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Martedì 21 FEBBRAIO 2017
Le telecamere nelle case di riposo non risolvono i problemi
Gentile Direttore,
è di questi giorni la notizia della legge promulgata dalla Regione Lombardia che apre, di fatto, la possibilità di installare telecamere di sorveglianza nelle case di riposo e istituti similari. Da quanto si apprende l’installazione sarà volontaria, aperta ai soli spazi comuni e le immagini saranno criptate ed accessibili soltanto su specifico ordine della Magistratura.
Non entro nelle motivazioni, che conosco solo da quanto letto sulla stampa, che hanno portato ad una simile decisione.
Da Infermiere che gira spesso in simili strutture, seppure in un’altra Regione d’Italia, ho però la sensazione che si stia ricercando un grande alibi senza toccare minimamente il problema alla sua radice.
Tanti, troppi, sono i fatti di cronaca che vedono il personale di assistenza, a volte anche infermieri - anche se per certa stampa pare che infermieri lo siano sempre -, coinvolto in episodi di abuso e maltrattamento.
Non si dice però, stranamente, che questi episodi potrebbero e dovrebbero essere intercettati a monte più che venire ripresi con una telecamera.
Dai colleghi, in primis, che devono imparare “l’arte” della corretta e doverosa segnalazione, senza che però, per questo, debbano rischiare il posto di lavoro o la propria tranquillità personale.
A oggi, poi, non esiste un test psico attitudinale per l’accesso a posti di lavoro “delicati” come quelli di cui parliamo.
A oggi, ugualmente, non esistono test dello stesso tipo per l’accesso alla professione di infermiere (o anche a quella di medico, OSS, insegnante, poliziotto…e si potrebbe continuare).
Pare che la psiche umana, non abbia alcun ruolo, almeno nella testa dei legislatori, sulle performance e sulla stabilità di operatori che hanno, e devono avere tutti i giorni e tutte le notti, a che fare con la sofferenza altrui. Purtroppo pare che non si comprenda che presto o tardi quell’assistito - che abbiamo saputo nominare, negli anni, con i nomi più fantasiosi, da paziente a cliente, per passare ad utente, fino a giungere finalmente a persona - finirà con il fare da specchio e a metterci in contatto con le nostre paure, insicurezze e fragilità più profonde. Quelle saranno le situazioni in cui verrà fuori, o meno, la stabilità emotiva e psicologica di ogni singolo operatore.
Ma chi lavora, in queste e tante altre strutture, per garantire tale stabilità e per intercettare, la dove esista, la patologia?
Quanto si è investito negli anni nella psicologia del lavoro e delle organizzazioni per cercare di garantire il benessere degli operatori con le indubbie ricadute che questo avrebbe proprio su chi si va ad assistere?
La risposta è installare telecamere?
Una deterrenza. Certamente non impattante positivamente su chi assistenza in quelle strutture la fa continuerà a farla e che, al contrario, non potrà fare a meno di avvertire una sorta di sfiducia, se pure indiretta, nel suo operato senza che nessuno si faccia realmente carico di lui e del suo benessere e, ho l’impressione, ben poco impattante anche sulla sicurezza degli assistiti.
Forse una risposta, certo meno semplice, meno immediata e di minore impatto mediatico, potrebbe essere investire culturalmente sulle organizzazioni, creando cultura, certificando le competenze e premiandole, certamente non con i pochi euro l’ora percepiti da un infermiere che lavori in simili strutture e che a volte, ne ho sentiti molti, rimpiange il fatto di non saper stirare, ritenendo tale lavoro senz’altro più remunerativo.
Forse una risposta potrebbe trovarsi nel garantire almeno i “numeri” di Legge nei rapporti tra infermieri e pazienti, evitando che un infermiere e un OSS debbano gestire da soli cinquanta persone. Si sono viste anche realtà simili.
Forse un’altra risposta sarebbe il lavorare sulla formazione del management, prevedendo nei corsi di studio l’acquisizione di skills specifici per la gestione dei gruppi e delle relazioni in essi.
Poi, in ultimo, si potrebbe lavorare su chi controlla, affinché lo facesse nel migliore modo possibile. La parte di questa legge lombarda che mi lascia più perplesso è quella legata alla sola possibilità di visione del registrato su ordine della Magistratura. Un po’ come dire che più che prevenire interessa poter punire. Mi ricorda molto quegli autovelox in autostrada dove tutti rallentano all’ultimo momento e che non hanno certamente modificato l’attitudine degli automobilisti a correre. I nostri pazienti e i nostri operatori hanno bisogno di ben altro che di un grande alibi.
Roberto Romano
Consigliere IPASVI Firenze
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