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24 SETTEMBRE 2017
Gli infermieri e l’equo compenso



Gentile Direttore,
desidero riprendere quanto la proposta della presidente Ipasvi Mangiacavalli riguardo l’applicazione anche alla professione infermieristica del DDL sull’equo compenso. Ho affrontato più volte la questione del precariato poiché vivo in una terra, la Sicilia, dove spesso la politica fa del precariato una virtù elettorale dato che un esercito di precari ha una libertà di espressione (e di voto) ridotta ai minimi termini, quindi più facilmente indirizzabile da scelte politiche.
 
L’attività libero professionale infermieristica è stata introdotta in Italia come una conquista e tale è stata fino all’arrivo della crisi economica che, con il blocco delle assunzioni e della spesa sul personale, ha strutturato giocoforza meccanismi di compensazione, dando vita ad un esercito di schiavi moderni inseriti nel servizio del Sistema Sanitario Nazionale sotto la voce economica “spese per beni e servizi”.
 
In Sicilia, come in molte zone del meridione - ma non solo - piuttosto che aumentare i posti di lavoro si aumenta il precariato proprio attraverso l’attività libero professionale reclutando giovani senza tutele, senza protezione sociale e con uno stipendio ridicolo per un professionista “responsabile” dell’assistenza infermieristica (8/10 euro lorde l’ora!).
 
Niente ferie pagate, niente malattia pagata, niente permessi retribuiti per aggiornamento. Tutti doveri, ZERO diritti. Neanche i Medici da questo punto di vista credo stiano meglio, anzi spesso essendo “dirigenti” questi professionisti vengono assunti come consulenti.
 
Un ulteriore aspetto di questi “liberi schiavi” che li rende particolarmente appetibili per le amministrazioni è la peculiarità che la normativa europea sull’orario di lavoro (d.lgs 66/2003) non si applica ai libero professionisti: come liberi professionisti possono essere “indotti” anche a lavorare 18 ore giornaliere (es. notte e mattina o pomeriggio e notte).
Mi Permetto allora una breve riflessione: le politiche volte all’aumento della flessibilità del lavoro sono diventate estremamente pericolose, creano iniquità sociali e salari più bassi rispetto agli altri professionisti che, pur lavorando nello stesso identico modo con le stesse responsabilità (spesso nella stessa Unità Operativa), beneficiano di salari più alti e migliori livelli di protezione sociale.
 
Le aziende, approfittando della disoccupazione infermieristica, offrono tariffe orarie sempre più al ribasso creando una forma di concorrenza viziata che permette di assumere un professionista al costo di una badante. Attraverso questa forma di reclutamento del personale si risanano i bilanci e si sfruttano i lavoratori che si vedono costretti ad accettare un contratto “libero professionale” ma di fatto da lavoratore dipendente senza però le relative prerogative e tutele.
 
Credo sia arrivato il momento di dire basta a questo scempio. Abbiamo sempre affermato come il lavoro sia da considerare un valore e non un costo e che tali politiche hanno spesso conseguenze perverse sulla performance delleconomia locale e nazionale. Non si può far sempre affidamento sulla flessibilità per risolvere i problemi di carattere economico-organizzativo, poiché a nostro avviso ne sorgono altri di natura giuridica che calpestano i più elementari diritti di chi è costretto dalla necessità di un lavoro che gli dia sostentamento, ad accettare qualsiasi cosa (demansionamento compreso), anche a scapito della sicurezza dei pazienti osservando orari assurdi.
 
Inoltre più il lavoro è flessibile più lo stesso va remunerato secondo una logica che vede nella precarietà della flessibilità, meno protezione sociale. C’è bisogno di una regolamentazione che definisca chiaramente l’equo compenso per le prestazioni intellettuali a seconda del lavoro svolto, della responsabilità intrinseca e dell’impegno professionale profuso.
 
Visto l’espandersi di questa nuova forma di “schiavitù libero-professionale”, come sindacato infermieristico, abbiamo deciso di dare assistenza legale per chiarire che il lavoro a turni ed eterodiretto non ha le caratteristiche di una collaborazione libero professionale e pertanto volgiamo far riconoscere il regime di subordinazione e dipendenza con l’azienda sanitaria o, quantomeno, chiedere il ristoro del danno per violazione di norme di legge.
 
Dr. Salvatore Vaccaro
Dirigente nazionale Nursind

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