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Mercoledì 17 GENNAIO 2018
Una legislatura e una campagna elettorale che hanno dimenticato la sanità
Gentile Direttore,
la legislatura appena conclusa si è caratterizzata per una intensa produzione legislativa in sanità. L’elenco che Lei ha fatto è tale da fare invidia a qualunque governo, se non fosse per i gufi, tipo Censis, Crea, Osservasalute, Gimbe, Eurispes, Bocconi, o Sindacato, che si ostinano a raccontare di un sistema sanitario prossimo al collasso.
Le legislature, però, non si giudicano a peso ed il recupero della vecchia differenza tra quantità e qualità potrebbe rendere lo scarto tra realtà e percezione, proprio della sociologia della comunicazione, meno paradossale di quello che sembra.
Ci sono oggi più risorse economiche per la sanità, come ha sostenuto? Certo, se si guarda ai valori nominali messi in bilancio, ma poi tagliati con provvedimenti successivi, i miliardi stanziati nel 2018 per il FSN sono di più di quelli del 2013. Ma se si guarda a quello che tutto il mondo guarda, cioè il rapporto della spesa pubblica con il PIL, passiamo dal 7,1% nel 2013 al 6,4 nel 2017.
Pronti al 6,3 cui il DEF del governo ci spinge, sempre più vicini alla Europa dell’est. Il tutto a fronte di necessità crescenti, per il quadro epidemiologico, le innovazioni tecnologiche, una indifferibile esigenza di manutenzione di sistema, i costi di un contratto di lavoro che aspetta di essere rinnovato da quasi 10 anni. Come se le politiche contrattuali non fossero parte integrante delle politiche sanitarie ed il personale, medici in primis, non costituisse il vero capitale della azienda sanità! Che, in una situazione economica migliorata viene lasciata in recessione ed esclusa di fatto dalla ripresa.
Se poi guardassimo meglio, potremmo vedere che i LEA, ad oggi, sono solo un catalogo di prestazioni promesse, gli standard ospedalieri un pretesto per tagliare posti letto e personale, la riforma degli ordini professionali una “occasione mancata”, che, con un vago intento elettorale, non solo “ordina” ma moltiplica le professioni sanitarie in una fase caratterizzata da penuria di medici, l’albo dei Dg il trionfo del gattopardismo che si guarda bene dal mettere in discussione il paradigma indisponibile che lega management e politica, salute ed economia.
Provi a chiedere a chi in questi giorni affolla i PS se si è accorto degli standard ospedalieri o ai cittadini del Sud, usciti dal piano di rientro a forza di tagli, ticket e tasse, se i nuovi LEA sono meno eventuali dei vecchi. O ad un medico ospedaliero se sta meglio rispetto al 2013, oppure ad uno degli 8000 giovani medici esclusi questo anno dai percorsi formativi, e quindi dal lavoro, come si sta a sfogliare la margherita tra emigrazione e inoccupazione.
Eppure il Ministro della salute aveva proclamato sue priorità i farmaci innovativi ed il personale. Dei primi si è senza dubbio ricordato, sul personale è stato steso un velo pietoso, visto che non ha trovato posto nemmeno nel fantastico mondo dei bonus, che saranno pure soldi che vanno nelle tasche di alcuni, ma a debito, e quindi a carico di altri.
Chi guardi alla realtà senza veli e pregiudizi, per usare le sue parole, sa bene cheper la sanità, oggi come nel 2013, continua a mancare una visione di insieme e segnali di attenzione a temi strategici come il personale e gli investimenti, i grandi fuoriusciti dalla rappresentazione governativa. Come se investire più risorse sulla salute nostra e dei nostri figli non significasse investire sul futuro, anche economico, del Paese.
La realtà dipende dalla prospettiva. Le radici sociali e territoriali del populismo e della insoddisfazione che attraversano il Paese sono le stesse in cui la salute non è un diritto ma un optional ed i livelli di assistenza, i vecchi come i nuovi, sono parole vuote. Ed i diritti sociali, a cominciare da quelli del lavoro, semplicemente non esistono.
Rimaniamo ben lontani dal considerare il diritto alla salute dei cittadini non solo fondamentale, come il patriottismo costituzionale imporrebbe, tanto più nel suo 70esimo compleanno, ma prioritario all’interno della agenda politica, inscindibile da quello dei medici a curare in autonomia e responsabilità, senza cronometri e senza caporali. Diritto alla cura e diritto a curare sono due facce della stessa medaglia. I LEA non sono selservice e si coltivano illusioni pensando di costruire maxiaziende con minimedici o di ingrandire un alveare distruggendo le api
Come diceva Noam Chomsky, la strategia standard per privatizzare la sanità prevede prima il definanziamento, per far sì che le cose non funzionino e la gente si arrabbi, poi il passaggio al capitale privato.
La rabbia ed il rancore che si riversano nelle urne elettorali testimoniano anche la frantumazione della coesione sociale e del principio di uguaglianza dei cittadini italiani di fronte alle malattie, figlia dello strisciante abbandono della sanità pubblica, aggravato dalla rivoluzione silenziosa promossa dal welfare aziendale con le risorse della fiscalità generale, e della svalorizzazione del suo capitale umano.
Il mondo ospedaliero non è affatto convinto dello story telling governativo, come dimostra il succedersi di prese di posizione, assemblee, sit in, scioperi che rendono conto del perché, anche in sanità, è difficile accorgersi di una produzione legislativa che non ha migliorato, se non per pochi interventi, la vita dei professionisti e dei cittadini.
E non lo sarà, fino a che la politica non si farà carico del disagio che esprime questo patrimonio professionale tradito nei suoi valori, controllato nel suo esercizio professionale, ridotto a mero fattore di produzione, espulso dai processi decisionali, abbandonato a favore di altri segmenti produttivi meno costosi e piu promettenti dal punto di vista elettorale.
Perfino le promesse elettorali, come l’agenda politica degli ultimi governi, dimenticano, se non come nota a margine, la sanità, che evidentemente i partiti non considerano una priorità, e nemmeno un argomento da campagna elettorale, se non nella versione provax o novax.
Visto il carattere prevalentemente abrogazionista delle promesse elettorali, è come se il diritto alla salute fosse stato già abrogato e con esso il Servizio Sanitario Nazionale, morto per asfissia a meno di 40 anni di età.
Costantino Troise
Segretario nazionale Anaao Assomed
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