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Martedì 30 GENNAIO 2018
Radiologia interventistica: la quarta via contro i tumori epatici
Si affianca alle strategie terapeutiche più tradizionali e in molti casi consente di trattare tumori di maggiori dimensioni, multipli o localizzati in sedi “difficili” o tecnicamente complesse. Un congresso al Gemelli ha fatto il punto sulle principali novità in questo campo.
Non sostituisce la chirurgia, né i trattamenti chemioterapici né quelli radioterapici. Ma nel trattamento dei tumori epatici le tecniche di radiologia interventistica si candidano ad affiancare le strategie più tradizionali consentendo, in molti casi, di trattare tumori di maggiori dimensioni, multipli o localizzati in sedi “difficili” o tecnicamente complesse.
È a questa frontiera del trattamento dei tumori epatici che è stato dedicato il congresso “Mio Live 2018”, Mediterranean Interventional Oncology, svoltosi il 29 e 30 gennaio a Roma presso il Policlinico A. Gemelli.
Il congresso è stato promosso dall’Istituto di Radiologia dell’Università Cattolica e dall’Area Diagnostica per Immagini della Fondazione Policlinico Gemelli ed è stato l’occasione per fare il punto sugli avanzamenti delle strategie di radiologia interventistica.
Nel corso del congresso sono stati presentati anche tre studi clinici promossi dai ricercatori dell’Istituto di Radiologia dell’Università Cattolica di Roma e dai radiologi interventisti del policlinico A. Gemelli che mostrano alcune delle potenzialità degli approcci interventistici al trattamento dei tumori epatici.
Il primo studio ha mostrato che la radioembolizzazione transarteriosa consente di eseguire un trattamento radiante in maniera locoregionale, mini-invasiva, selettiva nel solo organo bersaglio, con ridotti rischi procedurali. “Tale trattamento è reso possibile dalla stretta collaborazione tra radiologi, medici nucleari, radioterapisti, fisici sanitari, epatologi, oncologi e chirurghi epatici”, ha spiegato Riccardo Manfredi, direttore della Radiologia Diagnostica e Interventistica Generale del Gemelli e ordinario di Radiologia all’Università Cattolica. “Con questa collaborazione multidisciplinare si può ottenere innanzitutto la corretta selezione dei pazienti che possono giovarsi a pieno di tale trattamento, con i migliori risultati in termini di successo tecnico, guarigione e sopravvivenza dei nostri pazienti. Tale trattamento, come tutti i trattamenti di radiologia interventistica oncologica, rappresenta un’opzione aggiuntiva ormai consolidata e comprovata, per pazienti con patologie tumorali, primitive e secondarie, che si affianca (e non si contrappone) agli altri possibili trattamenti chirurgici, chemioterapici e radioterapici. Alla possibilità di trattare lesioni tumorali epatiche primitive quali epatocarcinomi, si è affiancato il trattamento di lesioni tumorali primitive quali colangiocarcinomi e metastasi, principalmente ma non solo da tumore del colon-retto non responsive ai trattamenti chemioterapici standard”.
Il secondo studio ha mostrato i risultati ottenuti unendo due procedure di radiologia interventistica, la termoablazione e la chemioembolizzazione, nella cura del carcinoma epatico. Il trattamento viene eseguito in un’unica seduta, in anestesia locale e con una minima sedazione, senza necessità di esposizione chirurgica degli organi o anestesia generale. L’abbinamento delle due tecniche consente di incrementare l’area di necrosi creata dalla termoablazione e l’effetto chemioterapico mirato all’interno del fegato, proprio della chemioembolizzazione. “Tale approccio – spiega Cesare Colosimo, direttore Area Diagnostica per Immagini del Policlinico Gemelli e professore ordinario di Radiologia all’Università Cattolica – consente di ampliare le indicazioni alla termoablazione con possibilità di curare in un’unica seduta tumori di maggiori dimensioni, multipli o localizzati in posizioni tecnicamente complesse, in maniera efficace e soprattutto sicura, con riduzione dei potenziali rischi procedurali”.
Ciò si trduce in un incremento del tasso di sopravvivenza dei pazienti e una significativa riduzione del numero di procedure a cui il paziente deve sottoporsi.
“Va sottolineato – ha aggiunto Roberto Iezzi, radiologo interventista dell’Università Cattolica e medico dell’UOC di Radiologia d’urgenza del Gemelli – che tale trattamento si è dimostrato sicuro ed efficace, in assenza di significative complicanze, con un tempo procedurale e un tempo di degenza media simili alla sola chemioembolizzazione, con un ritorno precoce alla normale vita quotidiana da parte del paziente”.
L’ultimo lavoro ha confrontato l'approccio transfemorale e l'approccio transradiale in pazienti sottoposti a chemioembolizzazione epatica in termini di sicurezza, fattibilità e variabili procedurali, tra cui tempo di fluoroscopia, dose di radiazioni e preferenza del paziente. L’approccio transradiale si è dimostrato fattibile e sicuro per l’esecuzione di procedure di chemioembolizzazione epatica transarteriosa, con un elevato successo tecnico, bassi tassi di complicanze, con un miglior comfort per il paziente trattato.
“Nel corso degli ultimi venti anni – ha aggiunto Iezzi - si è andata delineando una nuova figura professionale, quella del medico radiologo interventista. Questa figura interagisce direttamente con i pazienti con patologie tumorali, esegue i trattamenti in maniera mini-invasiva percutanea, senza richiedere alcuna esposizione chirurgica dei distretti corporei su cui si opera, prevalentemente in anestesia locale e in alcuni casi associata ad una sedazione profonda, senza necessità di anestesia generale, minore stress procedurale per il paziente, riduzione del dolore, degli effetti collaterali e delle complicanze, nonché dei tempi di ricovero ospedaliero e una più rapida ripresa delle normali attività quotidiane, rispetto a quanto avviene con i pazienti trattati con le terapie chirurgiche convenzionali”.
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