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Martedì 12 DICEMBRE 2017
Con Parisi non siamo d’accordo sulla sanità privata ma sulla valutazione dei manager sì



Gentile Direttore,
la Dr.ssa Nunzia Decembrino, Responsabile Sanità di Energie per l'Italia, segnala su QS alcune integrazioni alla proposta di riforma sanitaria del “Programma di Governo di Parisi”. Come coordinatrice del gruppo di lavoro che lo ha elaborato, afferma: “Un elemento essenziale del programma è l’attenzione alla spesa privata dei cittadini, spesa che è stimata in oltre 35 miliardi nel 2016 (rapporto RBM-Censis), e corrisponde al 23% della spesa sanitaria totale, contro una media europea del 15% (rapporto OECD 2017).”
 
Purtroppo i dati sono errati e fuorvianti. La spesa privata, infatti, consta di due componenti: quella sborsata direttamente dai cittadini, cosiddetta out of pocket, e quella intermediata, cioè sempre sborsata dai cittadini ma attraverso intermediari (fondi sanitari - cosiddetti integrativi - in cui per comodità si possono includere fondi sanitari, casse mutue, società di mutuo soccorso.../no profit; e assicurazioni sanitarie commerciali/for profit). Non c’è motivo razionale per riportare solo la prima, come se quella pagata privatamente dai cittadini tramite intermediari non fosse anch’essa parte dell’esborso privato.
 
Purtroppo il Programma di Parisi confonde la spesa privata con la sola spesa out-of-pocket. E soprattutto, la diminuzione dell’out-of-pocket a vantaggio della spesa intermediata non si associa affatto a una diminuzione della spesa privata totale, ma si associa di norma a un aumento della spesa privata totale, per i motivi che vanno richiamati.
 
Come ben spiegato dal documento della Rete Sostenibilità e Salute, che si suggerisce di leggere con attenzione, la spesa privata intermediata (cioè pagata tramite intermediari/terzi paganti diversi dal SSN) è vantaggiosa rispetto alla spesa out-of-pocket per i gestori di Fondi Sanitari e Assicurazioni, per i loro apparati e verosimilmente per gli azionisti delle Assicurazioni commerciali.
 
Invece per i beneficiari dei Fondi sanitari, al di là di alcuni vantaggi a breve termine, potrebbe essere strategicamente vantaggiosa solo in condizioni tutt’altro che frequenti: quando cioè consentisse di accedere a prestazioni di altovalue (value = risultati in salute/costi,come da definizione riportata dal GIMBE) difficili da ottenere in tempi appropriati dal SSN, che i Fondi sanitari, per economie di scala, riescono a offrire a migliori condizioni rispetto all’acquisto out-of-pocket. Oppure nel caso, anch’esso non comune, di prestazioni di alto value non ancora incluse nei LEA.
 
Queste condizioni già oggi non sono frequenti, e gran parte delle prestazioni dei Fondi sanitari non è di alto value. Ciò si può sostenere anche quelle prestazioni importanti, sostitutive di analoghe prestazioni comunque offerte dal SSN, per le quali un maggior tempo d’attesa non cambierebbe il risultato di salute. L’attesa potrebbe essere accettata senza grossi problemi dagli assistiti se il medico spiegasse in modo convincente che in quei casi l’attesa prevista non comporterebbe differenze in salute, tanto che non ha ritenuto di usare i codici di priorità (U=urgente, entro 72 ore;  B=breve, entro 10 gg;  D=differibile, entro 30 gg per visite, entro 60 per prestazioni strumentali, previsti dal Piano Nazionale di Governo Liste di Attesa/PNGLA 2010-2012).
 
In ogni caso, non bisogna continuare a diffondere l’idea sbagliata che l’Italia abbia un eccesso di spesa privata rispetto agli altri paesi confrontati.Al contrario, i dati OCSE 2017 mostrano che la spesa privata italiana complessiva è inferiore alla media dell’insieme dei paesi OCSE (in $PPP, cioè parificati per potere d’acquisto delle monete, la spesa privata totale italiana è di $ 847, quella della media OCSE di $ 1.066). Si aggiunga che la spesa privata totale italiana è anche inferiore a quella dei maggiori paesi europei con cui viene confrontata, ad es., nel Rapporto GIMBE 2017.  I dati, ripresentati senza omissioni e in modo trasparente, mostrano che l’intermediazione si associa a minor spesa out-of-pocket, e ciò è perfettamente ovvio!, ma non si associa affatto a una riduzione della spesa privata complessiva.  Il grafico dell’allegata Tab. 1 correttamente somma le due componenti della spesa privata dei cittadini, e documenta che la spesa privata totale italiana è inferiore a quella dei principali paesi europei e americani.
 
Si potrebbe addirittura sostenere che uno sviluppo relativamente minore della spesa privata intermediata costituisca uno dei fattore di contenimento della spesa privata totale.
 
Se ci si fermasse a riflettere, anziché accettare supinamente quanto da molti media continuano a ripeterci, ciò non dovrebbe stupire. Infatti le statistiche dell’ANIA (Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici) mostrano che nel ramo malattia le spese di gestione sfiorano il 26% dei premi versati dai soggetti assicurati. Se alle spese di gestione si aggiungono i fondi di riserva, le ri-assicurazioni, e nelle imprese commerciali i profitti , è lecito ipotizzare che il contributo degli assicurati sia pari ad almeno 1,5 volte il valore delle prestazioni e servizi effettivamente usufruiti.  A questi costi va aggiunta l’azione di induzione dei consumi esercitata dagli stessi terzi paganti privati, che può costituire un importante fattore di lievitazione della spesa nel medio periodo. Ciò non è immediatamente intuitivo, e meriterebbe una trattazione a parte, ma intanto va onestamente constatato (ad es., si può desumere dal Rapporto del Prof. Aldo Piperno).
 
Al di là di (doverosi) ragionamenti e dei dati nazionali elaborati dal Prof. Piperno, i dati OECD, accessibili a tutti e sintetizzati dalla Rete Sostenibilità e Salute https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato2972007.pdf, confermano che i paesi con alta spesa sanitaria intermediata hanno in media una più alta spesa sanitaria sia totale, sia pubblica, sia privata complessiva.  Tenendo ben presenti queste premesse, si dovrebbe ammettere che l’Italia non ha alcuna realistica prospettiva di veder ridurre la propria spesa sanitaria né pubblica, né privata a seguito di un aumento dell’intermediazione.
 
Sembra dunque giusto chiedere una correzione del Programma di Parisi, dove, partendo da un’analisi sbagliata, chiede “... contribuzione privata, associata a forme incentivanti di sgravi fiscali e meccanismi assicurativi o mutualistici, per consentire di liberare risorse...”.  In realtà la ricetta invocata non potrebbe certo “liberare risorse” per i più bisognosi!
 
Beninteso, tutti sono liberi di associarsi e cercare di ottenere migliori condizioni di fornitura di servizi e prestazioni, ma senza “forme incentivanti o sgravi fiscali”, che risultano sussidiati per paradosso proprio da quei 4 italiani su 5 che oggi non usufruiscono di questi servizi e prestazioni aggiuntive (oltre a essere in media meno abbienti e/o meno garantiti di chi ne sta beneficiando)!
 
Le ingenti risorse fiscali già oggi consumate per incentivare la spesa sanitaria privata intermediata, di cui da tante parti si invoca l’aumento in un prossimo futuro, sarebbero meglio reindirizzate verso un rifinanziamento del SSN, con attenzione particolare ai problemi che la popolazione sente come più gravi: offrire più assistenza odontoiatrica, più assistenza domiciliare ai non autosufficienti, abolire (questo sì!) i superticket per l’assistenza specialistica, ridurre le liste d’attesa per prestazioni efficaci e appropriate, disincentivando al tempo stesso le troppe prestazioni di bassovalue o che possono persino risultare iatrogene, che gonfiano molte liste d’attesa in modo disfunzionale.
 
Invece concordiamo con il Programma di Parisi, e ci piacerebbe confrontarci nel merito, quando chiede che “la valutazione del management dovrebbe fondarsi non solo su dati meramente economici, ma sui risultati prodotti in termine di salute per i cittadini”.
 
Lugi Gaetti
Senatore Movimento Cinque Stelle

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