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Lunedì 23 OTTOBRE 2017
Dolore al tallone. Plantari universali efficaci come quelli personalizzati
Buone notizie per chi soffre di dolore al tallone, in particolare per gli sportivi. Nel ridurre il sintomo i plantari universali sono efficaci come quelli costruiti su misura. Nei primi giorni, per una maggiore efficacia analgesica, al plantare andrebbe affiancata una terapia antinfiammatoria
(Reuters Health) – I plantari universali comunemente venduti in farmacie e parafarmacie sono efficaci quanto quelli personalizzati nel ridurre il dolore del tallone, anche se impiegano un po’ più di tempo per regalare comfort a chi li porta. È quanto ha dimostrato uno studio pubblicato dal British Journal of Sports Medicine. La ricerca è stata coordinata da Glen Whittaker, ricercatore alla La Torbe University di Victoria, in Australia.
Lo studio
Whittaker e colleghi hanno analizzato i dati provenienti da 19 studi pubblicati per un totale di 1.660 partecipanti. Dai risultati sarebbe emerso che gli inserti ortopedici avrebbero funzionato leggermente meglio di quelli universali nel ridurre il dolore, dopo essere stati indossati per qualche tempo, da circa sette a 12 settimane. Nello stesso periodo, i plantari personalizzati avrebbero funzionato un po’ meglio nel ridurre il dolore del tallone, ma la differenza sarebbe stata minima. Inoltre, secondo gli autori, non ci sarebbero benefici per un uso inferiore alle sei settimane o superiore alle 12. La più comune causa di dolore al tallone è la fascite plantare. Ridistribuendo la pressione dal tallone all’arco del piede, i plantari possono ridurre il dolore. All’inizio, inoltre, sarebbe bene associare l’uso dei plantari con farmaci che riducono dolore e infiammazione. Mentre altre possibilità terapeutiche sono l’iniezione di corticosteroidi o l’utilizzo di nastri per alleviare la pressione sul tallone.
“La nostra ricerca suggerisce che i plantari sono una valida opzione per il trattamento del dolore al tallone”, ha dichiarato Whittaker. “Inoltre, prima di tutto si dovrebbero utilizzare le protesi universali per passare poi, eventualmente, a quelle personalizzate, qualora le prime non funzionassero”, ha precisato il ricercatore australiano.
Fonte: British Journal of Sports Medicine
Lisa Rapaport
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
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