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Venerdì 14 APRILE 2017
I nostri dubbi sullo studio Fourier



Gentile Direttore,
il 17-3-2017 è comparsa su QS una presentazione del grande trial FOURIER su oltre 27.500 pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica in terapia con statine, trattati con l’inibitore PCSK9 evolocumab nel braccio sperimentale e con placebo nel braccio di controllo.

L’articolo sottolineava gli “ottimi risultati” di evolocumab, con riferimento a vari punti, su ciascuno dei quali vorremmo esprimere un motivato dissenso o presentare una differente lettura.

1) “Il beneficio sostanziale (ndr: riduzione dei rischi di infarto, ictus e rivascolarizzazioni coronariche) ha continuato ad accumularsi lungo il corso di 2,2 anni (mediana dello studio). Infatti l’ampiezza della riduzione del rischio sull’endpoint composito secondario è cresciuta nel tempo, passando dal 16% del primo anno al 25% nel periodo successivo”.
 
In realtà le curve di Kaplan-Meier pubblicate non dimostrano un aumento, ma piuttosto una costanza dell’effetto cardiovascolare dopo il 1° anno. Infatti gli RR che si possono calcolare dai dati riportati nell’articolo sono 0,85 nel 2° anno e 0,86 nel 3° anno per l’endpoint primario, e circa 0,80 in entrambi gli anni per l’endpoint secondario chiave.
 
Ciò per altro non è una novità, perché anche metanalisi di RCT con statine dimostrano che i benefici nel 1° anno di follow-up sono decisamente inferiori a quelli degli anni dal 2 al 5, ma che dal 2° anno i valori di RR sono sostanzialmente costanti (Figure 4).
 
2) “Consistentemente con altri studi clinici con terapie altamente ipolipemizzanti non si sono osservati effetti sulla mortalità cardiovascolare”.
 
In realtà FOURIER mostra una dissociazione, apparentemente paradossale, tra eventi non fatali e fatali. Evolocumab infatti ha ridotto nuovi casi di infarto cardiaco (-171 casi), di rivascolarizzazioni (-206 casi) e di ictus ischemico (-55 casi); non di ictus emorragico, che tende invece ad aumentare (+4 casi, ns), né di ricoveri per angina instabile.

[Per altro tale riduzione di eventi cardiovascolari non è risultata statisticamente significativa nell’ampio sottogruppo dei partecipanti europei ( pag. 56)]
Tuttavia la mortalità globale è aumentata in tendenza del 4% (18 morti in più rispetto a chi non assumeva evolocumab). E, fatto ancor più sconcertante, con evolocumab è aumentata in tendenza del 5% anche la mortalità cardiovascolare (11 morti in più rispetto al gruppo placebo).

Ciò impone una riflessione: se si riducono i reinfarti e le recidive di ictus, ma senza ridurre affatto la mortalità cardiovascolare, è evidente che si riducono solo eventi cardiovascolari di minor gravità. Quanti di questi sono cosiddetti “infarti cardiaci periprocedurali”, con movimenti enzimatici innescati da un’angioplastica, di gravità clinica incerta, ma certo meno gravi di un infarto “spontaneo”? O ictus con sintomi lievi, magari identificati facendo più risonanze magnetiche cerebrali a pazienti reputati meno protetti, perché la stabilità del loro colesterolo fa capire al curante che sono collocati nel “gruppo di controllo”, che assume solo la precedente terapia + placebo, e non nel gruppo che riceve l’aggiunta di evolocumab, in cui il colesterolo è più che dimezzato?

[A chi obiettasse che nei RCT i prelievi ematici dei partecipanti sono inviati in cieco in laboratori centralizzati, si può rispondere che pazienti con patologie aterosclerotiche gravi come quelli studiati non attendono certo 2-3 anni per effettuare anche in autonomia misure dei parametri lipidici, mostrandone i risultati al curante. In genere, dunque, nei RCT su potenti ipolipemizzanti, la rottura del doppio cieco si verifica di fatto nel corso del 1° anno di follow-up. Da quel momento si tende a generare un errore sistematico a svantaggio dei partecipanti nel gruppo placebo, ben dimostrato in ampi studi metaepidemiologici]

Tale errore sistematico potrebbe anche spiegare il paradosso delle combinazioni simvastatina+ezetimibe che, pur accreditate di riduzioni di eventi cardiovascolari, hanno teso regolarmente a dare qualche morto in più nei confronti testa a testa contro simvastatina da sola (RCT UK-HARP, ENHANCE) o persino contro placebo (RCT SEAS e SHARP). Lo stesso sembra accaduto anche nel grande RCT IMPROVE-IT (Table 2), in cui il confronto riportato a 7 anni di follow-up mostra che il braccio con sola simvastatina ha avuto il 15,3% di mortalità, quello con simva+ezetimibe il 15,4% (come discusso anche qui).

3) “Non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza... non... differenze degne di nota nella frequenza totale degli eventi avversi seri...”.
Formalmente la frase è corretta: gli eventi avversi gravi (SAEs) sono stati 24,8% con evolocumab e 24,7% nel gruppo di controllo che usava placebo. Ma, al contrario di ciò che si è portati a pensare, tale riscontro non è affatto rassicurante. Infatti gli eventi avversi gravi includono anche quelli cardiovascolari non mortali. Se si sono ridotti centinaia di eventi cardiovascolari (vedi punto 2), si dovrebbe vedere una corrispondente riduzione dell’insieme degli eventi avversi gravi. Se ciò non è accaduto, dato che, al contrario, questi nel complesso sono stati almeno 6 in più con evolocumab, significa che sono aumentati altri eventi gravi (e non limitati ai 18 morti in più)!
 

Ci si consenta un’altra considerazione. I pazienti che oggi potrebbero avere accesso a evolocumab a carico del SSN potrebbero costare “solo” qualcosa come 5.000 €/anno alla sanità pubblica, a seguito di possibili gare ospedaliere per l’approvvigionamento. Ma i paziente che – non rientrando nei criteri stabiliti per l’accesso – volessero procurarselo a proprie spese, convinti da informazioni unilaterali sui possibili benefici, dovrebbero sopportare un costo annuo più di tre volte maggiore.
 
In ogni caso tutti i pazienti, per esprimere un consenso informato, hanno diritto di sapere che evolocumab – nella maggiore ricerca ad oggi pubblicata - ha ridotto del 20% circa eventi cardiovascolari non mortali, ma:
• ha avuto in tendenza un aumento del 5% della mortalità cardiovascolare e del 4% (18 morti in più) di quella totale,
• che l’insieme degli effetti avversi gravi (compresi anche gli eventi cardiovascolari) non si è affatto ridotto,
• e che possibili effetti a lungo termine di queste nuove molecole sono sconosciuti.
 
Per il Comitato scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute
 
Alessandro Battaggia – Medico di Medicina Generale (Verona)
 
Alberto Donzelli – Specialista Igiene e Medicina preventiva e Scienza dell’Alimentazione (Milano)
 
Luca Mascitelli – Specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport (Udine)

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