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Martedì 22 NOVEMBRE 2011
Report Aids 2011. I malati sono 34 milioni, ma l’accesso alle cure sta migliorando
Quelli appena pubblicati dalle Nazioni Unite sono i risultati più promettenti dal picco epidemico, sia il numero di contagi che quello di decessi sta diminuendo. Un nuovo programma di attività e investimenti produrrà ulteriori miglioramenti. Ma l’Italia parteciperà?
Vogliono arrivare a zero. Zero nuove infezioni da Hiv. Zero discriminazione. Zero morti dovute all’Aids. Ecco l’ambizioso obiettivo del Programma congiunto delle Nazioni Unite sull'Hiv/Aids (Unaids). E ci vogliono arrivare in maniera più veloce, più furba. Migliore. Quando si legge il nuovo rapporto, quello del 2011 appena pubblicato, queste sono le prime temerarie finalità in cui ci si imbatte.
I dati 2011. Un proposito che potrebbe essere meno irraggiungibile di quanto si pensi visti i dati riportati sul documento, il più recente di quelli pubblicati periodicamente da Unaids. Le nuove infezioni da Hiv e le morti collegate all’Aids, infatti, hanno raggiunto quest’anno i livelli più bassi dal picco epidemico, che è stato per i contagi a metà degli anni Novanta e per i decessi un decennio più tardi. In percentuali questo vuol dire che le nuove infezioni sono state ridotte del 21% dal 1997, e le morti per la sindrome dello stesso valore dal 2005. Un risultato straordinario, che secondo gli esperti è destinato a migliorare.
Anche perché, si legge sul documento, “il 2010 è stato un anno di svolta, in cui ci sono stati progressi scientifici, è migliorata la gestione politica della malattia e si sono visti i primi risultati incoraggianti”. Molto di questo è dovuto alla diffusione sempre più massiccia dei farmaci antiretrovirali, sia come trattamento per i malati che come profilassi per ridurre il rischio di trasmissione del virus (leggi su Quotidiano Sanità). Secondo le stime di Unaids e dell’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, sono 6.6 milioni i malati che vivono in paesi a basso o medio reddito ad aver avuto accesso a queste terapie salvavita nel 2010. Si tratta di circa la metà – il 47% – di tutti i malati che ne avrebbero bisogno (14.2 milioni di persone nel mondo) e il dato segna un incremento di addirittura 1 milione e 350 mila pazienti solo dal 2009. Dal 1995, in questi paesi sono state salvate 2 milioni e mezzo di vite per l’introduzione della terapia antiretrovirale.
Trattamenti dunque che cominciano ad avere effetti significativi sulla riduzione del numero di contagi, sulla qualità e sulla durata della vita dei malati. Ad oggi sono 34 milioni nel mondo le persone che convivono con la malattia. Il numero di decessi è diminuito da 2.2 milioni nella metà del decennio scorso a 1.8 milioni nel 2010, anno in cui sono state evitate in totale addirittura 700.000 morti. Anche il numero di nuove infezioni continua a scendere dal 1997, e nello scorso anno è arrivato a 2.7 milioni di persone.
Il futuro. “Il mondo ha davanti una scelta chiara”, si legge sul documento, subito dopo la presentazione di dati così incoraggianti. “Si possono mantenere sforzi simili a quelli fatti finora, ottenendo progressivamente miglioramenti. Oppure possiamo investire in maniera intelligente e raggiungere i nostri obiettivi in maniera rapida”. Ecco il senso del motto di quest’anno “faster, smarter, better”, si vuole lavorare più velocemente, in maniera più intelligente, migliore.
Per questo Unaids ha pensato una nuova struttura per gli investimenti nella lotta alla malattia. Che sia di forte impatto, basata sui risultati e con strategie intelligenti. “La nuova ossatura è basata sulla comunità e non sulle merci. Come a dire che non sono i farmaci, o il virus, al centro dell’attenzione. Sono le persone”, così Michel Sidibé, direttore esecutivo di Unaids, ha spiegato il nuovo approccio. Questo, secondo gli esperti, dovrebbe evitare almeno 12.2 milioni di contagi e 7.4 milioni di morti per Aids da qui al 2020.
Ma su cosa si basa questo programma? Su sei attività fondamentali: interventi focalizzati sulle popolazioni a più alto rischio (sex workers e loro clienti, uomini omosessuali e tossicodipendenti); prevenzione di nuovi contagi da Hiv nei bambini; programmi che promuovano il cambiamento dei comportamenti a rischio; promozione e distribuzione di preservativi; trattamento, cura e supporto per i sieropositivi; circoncisione volontaria per gli uomini nelle nazioni ad alta prevalenza di Hiv.
Perché questo approccio possa risultare funzionante, però, ci sono prima alcuni altri problemi da risolvere. I malati di Aids infatti hanno delle difficoltà che derivano non solo dalla loro condizione, ma anche dallo stigma sociale cui devono far fronte. Secondo l’Unaids dunque accanto al programma in sei punti le nazioni si devono impegnare a promuovere il rispetto dei diritti umani dei malati e a supportarli con un giusto quadro legislativo e sociale. “Tutto ciò è cruciale per la riuscita del programma”, fanno sapere.
Tutto ciò è sicuramente anche costoso: bisogna aumentare gli investimenti, arrivando nel 2015 a 22-24 miliardi di euro di spesa per la lotta all’Aids. Ma secondo gli esperti se l’apparato viene messo in moto nella maniera giusta la prossima generazione sarà già rientrata dei costi, perché queste spese iniziali, abbassando i contagi e migliorando la salute dei malati, permetteranno di risparmiare sui costi futuri dei vari sistemi sanitari.
E in Italia? Nel 2011 il governo non ha stabilito nuovi finanziamenti per il programma nazionale di ricerca sull’Hiv/Aids, dunque i fondi si esauriranno nel 2012. In più il nostro paese è tra chi non ha rinnovato il contributo al Global Fund to Fight Aids, Tubercolosis and Malaria, l’organizzazione internazionale di finanziamento alla ricerca su queste tre malattie. Come se non bastasse l’Italia è anche l’unico paese del G8 a non aver versato a questo fondo i soldi promessi negli scorsi tre anni, provocando un buco nel bilancio.
Una brutta figura a livello internazionale, che a giugno è costata al nostro paese la pubblicazione da parte di Science di una sorta di necrologio della ricerca su Aids e Hiv. Tutto ciò nonostante che sul territorio nazionale tra le 5000 e le 6000 persone contraggano il virus ogni anno e si stimi che attualmente siano 150.000 i nostri connazionali sieropositivi.
Ecco perché quasi si prova un senso di disagio. Soprattutto quando si arriva ad una frase specifica: “I membri delle Nazioni Unite hanno dimostrato solidarietà e un rinnovato impegno nel giugno 2011, quando hanno sottoscritto la dichiarazione dal titolo ‘Political Declaration on HIV/AIDS: Intensifying Our Efforts to Eliminate HIV/AIDS’. In questa si riconosce che la mobilitazione delle risorse sufficienti è una questione di responsabilità, che va condivisa da tutti”. Responsabilità nel ridurre ancora il numero di nuove infezioni, nel salvare vite. Alla luce di questo sorge solo una domanda: l’Italia dov’è?
Laura Berardi
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