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Giovedì 07 DICEMBRE 2017
Responsabilità medica. La Cassazione riconosce il risarcimento per una errata diagnosi che ha impedito ai genitori di poter scegliere l’aborto a causa delle malformazioni del feto

La terza sezione civile della Cassazione ha riconosciuto il diritto del danno da perdita di chance ai genitori causato dall’errore diagnostico per il mancato avviso della malformazione del nascituro poi nato senza gli arti superiori. Diritto che per la Cassazione va ritenuto sussistente anche se la malformazioni dopo la nascita possono essere giudicate non gravi in quanto non avrebbero inciso sull’espletamento di attività fisica e psichica. LA SENTENZA.

I genitori hanno diritto al risarcimento da perdita di chance per l’errore diagnostico e il mancato avviso della malformazione del feto al momento dell’ecografia. Lo ha deciso la Corte di Cassazione Civile con la sentenza 25849/2017.

Il fatto

I genitori di un minore hanno chiesto il risarcimento danni a un’azienda ospedaliera a seguito di invalidità permanente del 100% del figlio partorito,  sostenendo un errore diagnostico dovuto alla mancata individuazione delle malformazioni presenti nel feto al momento dell’ecografia e la conseguente omessa informazione che aveva impedito di esercitare il diritto, riconosciuto alla madre dall’art. 6 della legge n. 194 del 1978, di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza, con gravissime conseguenze per essi sul piano psichico e della qualità di vita.

Il Tribunale accoglieva la domanda del danno dei genitori e rigettava invece la domanda avanzata per conto del figlio. La Corte di appello, invece, escludeva il diritto dei coniugi al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita di chance. Tuttavia riconosceva un minor danno derivante dalla compromissione del diritto dei genitori a essere informati della malformazione del nascituro per prepararsi, psicologicamente e materialmente, all’arrivo di un bambino menomato. I genitori ricorrevano in Cassazione.

La sentenza
Secondo la Corte in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – essendoci i presupposti di legge - se fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia fetale.
Quest'onere può essere assolto tramite presunzioni, la praesemptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non avrebbe deciso l'aborto per ragioni personali.

La terza sezione civile della Cassazione ha riconosciuto il diritto del danno da perdita di chance ai genitori causato dall’errore diagnostico per il mancato avviso della malformazione del nascituro poi nato senza gli arti superiori.

Diritto che per la Cassazione va ritenuto sussistente anche se la malformazioni dopo la nascita possono essere giudicate non gravi in quanto non avrebbero inciso sull’espletamento di attività fisica e psichica.

La legge sull’aborto, la numero 194/78, consente l’aborto terapeutico quando le anomalie del nascituro mettono in pericolo la salute della mamma, anche sul piano psichico, ma non richiede anche che esse siano gravi o che si tratti di patologie che affliggono le capacità intellettive.
I giudici hanno accolto quindi il ricorso depositato da entrambi i genitori del piccolo nato senza braccia contro la decisione della Corte d’appello di Brescia che nel ribaltare la sentenza di primo grado del Tribunale dello stesso capoluogo lombardo, aveva escluso il risarcimento di un’ulteriore somma a titolo di perdita di chance (250 mila euro per la madre e 200mila per il padre) perché le malformazioni del bambino sono soltanto scheletriche e manca la prova che la signora avrebbe deciso per l’interruzione di gravidanza se fosse stata informata dopo l’ecografia.

Secondo la Cassazione, conclude la sentenza, “fermo il principio più volte ribadito da questa Corte secondo cui la rivalutazione monetaria e la liquidazione degli interessi sulla somma capitale liquidata a titolo di risarcimento del danno alla persona sono tecniche alternative volte alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione anteriore all'illecito (…), il risarcimento del danno da illecito aquiliano integra un debito di valore, dovendo il danno alla persona essere compensato con riferimento alla data dell'illecito, atteso che a tale data il danneggiato aveva diritto a conseguire l'equivalente monetario liquidato in forma equitativa, con la conseguenza che, ove il giudice di merito abbia inteso riconoscere - come nel caso di specie - gli interessi compensativi al tasso legale, quale tecnica risarcitoria della mancata tempestiva disponibilità dell'equivalente monetario (lucro cessante), non può prescindere dal riferimento temporale indicato, e dunque sulla residua somma capitale (per danno biologico e danno morale) ancora dovuta al danneggiato, liquidata nella sentenza di primo grado, è tenuto ad attribuire l'integrale ristoro dello specifico danno patito, non assumendo a tal fine alcun rilievo la diversa data di pubblicazione della decisione di primo grado, e fermo restando il principio che il risarcimento non deve essere fonte di indebita locupletazione, con la conseguenza che gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell'illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio.

Quindi "la Corte d'appello, liquidando gli interessi compensativi a far data dalla pubblicazione della sentenza di primo grado, non si è attenuta ai principi di diritto indicati e deve essere cassata in parte qua”.

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