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Mercoledì 29 NOVEMBRE 2017
Equo compenso. Antitrust boccia la norma del decreto fiscale: “Viola principi concorrenziali”
La disposizione, nella misura in cui collega l’equità del compenso a paramenti tariffari - spiega l’Antitrust - reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti cosiddetti “forti” e ricomprende anche la Pubblica Amministrazione. IL DOCUMENTO DELL'ANTITRUST.
Dopo i dubbi sulla reale applicabilità della norma anche alle professioni sanitarie che avevamo espresso alcuni giorni fa sul nostro giornale, arriva ora una bocciatura senza appello da parte dell’Antitrust dell’intero impianto dell’equo compenso previsto dal decreto fiscale ora all’esame della Camera.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha segnalato infatti lacontrarietà ai principi concorrenziali di quanto previsto dall’art. 19 quaterdecies del decreto, in tema di “equo compenso” per le professioni, che introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra i professionisti e alcune categorie di clienti, che fissino un compenso a livello inferiore rispetto ai valori stabiliti in parametri individuati da decreti ministeriali, sono da considerarsi vessatorie e quindi nulle.
La disposizione, nella misura in cui collega l’equità del compenso a paramenti tariffari contenuti nei decreti anzidetti, - spiega l’Antitrust - reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti c.d. “forti” e ricomprende anche la Pubblica Amministrazione.
L’Autorità ha sottolineato come, secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, le tariffe professionali fisse e minime costituiscano una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione.
Tale intervento – sottolinea ancora l’Antitrust - laddove approvato nei termini proposti, determinerebbe un’ingiustificata inversione di tendenza rispetto all’importante e impegnativo processo di liberalizzazione delle professioni in atto da oltre un decennio e a favore del quale l’Autorità si è costantemente pronunciata, né risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale.
Inoltre – conclude l’Authority - eventuali criticità connesse all’elevato potere di domanda potrebbero essere affrontate attraverso un migliore utilizzo delle opportunità offerte da nuovi modelli organizzativi o dalle misure recentemente introdotte dal Jobs Act per tutelare i lavoratori autonomi in situazioni di squilibrio contrattuale e non tramite la misura in questione, che avrebbe l’unico effetto di alterare il corretto funzionamento delle dinamiche di mercato e l’efficiente allocazione delle risorse.
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