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Venerdì 23 GIUGNO 2017
Congresso Sie/3. Multifattorialità e multidisciplinarità nell’endocrinologia 2.0

Tanti gli argomenti trattati durante il 39° Congresso della Società italiana di endocrinologia. Dalla medicina di genere all’andrologia, dall’osteoporosi al tabagismo, passando per alimentazione e obesità. Ecco alcuni spunti di riflessione.

“L’endocrinologia muore se non è capace di rinnovarsi con la medicina della salute”. Tante volte nel corso dei simposi e delle letture congressuali è stata ripetuta questa frase emblematica e rappresentativa dell’endocrinologia 2.0 di cui si sono fatti promotori tutti i relatori e i partecipanti di questi giorni di lavori. Endocrinologia 2.0 perché caratterizzata da multifattorialità e multidisciplinarità. Da qui proprio muove l’intenzione di approfondire diverse tematiche che possono quasi sembrare lontane dall’endocrinologia pura, ma che in realtà non lo sono. Tanti gli argomenti trattati e tanti gli spunti di riflessione, dalla medicina di genere all’andrologia, dall’osteoporosi al tabagismo, passando per alimentazione e obesità.
 
La medicina di genere. Gli endocrinologi della Sie hanno puntato i riflettori su uno dei temi principe per un corretto approccio alle cure: la Medicina di genere. Una tematica al centro del del simposio “Quali evidenze per un approccio di genere alle malattie endocrino-metaboliche”.
“La medicina di genere è una realtà scientifica, è una realtà dell’accademia, ma che purtroppo non è ancora arrivata nella pratica clinica ed è questo il momento per farcela arrivare”, ha sottolineato Flavia Franconi, Assessore alla Sanità della Regione Basilicata. Per far arrivare la medicina di genere in un contesto globale, servono leggi, servono decreti e serve un impegno a livello di istituzioni e di Regioni.
 
“Dal prossimo anno accademico per esempio – ha sottolineato – la medicina di genere sarà presente in tutti i corsi della facoltà di medicina e questo faciliterà l’ingresso di questo tipo di medicina, per esempio, nelle corsie degli ospedali di domani. Non tener conto del genere significa non tener conto delle differenze che ci sono nell’accesso alle cure; non dimentichiamo che in tutto il mondo le donne con infarto del miocardio ricevono meno terapia riperfusiva rispetto agli uomini. Dobbiamo cominciare a studiare i farmaci nelle donne. A questo proposito è importante sottolineare che proprio in questi giorni è ripartito il gruppo farmaci e genere dell’Agenzia italiana del farmaco, senza contare poi il Decreto Lorenzin che prevede la medicina di genere”.
 
A livello regionale, ha poi ricordato Franconi, “la Lombardia e la Basilicata hanno messo la medicina di genere negli obiettivi dei direttori generali per i salari accessori e la Basilicata ha previsto che tutti i percorsi diagnostici terapeutici trattino anche di aspetti di genere”. “Fare medicina di genere quindi significa da una parte andare verso la medicina di precisione e dall’altra parte prendere in considerazione la persona nella sua totalità perché la medicina di genere studia un uomo e una donna nel suo ambiente. Questa nuova dimensione della medicina considera non sono le differenze biologiche, ma anche le differenze di contesto in cui le persone vivono. Non siamo solo un maschio o una femmina, ma siamo un uomo e una donna che vivono in quella determinata società, in quel contesto in quel clima in quel Paese”, ha concluso Franconi.
 
Alimentazione e obesità: quali nuove possibilità? Il tema dell’alimentazione legato alle patologie dismetaboliche e all’obesità in particolare è stato uno degli argomenti cardine del Congresso. Un focus quindi sulla terapia dell’obesità e sulle nuove metodologie di cure era d’obbligo, come ad esempio la stimolazione magnetica transcranica profonda. “La stimolazione magnetica transcranica profonda viene utilizzata dai neurologi per indicazioni neurologiche da circa una decina d’anni. Per esempio negli Uda è approvata dall’Fda per la terapia della depressione maggiore”, ha sottolineato Livio Luzi, ordinario di Endocrinologia del Policlinico San Donato, Università degli studi di Milano. “La nostra idea - ha proseguito - è stata quella di utilizzarla nella terapia dell’obesità perché in via sperimentale è attualmente testata nelle forme di dipendenza, nelle forme di addiction tra cui il fumo e l’alcool”.
 
L’ipotesi quindi è stata che “l’obesità sia un’addiction al cibo, una dipendenza da cibo, e che il meccanismo neurofisiologico sia esattamente lo stesso di un atro tipo di addiction”. In pratica il sistema neurofisiologico del nostro cervello che tende a rilasciare dopamina quando proviamo piacere per qualcosa; per tanto quindi, come il fumatore rilascia dopamina dopo essersi acceso una sigaretta, il soggetto obeso rilascia dopamina quando mangia. “Ora, l’obesità è caratterizzata da un difetto del rilascio di dopamina, quindi l’obeso continua a mangiare fino a quando il suo livello di dopamina intracerebrale non diventa normale. A questo punto sia il razionale di terapie farmacologiche che sono in via sperimentale sia del nostro metodo è di aumentare il livello di dopamina intracerebrale in modo che l’obeso abbia la percezione della sazietà - ha precisato - La cosa particolarmente interessante che ha dato origine a tutta una serie di altri progetti è che sebbene il trattamento si interrompa dopo 5 settimane l’effetto di perdita del peso persiste per 6 mesi quindi c’è un effetto memoria che stiamo studiando e una delle nostre ipotesi è che si vada a modificare ad esempio il microbiota intestinale in modo permanente da parte di questa metodica”, ha concluso Luzi.
 
Andrologia: una disciplina che necessita di fare leva sulla prevenzione. “Andrologo questo sconosciuto, soprattutto ai giovani adulti”. Queste le parole di Alberto Ferlin, Presidente Siams, Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità. “I ragazzi non sanno chi è l’andrologo e non fanno quella che è la prevenzione andrologica. La differenza con le ragazze è fondamentale perché loro sono abituate per tradizione ad andare dal ginecologo e sono abituate a fare prevenzione. Anche se l’uomo non è abituato a fare prevenzione andrologica, questa è fondamentale. Non è importante solo andare dall’andrologo solo quando i figli non arrivano, a 35-40 anni, ma sarebbe molto più importante andare a fare una visita andrologica di screening in età molto più precoce. Questo vuol dire quando si inizia la pubertà. Questo è molto importante perché tutte le patologie che in realtà noi vediamo nell’adulto sia di fertilità sia di disfunzione sessuale possono trarre origine proprio da problematiche che si sviluppano durante l’età pediatrica”, ha precisato l’esperto.
 
Tabagismo e sessualità: le direzioni della ricerca. Tema caldo e a tratti scomodo quello del tabagismo e della salute è sempre trattato con sospetto. Al contrario però, “il simposio sul tabagismo è stato una grandissima innovazione in questo congresso in quanto parlare di tabagismo può sembrare antitetico nell’ambito di una società scientifica, ma in realtà così non è perché i danni del fumo sulla salute sessuale della coppia sono a tutti ormai noti”, ha precisato Antonio Aversa, professore di endocrinologia dell’Università Magna Grecia di Catanzaro. “La posizione della Società italiana di Endocrinologia a riguardo è una posizione molto precisa perché guarda al futuro e riguarda le nuove sigarette ad assenza di combustione. Una sigaretta innovativa quindi che non contiene i principi dannosi per l’uomo da tutti riconosciuti si tradurrà in un impatto sociale di grande rilevanza”, ha proseguito.
 
“La vita sessuale è estremamente condizionata dall’abitudine del fumo”, ha rivelato Emmanuele Angelo Francesco Jannini, ordinario di endocrinologa e sessuologia dell’Università Tor Vergata di Roma. “Il fumo agisce sulla sessualità in maniera estremamente negativa prima di tutto attraverso i fattori della combustione che creano una riduzione della tensione di ossigeno, della quantità di ossigeno che arriva ai tessuti. ovviamente ci sono dei tessuti più sensibili a questa carenza e altri meno ma quello più sensibile in assoluto è proprio quello genitale”.
 
Gli fa eco Francesco Lombardo, Professore Associato Università Sapienza di Roma: “Che il fumo di sigaretta faccia male ormai è un dato di fatto”, ha precisato. “Fin ora ci si è concentrati principalmente sul polmone, ma negli ultimi anni sono uscite numerose evidenze che dicono che il fumo di sigaretta può alterare la vita sessuale da una parte, soprattutto nell’uomo e soprattutto il meccanismo dell’erezione, e può alterare anche la fertilità. I prodotti del fumo di sigaretta possono agire anche sulla capacità degli spermatozoi di fecondare un ovocita. Noi medici cerchiamo costantemente di convincere i nostri pazienti a smettere di fumare, cosa direi molto difficile e quindi cerchiamo di indurli a diminuire quanto meno il carico giornaliero. In aiuto ci vengono le nuove tecnologie. Dispositivi più o meno elettronici stanno sempre più prendendo piede proprio grazie al fatto che sono in grado di non creare combustione. Questo è di fondamentale importanza perché i danni più importanti alla salute sono dati dalla combustione e non dalla nicotina. Ora, naturalmente, la prima speranza è che il paziente smetta di fumare, ma se proprio vuole continuare, lo faccia con dei dispositivi che riducono al minimo il danno”.
 
Le malattie ipofisarie. Ampio spazio è stato dato a questo importante e delicato capitolo con due simposi, di cui uno promosso da SIE insieme alla Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica che vede riuniti esperti di patologie endocrine rare, l’altro che passa in rassegna tutti gli aspetti legati alla prescrizione dei nuovi farmaci utilizzati in anni recenti per il trattamento delle patologie ipofisarie, come l’acromegalia.
Malattia rara a lenta evoluzione e poco nota, l’acromegalia è dovuta ad un tumore benigno della ghiandola ipofisaria responsabile dell’eccessiva e prolungata secrezione di ormone della crescita GH. La sintomatologia, spesso trascurata in fase iniziale tanto che la diagnosi può essere molto tardiva, è caratterizzata da un ingrossamento, in lunghezza e larghezza, delle ossa delle mani, dei piedi e del volto e dall’aumento di volume di alcuni organi interni, a cui si associano importanti complicanze. L’acromegalia è considerata una malattia rara sebbene in Italia, con un’incidenza di 5-6 nuovi caso all’anno e una prevalenza di 60-70 casi per milione di abitanti, colpisca alcune migliaia di persone, riducendo loro l’aspettativa e la qualità di vita.
 
Meno della metà (45%) dei pazienti acromegalici non raggiunge il controllo della malattia con le terapie tradizionali: di recente tuttavia si è registrata una vera e propria rivoluzione sia nel modo di valutare il paziente, consentendo una più tempestiva identificazione della patologia e un precoce intervento sui sintomi prima che si aggravino, sia per l’arrivo sulla scena di terapie molto avanzate con farmaci innovativi di nuovissima generazione, efficaci e assai ben tollerati, che permettono di tenere sotto controllo i sintomi e consentono ai pazienti di ritornare alla normale quotidianità. “Lo scenario delle opzioni terapeutiche per il trattamento delle patologie rare si sta ampliando e nuove importanti opportunità si aprono per i pazienti affetti da acromegalia, tutto questo soprattutto grazie  all’enorme impulso dato dai nuovi farmaci che hanno fornito la possibilità di offrire ai pazienti affetti da acromegalia decisivi momenti di cura - ha commentato Andrea Lenzi, Presidente Sie - attualmente per questa patologia abbiamo 2-3 linee di farmaci che sono applicabili in successione o nei casi in cui vi sia resistenza ad uno di essi”, ha concluso il presidente Sie.
 
Lo scheletro come organo endocrino. “Lo scheletro è ormai considerato un organo endocrino ed ecco perché nell’ambito della Sie dedichiamo sessioni specifiche a questa patologia a quella che è la regolazione del metabolismo scheletrico”, ha sottolineato Silvia Migliaccio dell’Università Foro Italico di Roma. In particolare il tessuto scheletrico è un organo bersaglio degli ormoni ma è anche un produttore di ormoni e quindi viene considerato un organo endocrino. È chiaro che la patologia dell’osteoporosi deve essere curata e prevenuta e essendo una patologia metabolica cronica i farmaci che devono essere impiegati devono essere utilizzati per lunghi periodi. La ricerca è andata avanti in queste ultime decadi e quindi abbiamo numerosi farmaci che possono controllando e modulando quella che è l’attività delle cellule ossee, il rimodellamento dello scheletro e quindi organizzare e rimodulare omeostasi e quindi la fisiologia dello scheletro e a questo punto prevenire e diminuire il rischio di fratture”, ha concluso l’esperta.

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