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Lunedì 04 SETTEMBRE 2017
Specializzazioni. Quale futuro offriamo ai nostri medici e al Ssn?



Gentile Direttore,
il ricambio generazionale è un argomento costante negli ultimi tempi, ma Ministero, Regioni e Università sembrano impermeabili ai richiami sui media dei rappresentanti del medici a vari livelli. L’ultima farsa in ordine di tempo è la mancata pubblicazione dei bandi per l’accesso alla scuola di specialità per i neolaureati. Nei fatti si trattengono in servizio gli ultrasessantenni e si blocca l’accesso ai giovani. Sono già circa 8.000 i laureati che si sono accumulati negli ultimi anni senza accesso né alla specialità né al corso triennale dei medici di medicina generale, confinanti in una specie di limbo, condannati a perdere anni di lavoro stabile nell’attesa di completare la formazione più lunga di tutte le professioni esistenti resa obbligatoria per legge, per un posto di lavoro conseguente al loro status di medici .

Tutto sembrava essere pronto a fine luglio con la firma del Ministro Lorenzin sul decreto che fissava a 6.105 il numero di contratti per i medici specializzandi. Pochi, in verità, come lamentato anche dalla Fnomceo e sindacati medici che ne chiedevano almeno mille in più per attenuare la discrepanza tra numero di laureati e posti per la specializzazione. Ora questo iter, Ministero dell’Istruzione e dopo quello dell’Economia, si incrocia però con quello per l’emanazione, da parte del Miur, del Regolamento per il Concorso e con i nuovi criteri per l’accreditamento delle Scuole.
Qui il meccanismo si è inceppato: una scuola su dieci non avrebbe i nuovi requisiti necessari.

La Fnomceo denuncia il fatto con due lettere spedite in questi giorni al Ministro della Salute, e al Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, per sollecitare un incontro a seguito delle ultime notizie della stampa. Peraltro il decreto per l’accesso a medicina e chirurgia viene pubblicato con i posti diminuiti: i posti disponibili sono 9.100 per medicina e chirurgia, 908 per odontoiatria, 655 per Veterinaria, 501 per Medicina in lingua inglese. Ma con la libera circolazione in Europa arrivano medici e specialisti oltre confine e gli italiani vanno all’estero per specializzarsi - spesso i migliori non tornano più.

Esistono dei dati oggettivi: le curve di anzianità. Fnomceo, Enpam, Fimmg, Sindacati della Dipendenza sono uniti nella richiesta di aumentare il numero di posti nelle Scuole di Specializzazione sia per i posti del triennio formativo per la Medicina del Territorio.

Il LINK-Coordinamento Universitario denuncia un “sistema di programmazione del tutto inadeguato sia perché continua a prevedere una sacca di precariato, lungi dall’essere riassorbita, tra la laurea e l’ingresso in specializzazione, sia perché il numero di borse di specializzazione ad oggi bandite è inadeguato a garantire il recupero dei pensionamenti complessivi dei medici e chirurghi del SSN, come denunciato sia da molte società scientifiche (ad esempio la Società Italiana dei Pediatri) sia dalle Regioni “ (Veneto compreso n.d.a.).

Da ex specializzando considero inconcepibile la superficialità con cui viene trattato un passaggio fondamentale per dei professionisti ormai laureati.

La specialità è obbligatoria ormai da molti anni per esercitare la professione in ospedale, all’università, in una casa di cura in ambiente specialistico, con la sola laurea in medicina e chirurgia, sempre 6 anni di studi , la più lunga e impegnativa di tutti i corsi di laurea da sempre, al neolaureato resta poca scelta .  

Dovranno essere i cittadini a richiedere il necessario rinnovo della classe medica scientificamente mutilata nei numeri con deficit prevedibile di assistenza pubblica se vogliono conservare un SSN così come lo conosciamo adesso, pur con tutti i suoi limiti .

Condivido qui una riflessione in merito di Roberto Mora, presidente dell'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Verona.

“La Regione Lazio ha approvato un Decreto del Commissario ad Acta (28/6/17) ed ha istituito il ‘tempario regionale di riferimento delle prestazioni specialistiche ambulatoriali individuate come critiche’. In buona sostanza si è definito il tempo che un medico deve dedicare alla prestazione, comprendendo in questo, presumo, anche quello che si deve riservare alla comunicazione con il paziente.Questo per poter meglio programmare le prestazioni erogate, far risparmiare tempo e, quindi, accorciare le liste di attesa. I colleghi laziali dovranno eseguire un elettrocardiogramma in 15 minuti, una spirometria in 20, una gastroscopia in 30, un'ecografia di mammella in 20, una RM in 35 minuti, una visita neurologica in 20 minuti ed una elettromiografia in 5 minuti. La regione Lombardia sembra intenzionata a fare altrettanto. Da noi, in Veneto, la Regione ha deciso di cambiare i codici di esenzione per patologia. Per alcuni di questi la classificazione a tre cifre è passata a quattro cifre.

Tanto è bastato a far saltare molti software di cartella clinica alla Medicina del Territorio.

Migliaia di esenzioni sono state cancellate o annullate, con il risultato che i pazienti hanno ricevuto prescrizioni senza esenzione ed hanno dovuto pagare ticket non dovuti (con beneficio delle casse delle ASL…..).

E’ necessario adeguare i campi delle esenzioni a quelli della ASL e della Regione. Lavoro circa 30 secondi a paziente; ma moltiplicandolo per 1.500 pazienti sono ore di lavoro in più senza parlare della spiegazione all’utenza per cui certe prestazioni adesso si pagano. Nel Codice Deontologico, all’art.20, sta scritto che ‘il tempo della comunicazione è un tempo di cura’. Al momento in Veneto, i sindacati della medicina generale sono sul piede di guerra e si preparano allo sciopero. Sono stufi della burocrazia che ha trasferito sui medici il lavoro degli amministrativi, stufi delle promesse non mantenute”.


Mi sembra un problema comune dopo 8 anni senza contratto e vista l’evoluzione informatica a nostro carico a livello ospedaliero.  

Tra i nodi comuni ospedale-territorio quella che a fronte della riduzione dei posti letto negli ospedali si sarebbero potenziate le strutture che dovevano sopperire alla loro diminuzione e la riorganizzazione della medicina generale con l’avvio delle medicine di gruppo integrate con le dotazioni di personale di segreteria e di infermieri. Sul perché questo accada in minima percentuale ognuno dice la sua. E’ certo che con il taglio dei post letto i problema si riflette sui medici ospedalieri con i ricoveri in appoggio e degenze prolungate di pazienti che hanno perso la loro autosufficienza ma non trovano posto né nelle RSA, né negli Hospice o negli ospedali di comunità.

Sono convinto che l’opposizione a questa ennesima applicazione in medicina di criteri organizzativi puri di tipo aziendale decisamente perfettibili debba essere esercitata tanto dagli Ordini quanto dai Sindacati Medici e dalle Società Scientifiche, dalle Facoltà di Medicina. In particolare le Società Scientifiche non possono tacere su una materia in cui possono dimostrare la loro diretta competenza sulla base della letteratura internazionale.

Tutte le forme associative dei medici sopra citate dovranno necessariamente affrontare unitariamente il tema del tempario, un tema che deve essere analizzato insieme a quello della liste d’attesa, alla carenza di medici specialisti ed alla organizzazione del lavoro nei reparti dedicati.

Serviranno determinazione e sinergie all’interno della professione medica nell’affrontare tali questioni prima che Ministero, Regioni ed Aziende, che nei fatti governano l’erogazione di tali prestazioni, decidano sulla testa dei medici, seguendo logiche che snaturano il nostro lavoro quotidiano a svantaggio della qualità globale del servizio prestato al cittadino - paziente sempre e solo sula base di un possibile minimo risparmio economico,

Secondo la relazione 2016 della Corte dei Conti in Italia gli importi destinata alla spesa sanitaria sono inferiori della metà a quelli dei tedeschi e del 20% a quelli francesi. La compartecipazione dei cittadini nel 2013 costituiva il 3,2% della spesa complessiva, a fronte di importi ben più contenuti in Germania (1,8%) e Francia (1,4%).  

In tempi di risanamenti miliardari in euro della banche fallite, i pazienti alla fine sono costretti sempre più a pagare sempre più di tasca propria, per chi se lo può permettere, o rinunciano alla cure

Nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente). Di questi 2/3 sono affetti da malattie croniche, a basso reddito, le donne e i non autosufficienti. Non solo: 7,8 milioni di italiani hanno dovuto utilizzare per le spese sanitarie tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o presso banche e istituti di credito vari. E la spesa di tasca propria per la sanità è salita a 35,2 miliardi di euro (+4,2% nel periodo 2013-2016). Sono alcuni dei dati emersi dal VII Rapporto RBM – Censis sulla Sanità in Italia, presentati in occasione del 7° Welfare Day.  dello scorso 7 giugno 2017.

Credo che la nostra categoria debba fare la sua parte anche in questo, con adeguate denunce all’opinione pubblica visto che abbiamo deciso, molto tempo fa, di fare i medici .

Giovanni Leoni
Presidente OMCeO Venezia

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