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Lunedì 27 GIUGNO 2011
Malattia di Fabry: dal Cnr una nuova opzione di trattamento
Una nuova terapia, più agevole ed economica, è stata messa a punto da ricercatori italiani. È in grado di “riparare” l’enzima difettoso ed evitare le frequenti infusioni per via endovenosa. Ma il farmaco è ancora in fase sperimentale e non funzionerà su tutti i pazienti.
La malattia di Fabry è caratterizzata dalla mancanza o dalla scarsa attività dell'enzima alfa-galattosidasi lisosomiale. A oggi l’unica possibilità di cura è la somministrazione dell'enzima deficitario prodotto mediante biotecnologia, una terapia purtroppo ancora costosa che prevede frequenti infusioni per via endovenosa. Tuttavia, se venissero confermati i risultati di uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Icb-Cnr) insieme ad alcuni colleghi degli Istituti di calcolo e reti ad alte prestazioni (Icar) e di biostrutture e bioimmagini (Ibb) del Cnr di Napoli e del Dipartimento di bioinformatica dell’Università Federico II potrebbe esserci un’alternativa: un farmaco capace di migliorare la stabilità e la maturazione dell'enzima mutato (uno “chaperone farmacologico”), che può essere assunto per via orale e potenzialmente più economico rispetto alla terapia tradizionale.Il farmaco - presentato dai ricercatori sulle pagine di Orphanet Journal of Rare Diseases - è ancora in fase di sperimentazione e non sarebbe comunque efficace in tutte le forme della malattia.
“Abbiamo cercato di selezionare le forme mutate dell’enzima che rispondono allo chaperone famacologico”, ha spiegato Mario Guarracino, ricercatore Icar-Cnr, “e con l'aiuto degli strumenti matematici è stato messo a punto un metodo per predire la rispondenza di tali mutazioni”.
Lo studio del Cnr prevede una simulazione della proteina al computer “per valutarne stabilità e grado di conservazione dell’amminoacido presente nella forma normale della proteina”, ha aggiunto Giuseppina Andreotti, ricercatrice dell’Icb-Cnr. “Sulla base di queste considerazioni, cerchiamo poi di predire se la proteina indebolita da una particolare mutazione possa essere stabilizzata da piccole molecole chimiche assunte per via orale dal paziente”.
I ricercatori, benché entusiasti per la scoperta, vanno con i piedi di piombo: “il nostro metodo è il primo ‘chaperone farmacologico’ proposto ed è relativamente accurato, ma i risultati vanno considerati solo come indicativi per aiutare i clinici a scegliere per i pazienti di Fabry la terapia più appropriata tra questa meno invasiva e la sostituzione enzimatica”, ha concluso Andreotti.
La reale incidenza della malattia di Fabry non è conosciuta. Se si considerano solo le forme che si manifestano nella prima infanzia, potrebbe essere di uno su centomila, ma se si considerano quelle che si manifestano nell'adulto, l'incidenza potrebbe essere almeno 10 volte più alta. Può manifestarsi in forme molto diverse sia per la gravità sia per gli organi che colpisce, provocando tra gli altri danni renali e cardiaci con possibili rischi di ictus o di infarto.
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