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Giovedì 23 GIUGNO 2011
Cassazione. Paziente peggiora e muore. Responsabile l’infermiere che non allerta il medico

La Corte di Cassazione (sentenza n. 2457/1) ha rinviato a giudizio 3 medici e 3 infermieri per la morte di un paziente ricoverato a seguito di un incidente stradale. I giudici hanno respinto la “non responsabilità” degli infermieri giustificata dal Gup con la “mancanza di obbligo da parte del personale paramedico di valutare e percepire le sintomatologie del paziente”. Una tesi “improponibile” per la Cassazione, che “mortifica le competenze professionali” degli infermieri.

Dalla Cassazione arriva un’altra sentenza che farà discutere. Perché il tema è uno di quelli che ha scatenato scintille in più di un caso: i limiti della competenza degli infermieri. Stavolta, però, a rivendicare le proprie posizioni non sono i medici e gli infermieri, bensì il Giudice dell'udienza preliminare e i giudici della Cassazione. Perché se il primo sostiene che, in caso di decesso di un paziente in reparto, non esiste responsabilità penale per il personale infermieristico perché “è infondata la sussistenza dell'obbligo per gli infermieri di avvertire il medico di reparto di qualsiasi lamentela di parenti del paziente” e dell'obbligo per gli stessi “di valutare e percepire le sintomatologie dei pazienti”, la Cassazione afferma che invece “è vero proprio il contrario, e cioè che, rientra nel proprium (non solo del sanitario, ma anche) dell'infermiere quello di controllare il decorso della convalescenza del paziente ricoverato in reparto, sì da poter porre le condizioni, in caso di dubbio, di un tempestivo intervento del medico. Il ragionamento del giudicante, a tacer d'altro, finisce con il mortificare le competenze professionali di tale soggetto, che, invece, svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, essendo, come detto, l'infermiere onerato di vigilare sul decorso post operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, l'intervento del medico”.

Le parole riportate sono quelle della sentenza n. 2457/11 della IV sezione Penale della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 20 giugno. Una sentenza importante, perché non si limita a valutare la correttezza metodologica del giudice di merito rispetto al caso in esame, ma mette in dubbio le motivazioni stesse utilizzate dal giudice di merito per stabilire il luogo a non procedere per 3 medici e 3 infermieri accusati di omicidio colposo di un uomo vittima di un incidente stradale e morto 4 giorni dopo all’ospedale di Andria, dove era stato trasferito ormai in coma. In particolare, al personale infermieristico era addebitato di non aver dato corso e richiesto l'intervento del medico di reparto a fronte delle reiterate richieste di aiuto dei familiari ed amici recatisi a far visita al paziente.

Secondo la Cassazione, infatti, non solo c’erano tutti gli elementi per procedere con il caso e il Gup è andato oltre alle sue competenze accertando la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato anziché limitarsi a valutare la sufficienza delle prove per procedere con il dibattimento o la ragionevole previsione di poterli chiarire nel corso del processo. Ma il Gup avrebbe anche basato la sua sentenza su un assunto “improponibile giuridicamente”. Quella, appunto, riguardante il ruolo degli infermieri nel processo assistenziale.

“Le funzioni di ausiliari del personale medico imputabili agli infermieri escludono – secondo il Gup - che questi abbiano autonomia valutativa in ordine alla verifica della compatibilità del quadro clinico del paziente con l'intervento e le cure dei medici. Insomma – ribadiva il Gup - , gli infermieri non rivestono la posizione di garanzia come prospettata nel capo di imputazione ed e arduo configurare un nesso di causalità tra l'evento morte del D. e le condotte ascritte ai medici”, sicché “anche per gli imputati infermieri valgono le considerazioni in ordine alla carenza di prova di un nesso causale tra la loro condotta e l'evento morte, dovendo richiamarsi in proposito tutte le considerazioni medico-legali sopra analizzate”.

Ma anche questa tesi è fermamente respinta dalla Cassazione, secondo la quale è “evidente l'equivoco del giudicante quando si sofferma sull’‘autonomia valutativa’ dell'infermiere, rispetto al sanitario, che dimostra, a fortiori, l'errore concettuale di giudizio: non è infatti in discussione (né lo potrebbe essere) una comparazione tra gli spazi valutativi e decisionali dell'infermiere rispetto al medico, ma solo l'obbligo per l'infermiere, anche solo in caso di dubbio ragionevole (qui, fondabile non foss'altro che per le reiterate indicazioni dei parenti), di chiamare l'intervento del medico di turno, cui poi compete la decisione ultima”.
 

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