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Giovedì 21 GIUGNO 2018
Cannabis light. “Stop a libera vendita infiorescenze. Potenzialmente pericolose per la salute”. Altolà del Consiglio superiore di Sanità alla marijuana legale. IL TESTO

In poco più di un anno sono stati aperti quasi 1.000 negozi in tutta Italia che hanno prodotto un giro d’affari milionario. Ma il business della ‘canna legale’ potrebbe finire o subire quantomeno una stretta normativa. Oggi le infiorescenze di canapa sono vendute come un prodotto da collezione ma in realtà chi la compra lo fa per fumarsele. Possibile un intervento per normare il settore. IL PARERE DEL CSS

Sono il vero e proprio nuovo business economico e di costume dell’ultimo anno con punti vendita che hanno aperto come ‘funghi’ in tutta Italia creando un giro d’affari milionario. Stiamo parlando dei ‘Canapa shop’ e soprattutto del prodotto di maggior successo che vi si può comprare: le infiorescenze di canapa a basso contenuto di THC, denominata ‘cannabis light’ o ‘canna legale’ per intenderci.
 
In poco più di un anno sono stati aperti quasi 1.000 negozi (online o in luoghi fisici) in tutto il Paese (ma il mercato si sta sviluppando anche in Svizzera, dov'è nato, e in Francia) con un giro di affari in costante crescita, stimato da Coldiretti in 44 milioni di euro, tra rivenditori e produttori. Ma tutto questo potrebbe finire o subire quantomeno una stretta legislativa. La normativa presenta infatti più di una zona grigia entro cui si è sviluppato questo nuovo mercato.
 
E ad accendere la miccia è stato il Consiglio Superiore di Sanità che in un parere, che Quotidiano Sanità ha potuto visionare in anteprima, richiesto dal Ministero della Salute lo scorso febbraio, per analizzare proprio il nuovo business della marijuana light, ha sparigliato il tavolo. “Non può essere esclusa la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa” si legge nel parere del CSS, che per questo “raccomanda che siano attivate nell’interesse della salute individuale e pubblica misure atte a non consentire la libera vendita”.
 
Il CSS nel suo parere ritiene infatti che “non può essere esclusa la pericolosità della ‘cannabis light’”. I motivi? Innanzitutto “la biodisponibilità di THC anche a basse concentrazioni (0,2-0,6%) non è trascurabile”. Ma non solo, si evidenzia come “il consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di monitoraggio e controllo della quantità effettivamente assunta e quindi degli effetti psicotropi che possa produrre”. E ancora, per il CSS “non appare che sia stato valutato il rischio connesso al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni (età, presenza di patologie concomitanti, stato di gravidanza/allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, etc..) così da evitare che l’assunzione inconsapevolmente percepita come ‘sicura’ e ‘priva di effetti collaterali’ si traduca in un danno per se stessi o per altri (feto, guida in stato di alterazione)”.
 
Cannabis light. Da dove è partito tutto.
Il boom nasce con l’approvazione della legge numero 242 del 2 dicembre 2016 dal titolo “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” che ha disciplinato il comparto con lo scopo di rilanciare l'industria di settore. Con la nuova norma non è, infatti, più necessaria alcuna autorizzazione per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di Thc al massimo dello 0,2%, fatto salvo l’obbligo di conservare per almeno dodici mesi i cartellini delle sementi utilizzate.
La percentuale di Thc nelle piante analizzate può inoltre oscillare dallo 0,2% allo 0,6% senza comportare alcun problema per l’agricoltore. “Al momento risulta consentita – dice la Coldiretti – solo la coltivazione delle varietà ammesse, l’uso industriale della biomassa, nonché la produzione per scopo ornamentale, mentre per la destinazione alimentare possono essere commercializzati esclusivamente i semi in quanto privi del principio psicotropo (Thc). Resta il divieto di utilizzo di foglie e fiori di canapa per scopo alimentare” per cui si è in attesa di un decreto del Ministero della Salute.
In una recente circolare il Ministero delle Politiche agricole ha poi chiarito alcune questioni, tra cui quella della vendita delle infiorescenze (non citate nella legge) che viene consentita (solo se prodotte in Italia) a scopi florovivaistici. Ma il problema reale è un altro.
 
Prodotto da collezione o da fumo?
La questione dirimente è il fatto che le infiorescenze di canapa possono essere per legge coltivate e vendute, ma possono essere utilizzate solo come prodotto da collezione. In sostanza, la legge 242/2016 se, da un lato, tutela la condotta dell’agricoltore che detenga piante di canapa risultate ai controlli con un contenuto di THC superiore allo 0,2% ed entro il limite dello 0,6%, dall'altro, nulla dispone in merito all'eventuale destinazione d'uso delle stesse.
 
Ed è proprio da questo assunto che è iniziato il business, come si può, facilmente verificare leggendo gli approfondimenti legali contenuti in alcuni siti che illustrano i prodotti in questione. Tutto ciò anche in ragione della circostanza che questi prodotti - per quanto offerti al pubblico come vagamente riconducibili agli impieghi previsti dalla legge n. 242/2016 ed in quanto non bisognevoli delle autorizzazioni previste dal DPR 309/1990 - sono venduti senza che ne sia indicata alcuna modalità di utilizzo o di assunzione (essi, infatti, vengono presentati talora come "oggetti da collezione", talaltra come materiale "industriale" o "tecnico").
 
Insomma, chi acquista delle infiorescenze di canapa le dovrebbe tenere in una teca come i francobolli, le monete o le farfalle. È del tutto evidente che invece l’uso che se ne fa prevede o la combustione (sigarette arrotolate, pipe, bong etc..), o la vaporizzazione tramite apparecchi ad hoc. E infatti nei punti vendita è un fiorire di pipette e quant’altro per ‘fumarsi’ la propria canna ‘legale’. E anche facendo un salto in alcuni rivenditori le discussioni sul tema non vertono certamente sul collezionismo. “Come ti piace? Dal sapore morbido? Profumata?” etc., ci siamo sentiti ripetere. Ma come abbiamo visto, la legge non prevede la possibilità della combustione (anche il Mipaaf ha chiarito che la natura della legge è solo per fini agricoli e gli stessi rivenditori lo sanno, con tanto di etichette sulle bustine, specificano che si tratta di un prodotto da collezione non adatto alla combustione) ed è questo il motivo per cui il Ministero della Salute (che ha la responsabilità) ,all'epoca guidato da Beatrice Lorenzin, ha deciso di accendere un faro sul cuneo normativo entro cui è fiorito il nuovo business.
 
Cosa succede ora.
Dopo il parere del CSS, a quanto si apprende, il Ministero della Salute ha richiesto un parere all’Avvocatura dello Stato che a sua volta ha chiesto informazioni anche ad altri Ministeri interessati. Nell’attesa di leggere cosa dirà l’Avvocatura è evidente che il documento del CSS non potrà essere ignorato dal nuovo Ministro Giulia Grillo. E le strade d’intervento sembrano due: o il divieto di vendita tout court delle infiorescenze tramite ordinanza del Ministro della Salute o una regolamentazione della materia. Quel che però appare certo, ad oggi, è che per la ‘cannabis light’ lo 'sballo' rischia di finire.
 
L.F.

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