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Martedì 22 NOVEMBRE 2016
Diabete: in Veneto clinici e pazienti “vigilano” sulla tutela dei livelli di assistenza
Secondo l’indagine di Gfk Eurisko in Veneto le persone con diabete sono tra le più informate sulla malattia e soddisfatte di medici, liste d’attesa e servizi rispetto al dato nazionale. Consolidata la collaborazione professionale tra specialisti e medici di famiglia
La maggior parte dei pazienti diabetici veneti in trattamento con insulina risulta consapevole, attiva e competente nella gestione della propria patologia per una misura percentuale sostanzialmente in linea al resto d’Italia. E il dato positivo si mantiene tale anche per il gradimento nei confronti di medici e servizi. La soddisfazione dichiarata per la disponibilità e competenza dei medici curanti è tale per circa l’87% dei pazienti veneti.
Il valore di gradimento per la qualità dei servizi sanitari in termini di accessibilità, tempi di attesa e servizi offerti è invece del 79%(contro il 75% del resto d’Italia).
Risultati che posizionano il Veneto in una fascia alta rispetto all’Italia sia in termini di competenza del paziente sia rispetto al gradimento dei servizi.
Sono questi alcuni tra i dati più evidenti dell’indagine condotta su scala nazionale da
Gfk Eurisko e che, estrapolati a livello regionale, inquadrano il Veneto tra le regioni più avanzate nell’organizzazione, nei servizi sul territorio e, di conseguenza, nella capacità dei pazienti di saper epoter gestire efficacemente la propria malattia.
La declinazione regionale della ricerca Gfk Eurisko è stata presentata nei giorni scorsi a Padova nel corso di un incontro tra esperti organizzato da Sics, Società italiana di comunicazione scientifica e sanitaria, realizzato con il sostegno non condizionante di Sanofi e promosso da Quotidiano Sanitànell’ambito del più vasto programma del progetto DIRE (Diabete, Informazione, Responsabilità, Educazione) che sta toccando dieci regioni italiane. DIRE è un percorso di approfondimento sulle realtà regionali di governance del diabete di cui di cui il Veneto è stato l’ottava tappa.
All’incontro hanno partecipato Giovanni Franchin - Coordinatore Associazioni Diabetici della Regione Veneto, Albino Bottazzo - Presidente Nazionale FAND, Franco Novelletto – Vice Presidente Regionale SIMG, Loris Confortin - Presidente SID Regione Veneto e Trentino Alto Adige, Giovanni Sartore - Presidente AMD Regione Veneto e Trentino Alto Adige, Annunziata Lapolla - Direttore UOC Diabetologia e Dietetica ULSS 16 Padova.
Secondo l’indagine,il coinvolgimento attivo della persona con diabete nella gestione della propria malattia ha effetti significativi sulla sua soddisfazione e sulla sua qualità di vita. Questo significa una migliore percezione dello stato di salute, un umore migliore, migliori relazioni sociali e familiari e migliori risultati in termini di buon controllo glicemico, minori ipoglicemie gravi, maggiore aderenza al trattamento e maggiore capacità di migliorare il proprio stile di vita.
I risultati dello studio condotto da GfK Eurisko su un campione nazionale di 500 pazienti con diabete di tipo 2 in trattamento con insulina confermano – anche a livello della Regione Veneto – l’importanza di una buona relazione tra medico e paziente nel favorire il coinvolgimento attivo della persona con diabete e nel migliorare i risultati della cura. Paziente che, in Veneto, si caratterizza per una condizione fisica sostanzialmente allineata con il resto d’Italia in termini di sovrappeso e obesità e, in tema di complicanze legate al diabete, registra un dato molto positivo per quanto riguarda le retinopatie che registrano un 9% contro il 20% del dato nazionale.
“Il medico - ha dichiarato Isabella Cecchini, Direttrice del Dipartimento di Ricerche sulla Salute di GfK Eurisko - ha un ruolo fondamentale nell’educare il paziente e renderlo consapevole dell’importanza della cura e di un corretto stile di vita. Tale consapevolezza migliora la soddisfazione del paziente attraverso un migliore controllo della malattia”.
L’indagine ha confermato come anche in Veneto il diabetologo sia il medico di riferimento per il paziente (lo è per il 75% degli intervistati) ma il medico di medicina generale ha un ruolo più importanterispetto ad altre regioni. Viene infatti considerato tra i clinici di riferimento dal 56% dei pazienti intervistati contro il 41% della media nazionale. Un dato evidente sull’ottimo livello di collaborazione tra specialisti diabetologi e medici di famiglia per una presa in carico efficace dei pazienti. In linea rispetto al dato nazionale, 9%, è inoltre la percentuale di pazienti che si rivolgono direttamente al privato.
Tutti i partecipanti al tavolo guardano con estrema attenzione al percorso di riordino della sanità veneta con la riduzione del numero delle ULSS da 23 a 9 la contestuale l’istituzione della “Azienda Zero” che, come è noto, risponde alla finalità di unificare e centralizzare in capo ad un solo soggetto le funzioni di programmazione, di attuazione sanitaria e socio-sanitaria, nonché di coordinamento e governance del SSR, riconducendo a esso le attività di gestione tecnico-amministrativa su scala regionale. La collaborazione ormai consolidata delle istituzioni regionali con le società scientifiche e professionali nonché con le associazioni dei pazienti, se da un lato consente di stare sufficientemente tranquilli circa il mantenimento dei livelli organizzativi e assistenziali sul territorio, dall’altro rende forse più efficace l’azione di controllo affinché i pazienti veneti non debbano trovarsi a subire un peggioramento degli standard qualitativi del loro percorso di accoglienza.
E se la Sanità veneta è nota per la storica e costante attenzione alla dimensione socio-sanitaria dell’assistenza, la diabetologia ha fatto propri alcuni principi di fondo secondo cui è importante non restare chiusi nel proprio specifico ambito di attività. Se da un lato la collaborazione con la medicina di famiglia è sostanzialmente una dinamica consolidata, gli specialisti diabetologi ritengono che la loro azione debba guardare anche al momento delle acuzie e non solo al vasto campo delle malattie croniche.
“Se Il ruolo del diabetologo nell'intero sistema è centrale per il futuro della nostra organizzazione e deve pertanto essere consapevole e partecipe nell'organizzazione dell’assistenza territoriale” ha sottolineato Loris Confortin, Presidente della Società italiana di diabetologia del Veneto “oltre che nella formazione di tutte le figure professionali (anche non mediche) necessarie per affrontare questa vera e propria “epidemia” di diabete, riteniamo che debba esserlo altrettanto nelle strutture sanitarie per acuti.
Il che significa”, ha spiegato “garantire la propria presenza nel momento in cui un diabetico va incontro ad un fatto acuto come uno scompenso, un intervento chirurgico, un parto o un accesso al Pronto Soccorso dove, affiancando i clinici della struttura di emergenza, è stato possibile nella sperimentazione che stiamo conducendo, anche evitare il ricovero”. Non di meno, estrema attenzione deve essere posta ai temi della prevenzione. “Nel PDTA che stiamo redigendo” ha quindi spiegato Confortin, “una parte molto importate è, per esempio, dedicata ai non diabetici, a chi cioè ha valori glicemici elevati ma non è ancora malato, e che dobbiamo fare in modo non lo diventi.
Un grido di allarme che non riguarda però direttamente il Veneto è quindi giunto da Albino Bottazzo, Presidente nazionale, oltre che regionale, della Federazione delle associazioni nazionali diabetici. “In linea generale” ha sottolineato “credo che il sistema diabetologico italiano sia gravemente in pericolo poiché, soprattutto nelle regioni economicamente più in difficoltà, si rischia di tralasciare specificità di assistenza che sono assolutamente peculiari e caratteristiche di una efficace presa in carico del paziente diabetologico, a cominciare dall’identità e dal ruolo del Centro diabetologico che riteniamo sia di assoluta importanza, soprattutto per la prevenzione delle complicanze che, alla fine, rappresentano il maggiore costo sociale oltre che economico. Quello che abbiamo fatto in Veneto, lavorando come team, più che in altre regioni è di aver “limato” questo grado di pericolosità facendo sì che ciascuno, pazienti, clinici, decisori politici volontariato, potessero lavorare insieme su modelli organizzativi condivisi”.
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