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Lunedì 07 NOVEMBRE 2016
Dal Consiglio di Stato una nuova sentenza contro la liberalizzazione dei farmaci di fascia C

La sentenza, chiarendo preliminarmente che la decisione è riferibile limitatamente al caso sottoposto all'esame, ha da una parte ribadito che la disciplina introdotta dalla legge 27/2012 non ha portato ad una completa liberalizzazione del settore farmaceutico, e dall'altra che l'adeguamento del numero delle farmacie può e deve essere fatto non solo in aumento (nel cao di incremento demografico) ma anche in diminuzione (in caso di decremento).

Una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. III, 4/10/16 n. 4085) ha affermato un principio che, da tempo consolidato in giurisprudenza, pareva posto in dubbio da alcuni recenti provvedimenti dello stesso Consiglio di Stato (ord. III sez. 600/2016).
 
Detta sentenza, seppur chiarendo preliminarmente che le fattispecie devono essere valutate singolarmente e quindi limitando la decisione al caso sottoposto al proprio esame, afferma la disciplina introdotta con l'art. 11 del D. L. n. 1/2012, conv. con l. n. 27/2012, non ha portato ad una completa liberalizzazione del settore farmaceutico ed anzi, continua la sentenza, l'adeguamento del numero delle farmacie può e deve essere fatto non solo in aumento (nel caso di incremento demografico) ma anche in diminuzione (in caso di decremento).
 
La nuova disciplina introdotta con l'art. 11 del D. L. n. 1/2012, conv. con l. n. 27/2012, quindi, non ha portato ad una completa liberalizzazione del settore farmaceutico ma ha, invece, introdotto numerose misure volte al suo potenziamento in favore dei consumatori e degli utenti, fra le quali spiccano l'aumento delle sedi farmaceutiche, mediante la previsione di nuovi parametri numerici inerenti il rapporto fra farmacie ed abitanti e l'immediato svolgimento di un concorso straordinario per la copertura delle nuove sedi così individuate.
 
In tal modo operando una sinergia ed un bilanciamento fra la libertà d'iniziativa economica privata in condizioni di piena concorrenza sancita dall'art. 41 Cost. (consentendo l'ingresso di nuovi operatori sul mercato) e il preminente diritto alla salute tutelato dall'art. 32 Cost. (mantenendo una pianificazione delle sedi e vincoli di turni, orari e modalità di servizio, volti ad avvicinare il servizio farmaceutico alla popolazione), anche alla luce delle decisioni della Corte Costituzionale (13 novembre 2009, n. 295) e della Corte di Giustizia UE (n. 570 del 1° giugno 2010), che rispettivamente hanno sancito il principio per cui "il contingentamento delle farmacie costituisce il non irragionevole strumento adottato per garantire la disponibilità di un bacino di utenza adeguato", e quello per cui "l'esigenza di tutela della sanità pubblica può giustificare una normativa nazionale che preveda l'apertura di non più di una farmacia per un certo numero di abitanti, poiché una tale condizione può sortire l'effetto di canalizzare l'insediamento di farmacie verso parti del territorio nazionale dove l'accesso al servizio farmaceutico è lacunoso".
 
E' principio comunemente recepito, recita la sentenza, che l'adeguamento del numero delle farmacie possa e debba essere fatto non solo in aumento (nel caso di incremento demografico) ma anche in diminuzione (in caso di decremento). E' vero semmai che in questa seconda ipotesi la riduzione del numero delle farmacie in pianta organica non comporta, nell'immediato, la chiusura di alcuna delle farmacie in esercizio - non essendovi previsioni normative in tal senso - ma avrà comunque effetto nel momento in cui la farmacia soprannumeraria venga (per altra legittima causa) a trovarsi vacante. Ma se la farmacia eccedente è già vacante quando la pianta organica viene rideterminata, la soppressione è immediata.
 
Ne consegue, da un lato, che non vi è alcuna aspettativa tutelata degli aspiranti nuovi titolari di farmacia all'assegnazione di una preesistente farmacia che si era già resa vacante e che è stata poi soppressa a seguito della pianificazione biennale, e d'altro lato, che la sede farmaceutica, anche soprannumeraria, non può comunque essere soppressa, se vi è un titolare di farmacia che ne gestisca l'esercizio, in quanto, venendo meno la sede farmaceutica, verrebbe meno anche il diritto di esercizio dell'impresa nell'ambito territoriale in questione, con evidenti conseguenze ablative sul valore del relativo complesso aziendale, di cui il diritto di esercizio costituisce il cespite principale.
 
L'attività di somministrazione al pubblico di farmaci sottoposti a prescrizione medica (esclusi quindi quelli di "fascia C" ormai liberalizzati ed acquistabili anche mediante le c.d. parafarmacie), conclude la sentenza, anche qualora svolta nell'ambito di attività commerciali gestite imprenditorialmente da operatori economici privati, costituisce un'attività economica "conformata" da un impianto normativo pubblicistico volto alla tutela del diritto alla salute "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" (art. 32 Cost.), alla stregua dell'art. 41, terzo comma, Cost. secondo cui "La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
 
Speriamo, ora, che la “singolarità” della sentenza cui fa riferimento la stessa non sia troppo limitata e possa esservi almeno sull’argomento qualche certezza.
 
Paolo Leopardi

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