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Venerdì 31 MARZO 2017
“Il vostro Paese non ha mai dimenticato il mio Nicholas”. La nuova lettera di Reginald Green, il padre del bambino americano ucciso 23 anni fa, che decise di donare tutti gli organi del figlio
Il 1 ottobre 1994 un bambino statunitense di 7 anni, Nicholas Green, viaggiava con i suoi genitori sulla Salerno-Reggio Calabria. Alcuni rapinatori scambiarono l’auto per quella di un gioielliere e nell’assalto Nicholas fu ucciso. La famiglia decise di donare tutti i suoi organi dei quali beneficiarono sette italiani. 23 anni dopo il papà di Nicholas scrive nuovamente agli italiani: “Più di vent’anni fa, scrissi una ‘lettera aperta’ agli Italiani, ringraziandoli per la loro imponente esplosione di supporto verso la nostra famiglia. Nella mia lunga vita, ancora oggi non riesco a ricordare nulla di vagamente simile, in nessuna altra parte del mondo”
Dopo avermi portato a cena nel famoso ristorante Cesarina a Roma, qualche sera fa – una volta seconda casa di Federico Fellini e Marcello Mastroianni – il mio anfitrione, un rinomato chirurgo dei trapianti, ha raccontato al maître che io ero il padre del bambino Americano che era stato ucciso sull’Autostrada Salerno-Reggio Calabria e i cui organi erano stati donati a sette Italiani, quattro dei quali adolescenti. “Ah, Nicholas Green”, ha risposto lui, e mentre ci stringevamo la mano, ho visto delle lacrime nei suoi occhi.
E’ stato profondamente appagante per me che il mio bambino di sette anni fosse ricordato in compagnia di tali Dèi del cinema mondiale ma, devo dirlo, non è stata una grande sorpresa. Più di vent’anni fa, scrissi una ‘lettera aperta’ agli Italiani, ringraziandoli per la loro imponente esplosione di supporto verso la nostra famiglia. Nella mia lunga vita, ancora oggi non riesco a ricordare nulla di vagamente simile, in nessuna altra parte del mondo.
Adesso, tornato da poco dalla mia più recente visita in Italia, scrivo un’altra lettera all’Italia per registrare un evento ugualmente senza precedenti: la prosecuzione di quell’emozione dopo tutti questi anni. Dovrei ormai essermi abituato a questa cosa, ma in molti modi, ciò è ancor più sorprendente dell’iniziale impennata.
L’Italia ha trasformato il suo dolore nel beneficio più pratico possibile. Immediatamente dopo l’uccisione di Nicholas, i tassi della donazione degli organi sono schizzati verso l’alto e sono cresciuti costantemente per 10 anni, fino a che oggi sono il triplo di quanto non fossero inizialmente, un tasso di crescita a cui nessun’altra nazione è andato vicino. Centinaia di persone, inclusi molti bambini, che sarebbero morte, sono invece vive. Un incremento di tale portata deve avere delle cause che hanno contribuito, ma nessuno dubita che la ragione primaria sia stata la storia di un bambino e la reazione generosa dell’Italia ad essa.
La Storia è disseminata di buone cause che hanno un’intensità incandescente e si raffreddano pochi mesi dopo. Ogni giorno i media sono pieni di tragedie che a volte coinvolgono migliaia di persone, e che uno o due anni dopo i lettori fanno fatica a ricordare nei dettagli. Eppure questa piccola morte è rimasta nei cuori di milioni di Italiani, molti dei quali erano loro stessi bambini quando Nicholas venne ucciso.
Durante questa recente visita, ho ascoltato ancora quello che ho sentito nelle circa quaranta volte e più che sono venuto in Italia per parlare di donazione degli organi: persone di ogni genere, dai professori di filosofia ai membri del soccorso alpino che raccontano dove erano quando hanno saputo che avevamo donato gli organi di Nicholas: “Ero appena tornato a casa dal lavoro”, “L’ho sentito alla radio della macchina mentre andavo a prendere mia figlia a scuola”. “La mia famiglia era incollata al televisore in attesa di ulteriori notizie”, e mi vengono le lacrime agli occhi. Questo è il tipo di cose che noi che siamo grandi abbastanza da ricordarlo dicevamo quando fu ucciso il Presidente Kennedy, per descrivere la nostra sbigottita incredulità.
Durante un recente viaggio in Sicilia, ho parlato ad una classe di bambini piccoli, che ascoltavano ad occhi spalancati mentre raccontavo come un bambino non molto più grande di loro avesse salvato la vita di cinque persone e restituito la vista ad altre due. “Lei e sua moglie avete parlato in questa scuola un anno dopo la morte di Nicholas”, mi ha ricordato il preside. E’ stato solo allora che mi sono reso conto che stavo parlando ai figli dei bambini che mi avevano fissato anche loro con espressione meravigliata quel giorno del 1995.
Nell’atrio di un’altra scuola, ci sono due orologi, uno come quelli di ogni altra scuola italiana, l’altro con su scritto ‘Ora di Bodega Bay’, un promemoria quotidiano del piccolo villaggio della California dove viveva Nicholas, ed un continuo stimolo all’idealismo degli studenti.
Viaggiando in una strada dell’Italia del Sud l’anno scorso, incontrammo improvvisamente un blocco stradale creato da scioperanti di una fabbrica locale. La fila del traffico era lunga e aumentava. Uomini robusti erano a portata di mano per chetare chiunque implorasse di farlo passare. Il mio autista continuò a guidare lentamente ma imperterrito. “Tornate indietro”, ci ordinò il capo della protesta.
“Accompagno il padre del bambino Americano che fu ucciso”, replicò l’autista. “Sta andando a tenere un discorso sulla donazione degli organi”. Una faccia sospettosa fece capolino nella macchina e poi eruppe in un sorriso. “Facciamoli passare”, disse ai suoi compagni, e così riprendemmo la nostra marcia.
Ogni segmento della popolazione continua a mostrarci la sua compassione: giovani, anziani, ricchi, poveri, ogni categoria politica diversa, persone di ogni religione o non credenti, alcuni degli uomini più in vista – Maggie ed io abbiamo incontrato due Presidenti del Consiglio ed un Presidente della Repubblica Italiana, e tutti ci hanno trattato come vecchi amici di famiglia e non leader di una nazione – e alcune delle donne più belle. Ad una cena alla Casa Bianca per un Presidente del Consiglio in visita, alcuni anni fa, dove ero stato invitato come ospite, parlai con Sophia Loren, anche lei ospite, che mi disse “Noi Italiani ci sentiamo molto vicini alla vostra famiglia”. (Wow!).
Una sera a Roma, quando Alessia Marcuzzi era seduta ad un tavolo vicino, mi presentai come il padre di Nicholas Green. Quella stessa sera, scrisse un breve messaggio sulla sua pagina Facebook. Normalmente riceve un migliaio di ‘mi piace’ per i suoi post. Per quello lì furono 39000, inclusi migliaia di appassionati commenti a favore della donazione degli organi.
La Chiesa Cattolica è stata accorata nel suo sostegno ad ogni livello. Papa Giovanni Paolo II autorizzò la realizzazione di una magnifica campana con il nome di Nicholas e dei suoi riceventi incisi sopra, per una torre campanaria che commemora i bambini che sono morti e che abbiamo costruito a Bodega Bay. Sulla scultura ci sono altre 140 campane, la maggior parte provenienti da famiglie italiane. Penso a questo monumento come ad un piccolo pezzo dell’anima dell’Italia lungo l’Oceano Pacifico.
A livello di base, un ordine di giovani suore, Le Apostole della Vita Interiore, che combinano quattro ore di preghiera al giorno con la più tenera compassione per l’umanità, si sono dimostrate desiderose di aiutare ad estrarre quanto più bene possibile dalla morte di Nicholas, quando ho fatto loro visita a Roma recentemente.
Ho anche incontrato per la prima volta Valentina Lijou, una cugina di Andrea Mongiardo, il ragazzo che a 15 anni ricevette il cuore di Nicholas e che è morto poche settimane fa. Due anni più grande di lei, Andrea era stato la forza motrice dei loro giochi d’infanzia. “Ci faceva sempre ridere”, mi ha detto. All’epoca del trapianto, comunque, Andrea riceveva trasfusioni di prodotti ematici due volte a settimana – una magra fragile figurina che riusciva a malapena a trascinarsi fino alla porta del suo appartamento. Tutto questo cambiò con il trapianto: “Adesso ho una Ferrari per cuore”, era solito dire.
Come molti trapianti, questo non prolungò semplicemente un’esistenza malaticcia: la trasformò e, fino a Giugno scorso, Andrea ha vissuto una vita più o meno normale, di buon umore e con un lavoro. Ricordo che una volta che lo incontrai misi la mia mano sul suo cuore e lo sentii battere forte e regolare. “Bravo, Nicholas”, dissi a me stesso. Fino alla fine, quel cuore ha fatto perfettamente il suo lavoro, e la dipartita di Andrea non è stata dovuta al suo indebolimento ma a dei problemi respiratori.
Penso che chiunque abbia sentito parlare di Nicholas sappia che lui amava l’Italia: Maggie, che ha studiato architettura, gli infondeva il fascino della sua arte e dei suoi monumenti, ed io, attraverso il mio amore per la storia, lo aiutavo ad aggiungerci colore.
Ma fu la sua propria personalità che mise tutto questo insieme, in un gradimento per l’Italia che era molto oltre i suoi anni. Si entusiasmava all’idea delle vecchie strade che si irradiavano dal centro di Roma fino alla fine del mondo conosciuto. Si stupiva di fronte ai mosaici di Ravenna e quando gli lessi la storia di Polifemo che accecato tasta le pecore dove gli uomini di Ulisse si erano aggrappati, pensai che stesse per esplodere dall’eccitazione.
Avendo perso tutto ciò, a quasi ogni tappa ci viene chiesto, “Non odiate l’Italia?”. Spero che la risposta sia chiara. Maggie ed io non abbiamo mai pensato che l’Italia avesse premuto il grilletto. Furono due criminali ad uccidere Nicholas: sarebbe potuto succedere ovunque. Ma quello che invece non sarebbe potuto accadere ovunque fu la reazione.
Credo che nessun’altra nazione al mondo avrebbe mostrato un coinvolgimento di tale grado. Fu quella inondazione di calore umano che ci aiutò a trasformare uno sconsiderato atto di brutalità in una lezione universale in cui la vita trionfa sulla morte, e la speranza sulla disperazione.
Cos’altro c’è da dire, se non “Grazie, Italia”.
Reginald Green
(rfdgreen@gmail.com)
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