quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Sabato 01 APRILE 2017
Uso abusivo contratti a termine PA. Commissione Ue demolisce sentenza Cassazione



Gentile direttore,
il 23 marzo, esattamente il giorno dopo la nostra audizione davanti alla Commissione Petizioni del Parlamento Europeo, sono state trasmesse le Osservazioni scritte del Servizio Giuridico della Commissione europea, nella causa C-494/16 pendente in Corte di giustizia sulla sanzione effettiva ed equivalente in caso di utilizzo abusivo dei contratti a termine nella Pubblica amministrazione.

La Commissione europea condividendo integralmente i dubbi del Tribunale di Trapani sulla non compatibilità comunitaria della sanzione inventata dalla Cassazione, ha demolito nelle fondamenta la sentenza n.5072/2016 delle Sezioni Unite.

La Commissione europea al punto 32 nell’affermare “che la compatibilità con il principio di equivalenza dei rimedi risarcitori indicati nella sentenza delle Sezioni Unite n. 5072/2016 non va accertata alla luce di quanto previsto dal diritto italiano per i rimedi azionabili dai lavoratori danneggiati da un ricorso abusivo alla contrattazione a termine commesso da un datore di lavoro privato, ma alla luce di quanto previsto dal diritto nazionale per casi simili, ma riguardanti la medesima categoria di lavoratori della pubblica amministrazione” smentisce l’interpretazione adottata dalla Cassazione, ma non solo. Al punto 33 chiarisce la strada da seguire: Il giudice nazionale, solo competente a interpretare il diritto nazionale, dovrà dunque ricercare eventuali rimedi simili che siano azionabili da lavoratori appartenti al settore pubblico, ricordando che, per costante giurisprudenza, due rimedi sono simili quando hanno il medesimo oggetto. Nel caso di specie, detto oggetto è il risarcimento del danno per comportamento abusivo del datore di lavoro pubblico.

La Commissione europea al punto 41 conferma la non compatibilità comunitaria della sentenza 5072/16 quando afferma che “In merito all’ulteriore rimedio del danno per perdita di "chance", è certo vero che si tratta di un rimedio che si aggiunge all'indennità forfettaria. Tuttavia, la Corte vi si è già pronunciata nel caso Papalia, nel quale ha sottolineato come l’assenza di presunzioni nel consentire la prova della perdita di "chance" per il lavoratore possa impedire di considerare tale ulteriore risarcimento come una forma di rimedio adeguata per sanzionare l’abuso del ricorso alla contrattazione a termine.
 
Si aggiunga anche che, nell’ordinanza di rinvio, il giudice a quo ha espresso delle forti perplessità sulla concreta esperibilità di tale ulteriore risarcimento del danno e la Commissione considera che tali rilievi sono pienamente fondati, soprattutto perché non sembra che le Sezioni Unite abbiano fornito gli ulteriori elementi richiesti dalla Corte in Papalia quanto al danno per perdita di "chance": come rilevato dal giudice del rinvio, le Sezioni Unite non hanno escluso la necessità di un onere della prova per il danno da perdita di "chance".

Al punto 52 la Commissione apre la strada alle stabilizzazione: In mancanza di tale alternativa efficace, l’accordo quadro osta a una normativa che vieta in maniera assoluta, nel settore pubblico, la trasformazione in contratto a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, come la Corte ha chiaramente precisato in Adeneler.

Alla luce del contenuto delle Osservazioni scritte della Commissione, da me trascritte parzialmente e a cui si rimanda, si possono pacificamente trarre le seguenti conclusioni:
Secondo la Commissione europea, nel rispetto dei principi inderogabili di effettività ed equivalenza, se si vuole vietare in maniera assoluta la conversione giudiziale dei contratti nel settore pubblico, la sanzione allora va ricercata tra quella della medesima categoria di lavoratori della pubblica amministrazione; la sanzione idonea sarebbe quella che prevede la corresponsione di un risarcimento del danno previsto dal diritto italiano per la mancata reintegrazione nel posto di lavoro (15 mensilità) a cui va aggiunta l’indennità di cui all’art. 32 del collegato lavoro (dalle 2,5 alle 12 mensilità).

Avendo le Sezioni unite della Cassazione già paventato la possibilità di remissione alla Corte costituzionale qualora non fosse stato possibile una interpretazione conforme e comunitariamente orientata, e avendo poi deciso di applicare l'art. 32 del collegato lavoro, escludendo la soluzione individuata dal Tribunale di Genova nel risarcimento del danno di 20 mensilità, ha chiaramente dimostrato che l'interpretazione conforme non è assolutamente possibile.

Pertanto ora la Corte costituzionale non potrà far altro che rimuovere il divieto di conversione per tutti coloro che sono stati selezionati tramite una procedura selettiva per personale a tempo determinato.
 
Pierpaolo Volpe
Master in infermieristica forense 

© RIPRODUZIONE RISERVATA