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Mercoledì 22 FEBBRAIO 2017
La Professione al di sopra dei rumori di fondo



Gentile Direttore,
in questa epoca di comunicazione globale, o meglio totale, moltissimi parlano, pochi dicono, pochissimi ascoltano. Per molti il “sapere ascoltare” è una dote insita, con cui persone più sensibili ed intelligenti emotivamente nascono.
 
Personalmente ho una concezione più Darwiniana di questa capacità, come frutto di un apprendimento, più o meno cosciente, per sopravvivere ai rumori di fondo riconoscendo, tra loro, le voci “da ascoltare”. Generalmente si tende ad ascoltare chi consideriamo credibile e degno di fiducia e questo non te lo meriti per ciò che dici ma per ciò che sei e che fai e per le inevitabili cicatrici che l’essere ed il fare ti portano in dote. Sono queste cicatrici che ti fanno riconoscere gli appartenenti alla tua stessa “specie” rendendoli degni del tuo ascolto, concedendo così alle loro parole il lasciapassare per arrivare alle nostre menti ed ai nostri cuori, passando spesso attraverso il nostro stomaco.

Nel delicatissimo momento che attraversano le professioni sanitarie, sono quattro le persone che ritengo siano recentemente riuscite, di diritto, a conquistarsi il nostro ascolto: Mirka Cocconcelli, Pietro Bagnoli, Giovanni Leoni ed Elsa Frogioni.

Mirka Cocconcelli, chirurgo ortopedico, che il 31 luglio 2015 dalle pagine del Suo giornale, con una lettera intitolata “Ora basta, non costringeteci ad appendere il bisturi al chiodo”, gridò l’insostenibilità etica e professionale dell’attuale sistema di tutela della salute, rivendicando inoltre, il ruolo delle professioni sanitarie nella gestione manageriale ed organizzativa degli Ospedali. Ritengo che questa lettera sia stato il manifesto di un risveglio e di una presa di coscienza delle professioni sanitarie, l’impatto avuto è ad oggi dimostrato dalle oltre 21.000 condivisioni avute su Quotidiano Sanità che credo, con un margine di errore in difetto, si possano tradurre in oltre 100.000 persone che hanno visualizzato la pagina. Alla D.ssa Cocconcelli dobbiamo poi tantissimi altri contributi e negli ultimi giorni è ritornata con “Quei pazienti mai soddisfatti e sempre pronti alla denuncia”, analisi come sempre lucida della responsabilità professionale e del contenzioso in sanità, quasi 3.000 condivisioni (15.000 visualizzazioni?). Evidentemente siamo di fronte ad una persona credibile che per la sua storia umana e professionale è degna di fiducia, quindi da ascoltare.

Paolo Bagnoli, chirurgo oncologo, autore di “Reato di cura”, libro che, oltre ad essere diventato un caso letterario con migliaia di copie vendute in pochissimi mesi, ha aperto gli occhi, soprattutto a chi non lavora nella sanità, sulla pericolosità di instillare la paura nella mente di chi lavora quotidianamente in situazioni difficili, ed i cui risultati possono non rispettare le aspettative e le speranze dei pazienti, ma neanche dei medici, che comunque mirano sempre al migliore risultato ottenibile. Nelle pagine del suo libro ci siamo riconosciuti in tanti, sorprendente è come sia riuscito a raccontare un evento drammatico, per tutti i protagonisti, in punta di piedi, quasi sottovoce con il rispetto di chi si racconta davanti ad uno specchio, rivedendosi addosso le infinite sofferenze di cinque lunghissimi anni di avvisi di garanzia, perizie, interrogatori, studi notturni ed aule di tribunali.
 
Ho incontrato il Dr. Bagnoli di persona ed abbiamo parlato a lungo, mi chiedevo se la vicenda vissuta in prima persona avesse cambiato il suo modo di essere medico e chirurgo: niente di più sbagliato, non ha modificato in nessun modo il suo modo di curare, operare e seguire i pazienti. Della nostra chiacchierata mi è rimasta la sua grande serenità, la lucidità con cui ha metabolizzato e superato la sua sofferenza indelebilmente comunque presente nelle sue parole, ma soprattutto mi ha colpito l’assenza di astio e di rancore, anzi ha concluso il nostro incontro dicendomi “dobbiamo essere noi medici ad alzare l’asticella”, aumentare le nostre conoscenze, migliorare continuamente le nostre capacità professionali, non stancarci mai di parlare e parlare e parlare con i nostri pazienti. Ecco un’altra persona da ascoltare!

Giovanni Leoni, chirurgo generale, con il suo “Medici che la notte…”, sempre dalle pagine di questo giornale, è riuscito a dare vita ai rumori, agli odori, ai timori che chi lavora in un ospedale vive quotidianamente. Soprattutto ha fotografato la solitudine di fondo di chi deve compiere scelte difficili, spesso nell’arco di pochi minuti se non secondi, e dell’immane peso umano che ciascuno di noi ha consapevolmente accettato di portare nel momento in cui queste scelte possono essere sbagliate o che possono non essere sufficienti, semplicemente perché a volte non esistono più possibilità per chi vediamo in un letto, su di una barella o sopra il tavolo operatorio. Ogni volta che questo succede non abbiamo colpe ma ci sentiamo colpevoli. Il Dr. Leoni chiede comprensione per chi esercita questa professione ma badate bene, comprensione non intesa come benevolenza, bensì come sforzo di capire o quantomeno immaginare cosa possa essere questo lavoro che, nel bene e nel male, non può essere paragonato a nessun altro lavoro.

Elsa Frogioni, infermiera, recentemente ha scritto al Ministro della Sanità chiedendo la tutela dell’integrità e della salute dei sanitari. Noi, che siamo definiti “risorse umane”, costretti a lavorare in un modo che rasenta il disumano, noi che dovremo proteggere e salvaguardare la salute dei cittadini, costretti ad una professione che diventa non tutelante per i nostri pazienti e nemmeno per noi stessi. Mi piace constatare che a rinforzare la sua richiesta siano poi intervenuti anche i maggiori sindacati medici a conferma che, le problematiche e le criticità degli esercenti le professioni sanitarie, sono comuni così come dovranno essere comuni le soluzioni.

Ora chiedo agli Ordini Professionali, alle Società Scientifiche, ai Sindacati: immaginatevi queste quattro persone, bene, alzate lo sguardo ed immaginatevi dietro a loro decine di migliaia di noi, “risorse umane”, in carne ed ossa; noi abbiamo ritrovato nelle loro parole il nostro sentire comune, le nostre preoccupazioni, il nostro senso di sfinimento per un modo di lavorare che non è nostro, non ci appartiene. Allora non siate più oggetti parlanti, diventate soggetti “ascoltanti”, tra righe di queste quattro persone troverete quelle che sono le priorità per le professioni sanitarie, ciò per cui vale la pena lavorare e se serve combattere.

Infine un invito ai nostri politici: in mezzo a queste decine di migliaia di professionisti della sanità, immaginatevi milioni di pazienti e di cittadini, perché anche loro ascoltando queste voci non possono non riconoscere l’attaccamento e la fiducia che abbiamo per il lavoro che svolgiamo e quindi la voglia e la necessità di farlo nel miglior modo possibile. Questa è la garanzia massima affinché, per ciascuno di noi, nel momento del bisogno, verrà fatto tutto ciò che è possibile per curarci nel miglior modo possibile, se non per guarirci o salvarci.

Quindi prendetene atto ed attivatevi di conseguenza perché vi dico la nostra verità: non esiste più né denaro né potere che possano comprare od essere barattati con ciò che chiedono questi nostri portavoce.
 
Massimiliano Zaramella
Presidente Obiettivo Ippocrate

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