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18 SETTEMBRE 2016
Lampedusa, l’Isis, il carcere, le Rems e la fine della psichiatria
Gentile direttore,
in Conversazione con l’uomo nell’armadio Ian McEwan ci fornisce un affresco straordinariamente efficace e realistico della quantità e della varietà impressionante del disagio mentale ospitato nelle prigioni, rendendo al contempo ragione della spinta seclusiva di molte persone sofferenti.
Anch’io voglio cimentarmi con un racconto fantastico, che non ha alcun riferimento con fatti realmente accaduti, ma potrebbe accadere nell’oggi o nel domani delle nostre prigioni, così come potrebbe essere accaduto nell’ieri.
Adam, un giovane esile uomo appena maggiorenne, sbarca a Lampedusa. Proviene dal Togo, è passato per il Benin e il Niger, è arrivato il Libia. Sale su un barcone poi, verso il sogno europeo. Da Lampedusa la solita trafila: un centro di primo soccorso, uno di accoglienza e, infine, una casa famiglia. Non se la passa male, c’è anche un suo connazionale e gli operatori parlano in inglese con lui. E’ giovane, è straniero, non ha parenti in Italia e nemmeno un amico, forse fuma anche un po’ di hashish. Sia come sia, finisce per andare incontro a gravi turbe psichiche. La Polizia lo ferma per strada, si accorge del suo disagio e lo accompagna in un servizio psichiatrico ospedaliero. Gli psichiatri constatano la presenza di un grave scompenso psicotico, gli danno farmaci per pochi giorni e poi, quando lui dice che vuole andarsene dall’ospedale, gli fanno firmare le dimissioni volontarie e lo dimettono.
Adam se ne va per strada, sporco, delirante, allucinato e subconfuso. Sopravvive per pochi giorni. Le voci, poi, lo incitano a salire su una macchina e a scappare lontano. Traffica attorno a quella macchina, che magari non sa nemmeno guidare. I passanti hanno tutto il tempo di avvertire la Polizia, che arriva e ferma lo stupefatto Adam. Tentato furto in flagranza: processo per direttissima. Il giudice è persona di esperienza e di buon senso. Anche se non lo fosse, si accorgerebbe subito delle disastrose condizioni mentali di Adam. Il 118 interviene in aula e il giovane viene accompagnato presso il PS ospedaliero più vicino. Immediata consulenza psichiatrica: la diagnosi è di crisi psicotica acuta; la descrizione del comportamento è di una grave agitazione psicomotoria; la terapia è a base di neurolettici in puntura; l’indicazione terapeutica è quella della …custodia cautelare in carcere.
Adam, circondato da una decina di poliziotti penitenziari, viene chiuso nella sua cella. I medici e gli psichiatri del carcere tentano invano di comunicare con lui. Adam allaga subito la cella, si denuda completamente, urina sul pavimento, si cosparge il corpo di dentifricio, lancia piccoli oggetti contro chiunque cerchi di parlargli attraverso il cancello. Non resta che proporre un TSO ospedaliero. Siccome siamo in Italia ed è pomeriggio, l’ordinanza per il TSO non arriva che il giorno dopo. Adam sopravvive a quella nottata terribile, sorvegliato per fortuna da poliziotti e da infermieri abituati e comprensivi. Tutti sanno d’altronde che, anche qui in Italia, esiste il pity arrest e lo psychiatric boarding.
Il TSO viene infine eseguito il giorno successivo e dura due settimane, durante le quali capita che Adam, anche se sorvegliato da due poliziotti, debba anche essere contenuto per motivi sanitari. Poi si calma un po’. Parla in inglese con uno psichiatra comprensivo, dal quale capisce che potrebbe essere aiutato. Accetta le terapie farmacologiche che erano dapprima somministrate contro il suo volere. I deliri e le allucinazioni sono meno pressanti, anche se tutt’altro che esauriti. Pur continuando a delirare e a sentire le voci, secondo taluni potrebbe essere dimesso dall’Ospedale: d’altronde occupa un’intera stanza con diversi letti! Può essere dimesso: ma dove lo si manda? Se fosse un cittadino italiano, al primo arresto per un tentato furto durante una grave crisi psicotica; se avesse dei familiari e un bravo avvocato difensore; se questi familiari si fossero subito recati presso i servizi sociali e sanitari, una soluzione diversa dalla custodia cautelare in carcere la si sarebbe subito trovata. Difficile immaginare, anzi, che per una persona in simili condizioni si sarebbe ricorsi alla custodia cautelare in carcere. Ma Adam viene dal Togo, dove le persone con gravi disturbi mentali vengono lascate a pregare incatenate agli alberi. Non dovrebbe subire un gran danno se lo mettessimo in carcere invece che legato a un albero. Allora lo mandiamo in carcere.
Adam torna in effetti in cella. A pochi metri da lui, in una cella diversa, è ristretto Abdallah, nordafricano che ha già alle spalle alcune carcerazioni per reati minori. In preda a gravi alterazioni psichiche, a torso nudo e in pieno giorno, impugnando un piccone ha minacciato una vecchietta per strada e le ha rapinato sette euro. Il giudice, avendo notato lo stato mentale gravemente alterato di Abdallah, ha disposto una osservazione psichiatrica. Poi, delirante e aggressivo, anche Abdallah, come Adam, è stato ricoverato in TSO ospedaliero: durante la notte precedente al ricovero aveva aggredito un compagno di cella, come lui nordafricano, accusandolo di non essere un militante dell’ISIS. In ospedale Abdallah, dopo alcuni giorni di cure, è migliorato. Anche la sua “appartenenza all’ISIS” è regredita. Dimesso dall’ospedale, Abdallah è tornato in carcere.
Ora i giudici si chiedono dove possono mandare i molti Adam e Abdallah che abitano il carcere. Mi è giunta voce -ma è sicuramente una mia fantasia di desiderio, frutto dall’immaginario come tutto questo racconto - che a Volterra, nei diroccati reparti “Charcot” e “Ferri” dell’ex Ospedale Psichiatrico, un sindaco, un uomo di fede e un sociologo illuminati stanno allestendo un “Centro di deradicalizzazione”. Sono andati a spiare cosa hanno fatto in Francia, a Pontourny, dove è accaduto qualcosa di analogo. A Pontourny, Marie-Alphonse Gréban de Pontourny, nel 1895, creò una fondazione per ospitare orfani e donne, poi riconvertita in ospedale psichiatrico agli inizi del Novecento. Ora a Ponturny ci stanno andando i giovani “sbandati” approdati all’ISIS.
Ho sentito anch’io una voce, come Adam e Abdallah: mi diceva che al “Ferri” di Volterra, già sezione giudiziaria di quell’OP, stavano già iniziando i lavori di restauro dei graffiti di Oreste Nannetti (N.O.F. 4), ingegnere e pittore già prosciolto, molti anni addietro, dal gravissimo reato di oltraggio e resistenza a PU. In compagnia dei graffiti di Oreste Nannetti, da giovane, ho trascorso, in estate, qualche momento sereno, fra le chiacchere lontane degli infermieri, il sussurro dei pazienti e il frinio delle cicale.
Mario Iannucci
Psichiatra psicoanalista
Fondatore e Responsabile, dal 2001, della Comunità ‘Le Querce’ di Firenze, per pazienti psichiatrici autori di reato
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