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Lunedì 18 GIUGNO 2018
Il vecchio che avanza: per le malattie di cuore l’autopsia ha ancora molto da dire
Non certo quelle tradizionali, meno che mai quelle dell’epoca di Vesalio. Ma l’autopsia in chiave terzo millennio sta dando nuovo impulso alla diagnosi e alle ricerche delle patologie cardiache: da quella molecolare, alle analisi mitocondriali con spettrometria di massa, al recupero delle ‘scatole nere’, rappresentate da pacemaker e defibrillatori. Al tavolo autoptico, una montagna di dati aspettano solo di essere recuperati e studiati
La storia dell’autopsia affonda le sue radici nella Padova del XVI secolo, con Andrea Vesalio. Nel corso dei secoli ha guadagnato sempre più importanza fino ad arenarsi nelle sabbie del terzo millennio.
“ Fu proprio all’Università di Padova nei secoli XVI-XVIII – ricorda Gaetano Thiene, professore emerito del Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Università di Padova – che grazie alla dissezione anatomica e alla sperimentazione animale, venne scoperto com’è fatto il corpo (vedi De Humani corporis Fabrica di Vesalio, 1543), come funziona (vedi De Re Anatomica di Matteo Realdo Colombo, 1559 e De motu Cordis di William Harvey, 1628) e come ammala (Vedi De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis di Giovanni Battista Morgagni, 1761)). Anatomia, fisiologia e patologia, ovvero la storia naturale del corpo umano, sono nate a di Padova. Non a caso l’Università di Padova è stata definita dagli storici la sede della Rivoluzione Scientifica con la Medicina la Regina della Scienze”.
Non va più di moda richiederla o magari non viene richiesta, come accade negli ospedali americani, perché il costo dell’esame non è più rimborsato. O perché gli ospedali per essere accreditati non devono più dimostrare di aver effettuato un certo numero di autopsie. O perché le moderne tecniche di imaging sono viste sempre più come un sostituto dell’esame autoptico. Il risultato è che oggi si chiede un’autopsia solo per cercare la causa di un decesso, non per trovare le risposte ad una malattia. Ma è un grave errore e un’occasione di conoscenza persa. A ricordarcelo è l’ultimo numero di Circulation che dedica tre articoli e un editoriale a questa pratica diagnostica decisamente negletta.
“L’autopsia – afferma Jeffrey E. Saffitz, direttore del dipartimento di patologia del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston - è una fonte di scoperta che informa il modo in cui pensiamo circa la malattia in maniera sistematica. L’aterosclerosi, l’ipertensione, il diabete, la sindrome metabolica. Sono queste le malattie che si studiano durante un’autopsia. Malattie che uccidono centinaia di migliaia di persone. E lo studio autoptico è molto importante nell’aiutare a comprendere come queste malattie si sviluppano e progrediscono”.
Che gli studi sul cuore siano progrediti grazie alle autopsie lo dimostra la storia. È di ‘appena’ 60 anni fa la prima immagine dell’albero coronarico ottenuta da Monroe Schlesinger, patologo del Beth Israel Hospital di Boston e da Hermann Blumgart, direttore della medicina e padre della cardiologia nucleare. I due pionieri ottennero la prima immagine del sistema coronarico sottoponendo ai raggi-X dei cuori prelevati durante un’autopsia e iniettati con un mezzo di contrasto a base di agar e di piombo. Un esperimento fondamentale per gettare luce sui meccanismi alla base dell’angina e dell’infarto, che ha permesso di identificare il circolo collaterale del cuore, che ha definito l’anatomia delle patologie di cuore e le alterazioni vascolari dello scompenso congestizio e dello shock cardiogeno.
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e gli studi pubblicati su questo numero di Circulation parlano di autopsie molecolari, di analisi di quella ‘scatola nera’ rappresentata dai device elettrici impiantabili, di spettrometria di massa per andare a caccia di alterazioni mitocondriali.
L’autopsia molecolare. È la declinazione in chiave ‘terzo millennio’ dell’esame post-mortem e può dare informazioni preziose in caso di morte improvvisa nei giovani; preziose non solo per la scienza ma anche per gli altri membri della famiglia, da screenare in quanto potenzialmente a rischio di morte improvvisa.
Michael J. Ackermandel Sudden Death Genomics Laboratory della Mayo Clinic ha condotto ricerche sulla morte improvvisa a livello cellulare, avvalendosi della tecnica dell’autopsia molecolare dell’esoma intero. In questo modo sono stati analizzati 25 casi di morte improvvisa (12 neri e 13 bianchi) occorsi nell’area di Chicago nel 2012-2013. L’analisi ha consentito di individuare 27 mutazioni estremamente rare in 16 delle 25 autopsie (64%); nove di questi difetti inusuali sono stati riscontrati nei neri (75%), sette nei bianchi. Il 14% di queste mutazioni - concludono gli autori – si sarebbero potute individuare con un test genetico, che va dunque caldamente raccomandato agli altri membri della famiglia.
La lettura dei dati della ‘scatola nera’. Il secondo studio pubblicato su questo numero di Circulation, viene dalla Germania, dove Florian Blaschke, del Campus Virchow-Klinikum, Charité - Universitaetsmedizin di Berlino e colleghi, hanno studiato le autopsie di soggetti ai quali era stato impiantato un defibrillatore. Questi device immagazzinano importanti informazioni, spesso utili nel determinare la causa del decesso, i meccanismi che hanno portato alla morte e l’orario della stessa, in maniera spesso più precisa dell’autopsia stessa.
I ricercatori tedeschi hanno esaminato i dati raccolti da 151 apparecchi elettronici impiantabili (109 pacemaker, 35 defibrillatori, 7 loop recorder impiantabili) rimossi nel corso di 5.368 autopsie effettuate dal 2012 al 2017. L’analisi dei dati registrati nei device ha consentito di definire la causa e l’ora della morte rispettivamente nel 60,8 e nel 70% dei casi.
A caccia di alterazioni mitocondriali. Nell’ultimo studio, David Herrington e colleghi della Wake Forest University School of Medicine (USA) riferiscono dei risultati dell’analisi di spettrometria di massa effettuata su campioni tessutali prelevati da 100 giovani vittime per individuare segni precoci di ‘re-wiring’ (riconfigurazione) a livello cellulare, che rappresentano il segno più precoce di aterosclerosi.
Gli esami hanno consentito di individuare alterazioni di alcune proteine mitocondriali e in particolare nelle reti proteiche considerate marcatori di aterosclerosi. Questa ricerca è stata finanziata dal National Heart, Lung, and Blood Institute dei National Institutes of Health americani. “Ed è un esempio – commenta Jeffrey E. Saffitz - del ruolo che le informazioni raccolte all’autopsia possono giocare anche all’interno della One Brave Idea Initiative dell’American Heart Association”.
Maria Rita Montebelli
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