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Mercoledì 28 SETTEMBRE 2016
Donne medico e “mamme”. Un valore aggiunto per il Ssn



Gentile Direttore,
“Diventare madri è un master d’alto livello” scrive
 Beppe Severgnini sul Corriere della Sera in risposta alla lettera dove Silvia P. ammette il proprio fallimento nel tentativo di conciliare famiglia e lavoro. A sua volta il giornalista cita l’autrice Riccarda Zezza che ha di recente pubblicato un libro dal titolo “Maam. La maternità è un master”. In Francia la maternità è veramente assimilata ad un master universitario, per accedere al concorso per l’abilitazione all’insegnamento: una legge del 1981 equipara infatti le doti di genitore a quelle di educatore professionista. Inizialmente valida soltanto per le mamme che avessero cresciuto almeno 3 figli, dal  2007 la norma è estesa anche ai  papà.

Anche questa notizia è uscita qualche mese fa sul Corriere della Sera ed ha ispirato il mio intervento alla terza Conferenza Nazionale della professione medica ed odontoiatrica, organizzata a Rimini dalla Fnomceo: “Guardiamo al futuro: quale medico, quale paziente, quale medicina nel SSN?”. La mia relazione, dal titolo Conciliazione famiglia lavoro: utopia per la donna o via maestra per il cambiamento?”, si concludeva infatti con una provocazione: introdurre tra i titoli da valutare per scegliere i direttori di aziende sanitarie e ASL, l’aver cresciuto almeno tre figli come avviene in Francia per l’accesso all’insegnamento, alla pari dell’attestato di formazione manageriale in sanità.

A mio modo di vedere questa scelta avrebbe comportato una minore ingerenza della politica in Sanità e dati di Bankitalia alla mano, avrebbe permesso di ridurre la corruzione, migliorare l’allocazione delle risorse e aumentare il PIL.

Infatti se non ci fossero differenze di opportunità tra uomini e donne il prodotto interno lordo potenziale dell’Italia aumenterebbe del 15%: ce lo dice il presidente del fondo monetario internazionale, Christine Lagarde dal suo blog, trovando conferma nei dati pubblicati nel 2014 dallo stesso istituto.

Così magari, invece che un “autunno dei numeri” in ribasso sulle previsioni di crescita rispetto al 2015 che fanno tanto presagire un nuovo anno di tagli (o di mancati aumenti) al fondo sanitario nazionale, avremmo potuto finalmente aprire una nuova stagione di investimenti sul capitale umano!

Già proprio sulla professionalità di quei medici, uomini o donne che siamo, che in questi anni di crisi hanno “retto” il nostro SSN. Nonostante i 25 miliardi di tagli lineari si siano abbattuti come una scure sugli organici, sulle strutture semplici e complesse, sui fondi destinati al trattamento accessorio e sui posti letto per acuti senza una reale riconversione o rimodulazione dell’offerta di posti letto nel territorio. Ovviamente con 21 declinazioni differenti, tanti sono i sistemi sanitari regionali.

Posso testimoniare con forza, in quanto medico, mamma di tre bambine, che:

- l’esperienza della maternità è una ricchezza aggiuntiva che sublima la professionalità e la competenza della donna medico;

- la conciliazione famiglia lavoro è possibile, a fronte di sacrifici e di una rete familiare che vicari la scarsità di aiuti alle famiglie e alle donne che lavorano;

- nessuna donna medico per “naturale inclinazione” al sacrificio per il bene degli altri, potrà sopportare ulteriori tagli alla propria professionalità per esigenze di finanza pubblica perché nel quotidiano, ciò si traduce in un peggioramento della qualità e della sicurezza delle cure erogate.

Lancio quindi un appello alle forze politiche di questo paese affinché non depotenzino ulteriormente il SSN e permettano a tutte le donne medico di conciliare famiglia e lavoro partendo proprio dalla maternità che deve essere vissuta come un’opportunità per la donna e per l’azienda e non come un ostacolo alla carriera o un torto fatto ai colleghi di lavoro:

- tenendo conto delle potenzialità dei nuovi mezzi informatici che permettono di lavorare a distanza e di gestire in maniera nuova spazio e tempo;

- sostituendo immediatamente le assenze per gravidanza/maternità;

- modificando l’attuale istituto del part-time, prevedendo flessibilità nella durata dell’orario di lavoro per i periodi nei quali la donna ne ha maggiore necessità (a seconda delle fasi della vita che attraversa);

- realizzando asili nido aziendali per favorire il rapido reinserimento della donna dopo il parto;

- investendo in corsi di formazione altamente professionalizzanti x acquisire competenze aggiuntive strategiche x gli obiettivi di salute  da realizzare;

- incentivando studi indipendenti di ricerca clinica anche per revisionare modelli organizzativi e/o proporne di nuovi;

- riservando posti negli uffici di staff della direzione generale x realizzare quella clinical governance che ancora oggi resta lettera morta sulla carta.

Cristina Cenci
vice segretario regionale vicario Cimo Umbria

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