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04 DICEMBRE 2016
Il malato continua a restare “marginale”
Gentile direttore,
nel libro di Ivan Cavicchi "la Quarta riforma", in tema di responsabilità del medico, sono individuati 5 punti critici ampiamente condivisibili. In particolare è il punto, relativo alla scelta del legislatore, di inquadrare il fenomeno del contenzioso legale nel quadro della sicurezza delle cure che appare fortemente discutibile.
Infatti, non è possibile, a mio avviso, trascurare le radici profonde del malessere che caratterizza il rapporto medico – paziente riconducibile al venire meno del rapporto di fiducia e affidamento che l’uomo “moderno” aveva nel recente passato instaurato nei confronti delle scienze e in particolare della medicina. Già nel 1976 Ivan Ilic, osservava, in “La Nemesi Medica”, come valori fondamentali perseguiti dall’occidente sviluppato fossero stati completamente capovolti dallo sviluppo esclusivamente quantitativo della nostra società. Le stesse scienze, da alcuni decenni, sono attraversate da analisi e teorie che mettono a dura prova i presupposti stessi della loro scientificità.
Le scienze biologiche e fisiche sono state messe in crisi rispetto alla “spiegazione semplice” , con la conseguenza che quanto veniva considerato il residuo non scientifico delle scienze umane, l’incertezza, la pluralità, il disordine, la contraddizione, la complicazione, ecc., fanno oggi parte delle problematiche di fondo della conoscenza scientifica.
La medicina è, indubbiamente, una di quelle scienze in cui l’irrompere della complessità costringe a superare i limiti di quella astrazione universalistica che elimina la singolarità, la località, la temporalità. Le scienze mediche hanno smesso di considerare la specie come un contesto generale entro il quale l’individuo è un caso singolare. Al contrario l’esperienza della “medicina di precisione” è quella di considerare ogni individuo come una “singolarità che produce singolarità”.
È questo il nodo che l’ipotesi normativa sulla responsabilità medica in discussione al Senato non affronta: l’incapacità del sistema sanitario di confrontarsi con il particolare, con gli uomini in carne e ossa, con le loro paure, aspettative sofferenze e desideri. È questa incomunicabilità che sta tracciando un solco incolmabile se non si avvia una profonda rivisitazione, come auspica Ivan Cavicchi, della medicina e dei medici.
Altri paesi, come gli Stati Uniti, hanno affrontato il problema scegliendo di non risolverlo, istituzionalizzando il conflitto, ma localizzando in uno spazio fuori dai luoghi della medicina. Nel loro tradizionale pragmatismo, i legislatori americani non hanno nemmeno immaginato di poter intervenire sul rapporto contrattuale che lega il medico con il proprio paziente, a differenza di quello italiano che nel tradizionale solco del “paga Pantalone” hanno immaginato un sistema che sostanzialmente scarica i costi sulla struttura pubblica, ponendo le basi per futuri scenari di instabilità finanziaria e, perché no, di privatizzazione del sistema.
In conclusione, mi pare si stia perdendo una grande occasione per agire sul vero male del nostro sistema sanitario: la marginalità in cui viene tenuto il cittadino malato. Solo quando l’ammalato conquisterà la centralità nel sistema sanitario, tanto declamata nei convegni e nei documenti ufficiali, sarà possibile ricostruire una relazione onesta che renda evidente la posizione di potere del medico e la grande responsabilità che da essa ne deriva.
Michele Vullo
Direttore Generale A.O. Papardo di Messina
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