per un medico perché entra in gioco la sua integrità etica. Un fatto non da poco, tanto grave quanto la prima condanna penale emessa in Italia a un medico dopo avere salvato una vita”.
“Non conosciamo ancora gli atti processuali della vicenda - conclude Amato -. L’Ordine si riserva di acquisire i documenti a garanzia della paziente e del primario”.
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