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“Il gene Sil1 - spiega Roberto Chiesa, responsabile del laboratorio di Neurobiologia dei Prioni dell’Istituto Mario Negri che ha coordinato lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Human Molecular Genetics - è importante per il ripiegamento e trasporto delle proteine destinate alla membrana cellulare o a essere esportate all’esterno della cellula. In questa malattia Sil1 è difettoso e le proteine si accumulano all’interno della cellula attivando un segnale di stress che, se non viene risolto o contrastato, porta la cellula a ‘suicidarsi’. Un enzima, la chinasi Perk, media proprio uno di questi segnali di stress. Abbiamo quindi deciso di verificare se un farmaco sperimentale in grado di bloccare l’attività di Perk avesse effetti protettivi in un modello animale della malattia – il topo woozy – che riproduce le caratteristiche principali della malattia, cioè la degenerazione del cervelletto e dei muscoli scheletrici, e sviluppa nel tempo un’andatura traballante”.
“L’idea che bloccare Perk potesse funzionare era supportata da esperimenti fatti utilizzando un modello cellulare della malattia, che dimostravano che l’inibizione di Perk ripristinava almeno in parte il trasporto delle proteine nella cellula - continua Michele Sallese, dell’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara che ha collaborato allo studio.
“Somministrando l’inibitore di Perk ai topi woozy siamo riusciti a ritardare la degenerazione dei neuroni e l’insorgenza dei sintomi clinici, con un miglioramento della funzione motoria che si è protratto nel tempo - aggiunge Chiesa, con una nota di cautela -. Il farmaco sperimentale che abbiamo utilizzato ha alcuni effetti indesiderati, in particolare sulla funzione del pancreas. Tuttavia sono già in sperimentazione composti più sicuri – alcuni dei quali già usati per altri scopi nell’uomo – che sembrano avere la stessa capacità di inibire Perk e produrre effetti benefici in modelli murini di malattie da prioni – la “mucca pazza” per intenderci –, e che vorremmo provare nei topi woozy”.
La sindrome di Marinesco-Sjögren è una malattia estremamente rara – in Italia vi sono pochi pazienti i cui familiari hanno dato vita all’Associazione gli Amici di Matteo (associazionegliamicidimatteo.org). I bambini affetti da questa sindrome hanno difficoltà nel coordinare i movimenti e parlare, debolezza muscolare che impedisce loro di sostenersi e camminare in modo autonomo, ipogonadismo, cataratta congenita e disabilità mentale. Questi sintomi appaiono nei primi anni di vita ed evolvono rapidamente fino a stabilizzarsi, consentendo una durata di vita pressoché normale. Pertanto una terapia che prevenga o rallenti l’evoluzione della malattia avrebbe un impatto enorme sulla qualità di vita dei pazienti. Lo studio è stato possibile grazie a un finanziamento della Fondazione Telethon.
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Mercoledì 02 MAGGIO 2018
Sindrome di Marinesco-Sjögren. Identificata una potenziale terapia
Lo studio dell'Irccs Mario Negri in collaborazione con l'Università D'Annunzio. La sindrome è estremamente rara, i bambini che ne sono affetti hanno difficoltà nel coordinare i movimenti e parlare, debolezza muscolare che impedisce loro di sostenersi e camminare in modo autonomo, ipogonadismo, cataratta congenita e disabilità mentale
Uno studio, realizzato dall’Irccs - Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, in collaborazione con l’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara, ha identificato un potenziale trattamento farmacologico per la sindrome di Marinesco-Sjögren, una rara malattia genetica altamente invalidante causata da mutazioni del gene Sil1.
Hanno partecipato allo studio: Valentina Grande, Francesca Ornaghi, Liliana Comerio, Elena Restelli, Antonio Masone, Alessandro Corbelli, Daniele Tolomeo, Vanessa Capone, Jeffrey M. Axten, Nicholas J. Laping, Fabio Fiordaliso, Michele Sallese e Roberto Chiesa.
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