quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Lunedì 12 GIUGNO 2017
Il Comune di Roma non rispetta il parto in anonimato
Gentile Direttore,
due interrogazioni rivolte ai Ministri degli Interni, della Salute e della Giustizia sono state depositate da senatrici sia del centrodestra (Bonfrisco e Rizzotti) che del centrosinistra (Silvestro e Maturani), in queste ultime settimane, in relazione al contenzioso sollevato dagli Uffici dell’Anagrafe Centrale di Roma Capitale nei confronti degli operatori della sanità romana circa il rispetto del DPR 396/2000 che sancisce la tutela del diritto della donna a partorire in anominato.
Ricordo che tale normativa è stata approvata con lo scopo di combattere il fenomeno dell’abbandono di neonati, trovati spesso privi di vita in strada o gettati nei cassonetti, crimine che in passato si tentava di ridurre con l’utilizzo della ruota posta all’esterno di chiese e monasteri.
Nel nostro Paese, la coscienza laica della politica, nel rispetto dei diritti universali dei minori sancito dai trattati internazionali, ritenendo doveroso rispondere a quanto contenuto in tali accordi, ha legiferato in tal senso.
“Il parto in anonimato” vuol significare che la donna partoriente che entra in ospedale ha diritto ad essere ad essere assistista a tutela della sua salute e del bambino ma ha altrettanto diritto che le sue generalità siano secretate e consentire, pertanto, alle Autorità competenti di procedere all’attivazione del percorso adottivo, come previsto dalla normativa vigente.
E’ noto che il codice deontologico degli operatori sanitari prevede l’obbligo di assistenza al paziente, in questo caso la partoriente, anche nel caso in cui dovesse rifiutarsi di declinare le proprie generalità e l’obbligo di conservare il segreto professionale circa la volontà di anonimato della donna che partorisce e che manifesta la volontà di non essere nominata, come sancito dal DPR citato.
Questi valori di civiltà, sostenuti da fondamenti legislativi, vengono messi in discussione dall’apparato burocratico di Roma Capitale che incredibilmente manifesta di essere “scarsamente informato” su una materia così delicata. Infatti, alcuni funzionari dell’Anagrafe Centrale Capitolina hanno recentemente contestato la mancata trasmissione agli Uffici anagrafici delle generalità della partoriente in anonimato, ritenendosi depositari di tale segreto e violando pertanto la finalità stessa della legge, fino a minacciare di denunciare gli operatori sanitari che non consegnano a detti uffici la busta contenente i dati della donna. Tale atteggiamento da parte del Comune di Roma permane ostinatamente, come ha dichiarato e confermato il legale del Collegio Professionale delle Ostetriche, avv. Marco Croce, nonostante i tentativi esperiti di chiarimenti circa la normativa vigente.
La questione è stata sollevata a causa di un’interpretazione impropria ed erronea di una sentenza della Cassazione Civile SS.UU., sentenza 25/01/2017 n.1946, da parte di intraprendenti funzionari capitolini, relativa a un caso di persona adottata che al compimento dei diciottesimo anno ricorreva per conoscere le generalità della madre naturale anonima che si era avvalsa del DPR n.396/2000. Una sentenza che trae origine da una carenza legislativa in merito all’accoglimento di richiesta di conoscere le generalità della propria madre biologica e che affida al giudice la decisione dell’eventuale prosieguo.
Tuttavia l’accoglimento di tale richiesta, soggetta poi alla decisione del Tribunale, non comporta che il nominativo della madre sia conservato negli Uffici dello Stato Civile del Comune bensì che rimanga nei registri dell’ospedale dove è stato secretato e dal quale il Tribunale acquisisce i dati, in busta sigillata, trattenendoli per il tempo necessario di utilizzo e riconsegnarli in busta sigillata alla stessa struttura sanitaria.
Risulta che la Regione Piemonte abbia dato disposizioni circa le generalità della madre anonima affinché siano conservate presso gli Uffici di Pubblica Tutela del Comune Metropolitano ma, a parere della past Presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Melita Cavallo, “fino all’emanazione del provvedimento legislativo in itinere, i dati della donna, conservati e sigillati in busta chiusa, devono rimanere presso la struttura sanitaria dove è avvenuto il parto” e che, infatti, conserva il certificato di assistenza al parto e la cartella clinica con un codice dal quale non si può risalire alla generalità della stessa se non conoscendone il sistema di collegamento.
Stupisce l’assordante silenzio del Campidoglio, in questa dolorosa vicenda, che rischia di alimentare e, certamente, non prevenire l’infanticidio, gettando inquietanti ombre sul diritto al parto in anominato, con motivazioni che l’Amministrazione Capitolina interpreta erroneamente riportandole a mere procedure burocratiche.
Di fronte agli ultimi drammatici episodi di infanticidio, si chiede che l’indifferenza dell’autorità politica del Campidoglio circa il comportamento degli uffici capitolini sia superata con un deciso intervento da parte della Sindaca e dell’Assessora preposta alle Politiche della Salute al fine di dare sostegno alla tutela dei diritti delle donne e dei neonati che rischiano di nascere in situazioni di forte criticità e fragilità, con conseguenze troppo spesso drammatiche.
L’esortazione al Comune di Roma va nella direzione di dare la massima diffusione della conoscenza del diritto del parto in anonimato, invece che ostacolarne la sua applicazione, per prevenire e ridurre il numero di casi di morte per abbandono o infanticidio che nel nostro Paese si attesta su dati superiori alla media dei Paesi europei.
Altrettanto auspicabile, come richiesto da più parti, sarebbe l’intervento dei Ministri ai quali è stata inviata l’interrogazione che pronto ed efficace ristabilisca il diritto sancito del DPR n.396/2000 e proponga una campagna, su tutto il territorio nazionale, per diffondere l’istituto del parto in anonimato.
Carla Scarfagna
Sociologa, già giudice onorario minorile
© RIPRODUZIONE RISERVATA