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Lunedì 12 DICEMBRE 2016
Donne medico. Raggiungono i colleghi maschi nei numeri, ma le difficoltà da affrontare restano. L’indagine Anaao Giovani
Il sesso femminile rafforza la sua presenza nel mondo della sanità, ma rispetto agli uomini, le donne devono affrontare molte più difficoltà, tanto che per fare carriera spesso devono rinunciare a figli e famiglia. L’ Anaao Assomed chiede urgenti politiche di tutela. L'INDAGINE
Divorziate o single, perché con una famiglia da accudire fare carriera è quasi impossibile. E’ questo l’identikit della donna medico italiana. Attualmente sono quasi 40 mila i camici rosa, ma se si tratta di giovani le difficoltà aumentano: il 60% ha dichiarato di essere vittima di mobbing.
La fotografia è stata scattata dell’Anaao Giovani, alla vigilia della II Conferenza Nazionale delle Donne Anaao Assomed, che si svolgerà a Napoli mercoledì 14 dicembre. Per l’occasione sono stati elaborati i dati survey che analizzano le risposte di oltre mille professionisti.
Gli intervistati hanno dichiarato di avere meno figli di quanti ne desidererebbero o rinunciano del tutto a formare una famiglia per evitare ripercussioni sulla carriera. Se poi ai figli si associa l’essere donna pare che le difficoltà non finiscano mai: si va dal mobbing, fino alle avances. Situazione che peggiora ulteriormente nelle specialità chirurgiche, dove lo storico atteggiamento discriminatorio nei confronti del genere femminile non sembra ancora superato. E se per molte il part time potrebbe essere una soluzione si stenta a chiederlo per paura che possa avere ripercussioni negative sulla carriera.
Tutto questo potrebbe essere risolto con delle politiche di tutela che possano aumentare l’accesso al part-time, sostituire le assenze per maternità e creare degli asili nido aziendali. “E’ giunto il momento - hanno concluso, in una nota, i rappresentanti dell’Anaao Assomed - che la sanità abbandoni un modello unicamente maschile e si avvii velocemente verso la declinazione di ritmi e organizzazione del lavoro che tenga conto della presenza delle donne”.
Una sintesi dei principali risultati dell'indagine:
Caratteristiche del campione e numero di figli.
Hanno risposto al nostro questionario 1027 medici con netta prevalenza, come atteso, del sesso femminile (80.6%). La fascia di età più rappresentata è quella tra i 51 e i 60 anni, pari al 38.3% del totale degli intervistati, seguita dalla classe di età tra i 41-50 anni (24.2%) e 30-40 anni (20.4%). I responders oltre i 61 anni sono il 16% e quelli sotto i 30 solo il 1.1% Questo in linea con il fatto che l’Italia è nel panorama europeo al primo posto per il numero di medici over 50 (età media medici ospedalieri 52.7 anni e a fine 2016 supererà i 54 anni ).
Le ripercussioni del lavoro sulle scelte di vita. Tempo libero è una chimera
Il sondaggio rivela come l’impegno lavorativo del medico abbia pesanti conseguenze sui più importanti progetti personali: il 94 % degli intervistati afferma che il lavoro ha influenzato le sue scelte di vita e per ben il 46.6% delle donne ed il 36.6% degli uomini questo è avvenuto in modo rilevante.
Alla richiesta di individuare l’ambito in cui il lavoro abbia pesato maggiormente, il 74% dei responders ha lamentato una limitazione della pianificazione del tempo libero, il 57% una compromissione delle relazioni interpersonali amicali ed il 50.1 % quelle intra familiari. In quest’ultimo sottogruppo, la percentuale di donne divorziate è maggiore (12 % contro 8.6% delle donne totali). Più di un terzo dei medici intervistati d’ambo i sessi, ma solo l’11% degli uomini, ha poi affermato di aver avuto meno figli di quel che avrebbe desiderato: in questa sottopopolazione infatti ben il 49 % ha 1 figlio, contro il 25.8% del totale dei responders. Tra chi ritiene che il proprio lavoro abbia influenzato l’opportunità di formare una famiglia (23.2%), i single sono in percentuale doppia del campione totale (22.2% contro 11.4%) ed il 50% non ha figli. Il 40.7% infine ha scelto dove vivere in relazione al luogo del lavoro.
Altro dato molto eloquente del disagio lavorativo dei medici è il riscontro che per il 66% degli intervistati il lavoro ha creato conflitti in famiglia, percentuale che sale all’84% tra i divorziati.
Conciliazione tempi di vita e lavoro. Si rinuncia a formazione per motivi familiari
Il 53% dei medici intervistati nel sondaggio ha dichiarato di doversi assentare dal lavoro per motivi non legati alla professione. Ad assentarsi maggiormente sono i medici di età compresa tra i 41 e 50 anni e, in misura minore quelli tra i 31 e 40 anni. La principale ragione di assenza dal lavoro, sia negli intervistati di sesso maschile, che femminile, resta la famiglia: problemi di salute di genitori/suoceri ( 41.1%), dei figli (33.8%) piuttosto che necessità organizzative familiari (41.8%).
Complessivamente più del 70% dei medici ha rinunciato a partecipare ad un corso di formazione perché non sapeva come organizzarsi con i figli o con parenti che necessitino assistenza, rilievo maggiormente significativo per gli specialisti di branca medica.
Gestione dei figli. Babysitter e nonni le prime scelte.
Nella gestione dei figli con età inferiore a 6 anni la maggior parte dei colleghi si rivolge a babysitter (50.7%) e/o nonni ( 52.1%). Il 33% dei responder ricorre invece ad asili nido pubblici, ma la percentuale scende al 23% quando si considerano specialità che obbligano a turnazione lavorativa (es. medicina interna), fatto verosimilmente correlabile agli orari degli asili pubblici non estesi o flessibili quanto necessario. La soluzione ottimale sarebbe in questo senso l’asilo aziendale, realtà rarissima in Italia. Alternative possibili rimangono le strutture private, scelta maggiormente frequente nelle isole rispetto alle altre regioni.
Il 49.2% dei responders riferisce una gestione paritetica dei figli da parte di entrambe le figure genitoriali. Preoccupante è la presenza di un 10.2% di donne che afferma di non aver mai gestito i figli, ma averli sempre affidati a terze persone. Infine va segnalato che ben il 37% dei responders di sesso maschile ammette che a gestire i figli è sempre la madre.
Discriminazione del genere femminile. Dai ruoli apicali alle avances.
Per quanto riguarda la discriminazione nell'accesso a ruoli apicali sul posto di lavoro, oltre 2/3 delle donne, ovvero l'80%, afferma di essere stata svantaggiata rispetto ai colleghi di sesso maschile. In questo sottogruppo, la percentuale è particolarmente elevata in ambito chirurgico (90% vs 80% nelle specialità mediche). Il dato più allarmante emerge analizzando i dati in funzione dell'età: nel gruppo di donne di età <31 anni la risposta è stata affermativa nel 89% dei casi.
Per il 55.6% delle donne l’aver avuto figli ha influenzato il percorso di carriera professionale. Molto più bassa è la percentuale tra i soggetti di sesso maschile, 16.4%. La progressione di carriera per le donne medico con figli sembra poi più ardua ora che in passato: le difficoltà vengono denunciate dal 58% delle giovani donne (31-40 anni), contro il 49% nella fascia d’età 51-60. Per il 31% dei responders invece, l’avere figli non ha compromesso la carriera, ma ha richiesto molta fatica.
Esperienze di mobbing sono state riferite dal 60% delle donne intervistate. Tali episodi sono più frequenti nelle donne che lavorano in ambito chirurgico (74% vs il 66% nelle specialità mediche). Analizzando i dati nelle varie fasce di età, sono le donne più giovani a riferire tali episodi con una risposta affermativa del 78% nel gruppo di età < a 31 anni.
Oltre un terzo delle donne intervistate (38%) ha riferito di aver subito avances sul lavoro o durante il corso di studi.
Anche nella partecipazione a concorsi e/o selezioni interne, quasi una donna su due (43% dei casi) riferisce discriminazione di genere, a parità di numero di figli, area geografica o specialità. Tale percentuale è più alta nelle donne di età Infine, 15.3% delle donne con almeno un figlio riferisce di non aver ottenuto il rinnovo del contratto a tempo determinato o precario a causa del suo stato di gravidanza, il 18% di essere a conoscenza di episodi simili a carico di colleghe.
Pari opportunità, come?
L’80.2% dei partecipanti al sondaggio è convinto che le pari opportunità tra uomo e donna possano essere raggiunte realizzando politiche sociali e per il lavoro che consentano alle donne di conciliare lavoro e famiglia. Il 16.1% degli intervistati è invece pessimista, sostenendo che le pari opportunità non verranno mai raggiunte, dato che aumenta al 26.4% per le professioniste dell’area chirurgica. Solamente il 3.6% delle responders pensa che lo stabilire delle quote rosa possa essere utile per il raggiungimento dell’uguaglianza tra i sessi.
Il 94.3% del campione pensa infatti che l’attuazione di politiche sociali come ad esempio la creazione di asili aziendali, orari di lavoro flessibili e altre strategie di conciliazione, avrebbe potuto aiutarlo nella gestione lavoro-famiglia.
Il tema dell'accesso al part-time è stato riportato più volte come soluzione alle difficoltà di conciliazione dei tempi casa-lavoro e frequentemente è stata riportata la necessità di un rispetto più stringente dell'orario di lavoro. Interessante notare come, tra gli uomini che hanno risposto alla domanda (13.9% dei responders totali), molto frequente sia stato il riferimento al tema delle sostituzioni di maternità e di una migliore organizzazione del lavoro.
Tra le soluzioni proposte anche un riferimento ad un cambiamento di mentalità, sia nei rapporti tra colleghi che nei rapporti con i superiori, dove ancora viene percepita un’ostilità verso la donna che affronta la maternità.
Flessibilità di orario. Il 45% ha pensato di chiedere un part-time
Uno dei punti principali della riforma Jobs Act del 2015 è stato il tentativo di aumentare la flessibilità del lavoro, introducendo per esempio la fruibilità del congedo parentale in forma oraria. L’idea alla base è che una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro garantirebbe al lavoratore una maggiore serenità e benessere e al datore di lavoro una maggiore produttività.
Dall'indagine emerge che il 46.5% degli intervistati ha pensato di chiedere un periodo part-time nella sua carriera, con percentuali maggiori per il genere femminile (54%) rispetto al maschile (42%).
Ma a fronte di questa percentuale elevata di medici che desidererebbe lavorare a tempo parziale, solo il 12.7% l’ha richiesto ed ottenuto. Nella fascia di età 31-40 anni aumenta significativamente il numero di chi non ha chiesto il part-time per paura di ripercussioni sulla sua carriera (49%). Anche questo elemento si aggiunge al dato allarmante del mobbing sul lavoro.
I diritti della maternità. Tempi inadeguati per la gravidanza
Quasi il 40% delle intervistate madri ha dichiarato di essere stata assente dal lavoro per gravidanza per un periodo di tempo tra i 5 e i 10 mesi. L’assenza media dal lavoro per gravidanza e maternità è andata aumentando nel corso del tempo, probabilmente grazie all’effetto della legge 151/01 che tutela questo particolare periodo di vita della donna lavoratrice. In linea con quest’ipotesi il 48,4% delle responders over 60 dichiara di essere stata assente dal lavoro per gravidanza e maternità meno di 5 mesi; questa percentuale cala al 20.2% per le under 40. Altro dato interessante emerge nella differenza nord-sud: infatti solo il 24.1% delle responders del nord dichiara un congedo inferiore ai 5 mesi, ma al sud questa percentuale raddoppia (48.4%).
Il 61.7% delle madri medico con periodo di assenza dal lavoro per maternità inferiore ai 5 mesi, dichiara che tale tempo è stato inadeguato rispetto alle esigenze familiari. E’ interessante sottolineare come all’aumentare del periodo di congedo, aumenta anche l’insoddisfazione della donna come professionista, in quanto “ferma ai box”: il 17.1% delle responders che hanno usufruito di un’assenza superiore ai 15 mesi è convinta che sia stato un periodo eccessivamente lungo, durante il quale avrebbe potuto eseguire altre mansioni che non mettevano a rischio madre e bimbo.
Rilevante è constatare come, se consideriamo i responders che hanno usufruito del congedo remunerato al 100% dello stipendio, solo il 7.3% è di sesso maschile.
L'indagine sottolinea tuttavia come fortunatamente sembra esistere una sensibilità politica al problema: in Italia il congedo di paternità obbligatorio è stato esteso da 1 a 2 giorni dalla legge di stabilità 2016 ed è stata avanzata una proposta dall’INPS di rendere obbligatori (con tanto di sanzione se non concessi) 15 giorni di congedo di paternità alla nascita di un figlio.
Il 14.7% degli intervistati nel periodo di maternità era assunto con contratti atipici o lavorava come libero professionista, condizioni che non prevedono tutele in caso di maternità, mentre se disaggreghiamo i dati, considerando i lavoratori a tempo indeterminato e determinato (cui spettano i congedi), ha usufruito del periodo remunerato al 30% solo il 38.4% del campione.
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