quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Lunedì 18 LUGLIO 2016
Osteoporosi. Ecco perché non convince il documento delle Società Scientifiche
Gentile Direttore,
una Commissione composta da rappresentanti di sette Società scientifiche che si occupano di pazienti con osteoporosi ha elaborato un documento (senza riferimenti bibliografici o di metodo) per fornire quelle che dichiarano “indicazioni essenziali per un comportamento diagnostico e terapeutico omogeneo e condiviso”.
Si dà atto di alcune raccomandazioni condivisibili e di aver introdotto qualche doverosa cautela rispetto a posizioni precedenti, come sui supplementi di calcio e sulla durata delle terapie (senza per altro dare indicazioni sui farmaci, come se il medico di famiglia non avesse ruolo nella scelta delle terapie). Tuttavia il documento contiene affermazioni che consideriamo molto discutibili, e iniziamo a discuterne tre, concludendo con una considerazione generale.
Il documento esordisce affermando:
“il primo obiettivo è individuare i soggetti per i quali è più forte l’indicazione al trattamento. Lo strumento … per identificare i soggetti a rischio elevato di frattura è la nota AIFA 79: se un soggetto risulta incluso nei criteri della nota, il suo rischio di frattura va considerato elevato e … è sicuramente giustificato il ricorso al trattamento con farmaci”.
Anzitutto, la nota AIFA è “limitativa”, nel senso che chi rientra nei criteri da essa stabiliti può essere trattato con farmaci a carico del SSN, ma ciò non significa che tutti coloro che vi rientrano siano per definizione “ad alto rischio” e debbano “sicuramente” ricevere farmaci.
Ci spieghiamo meglio. La nuova nota AIFA 79 ha ampliato in molte direzioni i possibili destinatari di diagnosi e terapie farmacologiche. Ad es. consente farmaci a carico del SSN, a prescindere dalla densità minerale ossea, per chi abbia diagnosi radiologica di frattura vertebrale (anche asintomatica e trovata incidentalmente con una Rx della colonna, come può spesso accadere per fratture di vertebre). È definita “frattura” una “riduzione ≥20% di almeno una delle altezze vertebrali”.
Un 20% di riduzione può in effetti indicare, a seguito di ponderato giudizio clinico, il grado più lieve di frattura, ma anche deformazioni di tutt’altra natura: gran parte degli anziani vi rientra! Se quanto consentito (non certo imposto) dalla Nota 79 fosse applicato alla lettera e in modo sistematico, i 403.500 italiani in terapia antifratturativa nel 2015 (dati OsMed) passerebbero a parecchi milioni. Ci sono produttori ed erogatori che forzano l’interpretazione della Nota, quasi che nei casi descritti i farmaci fossero un obbligo, non solo una delle opzioni legittimate, soggetta a una preventiva e complessiva valutazione clinica.
Il documento delle Società scientifiche ammette che “la maggior parte delle fratture vertebrali è misconosciuta”, ma afferma che sarebbe “indicata la loro ricerca con indagini radiografiche del rachide dorsale e lombare”, elencando poi condizioni di maggior rischio in cui sarebbero in particolare indicate anche in assenza di sintomatologia, come in “tutte le donne tra 65 e 69 anni e uomini tra 70 e 79 anni con T-score ≤1,5”, cioè in condizione di semplice osteopenia. Si consideri che indagini sulla prevalenza di osteopenia e osteoporosi nella popolazione femminile in Italia (Studio E.S.O.P.O.) mostrano tra 60 e 69 anni una prevalenza di osteopenia+osteoporosi dichiarata che sfiora l’80%! Nelle 70-79enni le donne “normali” sarebbero solo il 14%, mentre la grande maggioranza delle altre (40,3% con osteopenia, 45,7% con osteoporosi) sarebbe candidata a un trattamento farmacologico.
[ per inciso, gli specialisti parlano molto di osteoporosi come “malattia”, “sottodiagnosticata e sottotrattata”. È così se si fa riferimento agli attuali criteri per la diagnosi e la terapia, stabiliti nel 1994 da un gruppo di studio OMS supportato da produttori di farmaci, poi implementati da una task force supportata dall’International Osteoporosis Foundation (IOF) e da altre organizzazioni finanziate da imprese commerciali produttrici di farmaci e tecnologie diagnostiche. Ma non viene il dubbio che tali criteri siano stati troppo ampliati, se fanno definire malate o in carenza l’86% delle ultra70enni?! ]
Per quanto riguarda la 25(OH) vitamina D (d’ora in poi vit. D), il documento pone l’“obiettivo da raggiungere” di 30 ng/ml (75nmol/l), stabili nel tempo.
Tuttavia sul fabbisogno di vit. D c’è una diatriba tra organismi indipendenti come l’Institute of Medicine (IOM) USA, che, dopo una monumentale revisione di letteratura, raccomanda livelli ≥20 ng/ml , e molte società scientifiche e l’industria produttrice, che alzano la raccomandazione a ≥30 ng/ml, e propongono supplementi per livelli inferiori, definiti insufficienza. Ma 3 donne USA su 4 in postmenopausa e la maggior parte della popolazione mondiale hanno livelli <30 ng/ml, e l’indicazione delle Società scientifiche aderenti all’IOF, ecc. favorisce un gigantesco mercato mondiale dei supplementi (€ 5 bilioni nel 2013), abbinato a quello delle misurazioni (laboratori e produttori di kit di analisi), e dei latticini/cibi fortificati (Grey A et al. BMJ 2015; 351:h3170).
Uno studio clinico randomizzato controllato in doppio cieco (Hansen KE et al. JAMA Intern Med 2015) ha aiutato a chiarire la controversia, assegnando per un anno a 230 donne sessantenni, con livelli basali di 14-27 ng/ml di vit. D, supplementi di vit. D3 di 800 UI di al giorno, o di 50.000 UI 2 volte al mese, o placebo.
Obiettivo: misurare le differenze in assorbimento di calcio (esito primario), BMD, funzione e massa muscolare, punteggio trabecolare e turnover osseo.
Risultati. Con 100% di aderenza e abitudini dietetiche costanti, i livelli medi di vit. D sono stati 19 ng/ml con placebo, 28 con la supplementazione bassa e 56 con quella alta. Il calcio assorbito è stato +1% con l’alta e -2% con la bassa supplementazione, e -1,3% con placebo. Non c’è stata alcuna differenza in BMD alla colonna lombare, all’anca o total-body, o nel punteggio dell’osso trabecolare, o nei test TUG e STS (tempi: per alzarsi da una sedia, camminare 3 m girarsi e tornare a sedersi; e per alzarsi e risedersi 5 volte da una sedia con braccioli), né nella massa muscolare, nel numero di cadute o di donne cadute, né in questionari di valutazione dello stato di salute, né in ricoveri o fratture. L’ipercalciuria si è verificata 9 volte, di cui 7 con l’alta dose di vit. D.
Questo studio supporta dunque la posizione IOM, di considerare adeguati livelli di ~20 ng/ml.
Per altre considerazioni basate sulle prove su: sovradiagnosi e sovratrattamenti, lacune nelle prove su grandi anziane e sui maschi, effetti avversi da diagnosi e terapie, clamorosa sovrastima del rischio individuale di frattura da parte dei pazienti, ma anche di medici di famiglia e specialisti (Douglas F et al. Osteoporos Int 2012; 23:2135), seri rischi di zoledronato in anziani fragili (Greenspan SL et al. JAMA Intern Med 2015; 175:913) si rimanda ad altre pubblicazioni (es.: Pillole di buona pratica clinica 126-127/2015). Si fa qui solo riferimento ai problemi di cui al punto seguente, segnalati dal Programma Ermete.
Il documento contiene, secondo noi, un’errata impostazione metodologica agli esami di laboratorio.
La loro scelta dovrebbe essere basata sulla raccolta di un’anamnesi familiare, remota e recente del paziente, su un esame obiettivo approfondito e sulla sintomatologia per cui la persona si presenta all’osservazione. Da questo già si dovrebbe riuscire a desumere se ci troviamo di fronte a un’osteoporosi secondaria o meno. Questo perché siamo di fronte a una popolazione over 60 per le donne e over 50 per gli uomini a cui è stata già evidenziata un’osteoporosi e quindi molte delle patologie che possono causare osteoporosi secondaria, secondo la Tabella 1 del documento, dovrebbero essere già note e inquadrate dal punto di vista medico (vedi diabete tipo I e II, tireopatie, uso di certi farmaci, alcolismo, malattie autoimmuni ect).
Se invece dall’anamnesi o dall’esame obiettivo si avesse il sospetto di una malattia causa di osteoporosi non già evidenziata, la prima prescrizione di esami dovrebbe inserire quelli, opportunamente mirati, utili a una ricerca specifica eziologica di osteoporosi secondaria, che in questo caso diventano di I livello: esempio se il paziente riferisce disturbi intestinali non banali, è di I livello richiedere gli anticorpi antitransglutaminasi.
Se l’anamnesi fosse negativa per le patologie/condizioni indicate nella Tabella 1, il I livello (Tabella 2) serve a evidenziare un’ipocalcemia e, se presente, ricercarne le eventuali cause non note.
Errore del documento è considerare come I livello il protidogramma che ha come razionale solo l’identificazione di componenti monoclonali nel sospetto di discrasie plasmacellulari. Quindi non fornisce alcuna informazione sullo stato della calcemia. Se invece il protidogramma è stato inserito per avere notizie sulla distribuzione delle proteine per identificare uno “stato infiammatorio” o una nefropatia per valutare una proteino-dispersione, le prove scientifiche ci dimostrano che uno stato infiammatorio non si evince da un protidogramma e la nefropatia si diagnostica con altri esami.
L’immunofissazione indicata come esame di II livello non è un esame diagnostico, ma una tecnica di laboratorio utilizzabile in molti ambiti. Nel caso specifico, gli autori probabilmente intendevano indicare invece la tipizzazione dell’eventuale componente monoclonale (rilevata dal protidogramma), che si può ottenere con le tecniche dell’immunofissazione o dell’immunosottrazione. A questo punto si capisce che il test da richiedere non è l’immunofissazione bensì la tipizzazione delle componenti monoclonali. Sarà poi scelta dal laboratorio la tecnica per tipizzare.
Altro errore per una linea guida è indicare il test fosforemia (termine inappropriato di uso comune) quando l’analita da dosare è il fosfato inorganico. In natura il fosforo non esiste come tale perché è molto instabile e si lega immediatamente all’ossigeno per formare fosfati, presenti in tale forma nel sangue.
Infine, la calcemia totale corretta per l’albuminemia è un artificio per ottenere una stima del calcio libero (lo ione attivo) che qualsiasi laboratorio pubblico italiano può fornire con un emogasanalizzatore come calcio ionizzato, test che invece la Tabella 2 indica come esame di II livello. La calcemia corretta per albuminemia ha scarsa accuratezza e precisione, invece garantite dal dosaggio del calcio ionizzato.
Considerazione finale
L’On. Gelli ha apprezzato il suddetto coordinamento di più Società Scientifiche nell’elaborazione di linee guida unitarie, definendolo un buon esempio di ciò che si prefigge il Ddl sulla responsabilità professionale, di cui è stato relatore per la Commissione Affari Sociali della Camera.
In particolare la versione originaria di Gelli (in un articolo che Senato e Parlamento ci auguriamo vogliano rettificare) escludeva colpa grave se il sanitario «si è attenuto alle buone pratiche e linee guida adottate dalle Società scientifiche» … iscritte in elenco del Ministero Salute.
Tale delega anomala attribuirebbe alle Società scientifiche (escludendo tutti gli altri attori!) la titolarità per legge di stabilire ciò cui tutti i sanitari si dovranno attenere per non rischiare.
Il documento intersocietario per l’Osteoporosi (basato sui “punti di vista” di soli specialisti di settore) dà un’idea di dove si potrebbe andare a finire, se quella versione venisse confermata. Tra l’altro, la dichiarata aspettativa di “recuperare 10 miliardi di Euro di medicina difensiva” sarebbe illusoria, dato che solo nell’esempio citato, qualora applicato sul serio, la spesa per farmaci e tecnologie aumenterebbe di almeno un ordine di grandezza, senza alcuna valida prova che i benefici nella riduzione di fratture non sarebbero sovrastati dagli effetti avversi di terapie croniche, spalmati su molti milioni di persone, di cui solo una piccola minoranza avrebbe vantaggi.
La nostra proposta è nota:
le Società scientifiche non possono essere uniche né prime titolari della formulazione di Linee Guida/raccomandazioni per i sanitari italiani, a maggior ragione per chi opera nel SSN.
Linee Guida nazionali andrebbero progressivamente elaborate da un Sistema Nazionale Linee Guida, coordinato da pubbliche istituzioni. Inoltre:
tali linee guida dovrebbero aver valore di orientamento culturale più che normativo (pur potendo essere utili riferimenti nel contenzioso)
i gruppi di lavoro per formularle, coordinati sin dall’inizio da Pubbliche Istituzioni, dovrebbero comprendere esponenti delle Società scientifiche, degli Ordini, della Medicina Generale, metodologi con esperienza di Linee Guida, esperti di valutazioni comparative di interventi sanitari, rappresentanze di pazienti, tutti tenuti a dichiarare le proprie relazioni finanziarie, inclusi dirigenti di sanità pubblica in grado di entrar nel merito di valutazioni di efficacia e costo-efficacia, e responsabilità personale verso il datore pubblico di lavoro di esplicitarne l’impatto previsto sui costi del SSN (mentre è evidente che non avrebbero la stessa credibilità dichiarazioni sui “sicuri risparmi” rilasciate da esponenti di Società scientifiche con chiari conflitti d’interesse*)
infine, ma IMPORTANTISSIMO, le bozze andrebbero aperte a contributi /commenti pubblici prima di adozioni formali (come fanno in altri paesi è il caso del NICE, dell’USPSTF, ecc.), che le arricchiscano e favoriscano la condivisione, oltre a consentire di evidenziare e correggere errori sfuggiti al gruppo di lavoro.
* La ricerca sui siti di tutte le Società scientifiche italiane iscritte alla FISM comparsa sul BMJ (http://bmjopen.bmj.com/content/6/6/e011124.full) lascia pochi dubbi sul fatto che tali Società siano oggettivamente molto esposte a conflitti di interesse. Chi tuttavia avesse ancora dubbi, può dare un’occhiata ai siti delle Società coinvolte nella Commissione Intersocietaria per l’Osteoporosi, per verificare la presenza di tutti o parte dei tre indicatori di conflitto di interessi considerati nella ricerca pubblicata dal BMJ…
Alberto Donzelli, Alessandro Battaggia, Franco Berrino, Antonio Bonaldi, Gianfranco Domenighetti, Giuseppe Fattori, Paolo Longoni, Andrea Mangiagalli, Giulio Mariani, Luca Mascitelli, Alessandro Nobili, Alberto Nova, Gianfranco Porcile, Luisa Ronchi, Monica Sutti
Consiglio Direttivo e il Comitato Scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute
Alessandro Camerotto, Vincenza Truppo
Ermete – Regione Veneto
Emilio Maestri
Responsabile Endocrinologia Guastalla AUSL Reggio Emilia e coautore di “Vitamina D per la pratica”. Pacchetti Informativi sui Farmaci 2015;2:1-8, e dei precedenti Pacchetti informativi sull’Osteoporosi – Regione Emilia-Romagna
Testo condiviso anche da:
Roberto Iovine
Direttore UOC Medicina Riabilitativa AUSL di Bologna
Coord. Sezione Evidence-based Rehabilitation della Soc.It.Medicina Fisica e Riabilitazione
Vittorio Caimi
Presidente CSERMeG, a nome del Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale
Ernesto Mola
Presidente WONCA Italia, Coordinamento Italiano delle Società Scientifiche aderenti a WONCA
Piergiorgio Duca
Presidente, a nome di Medicina Democratica
Adriano Cattaneo
a nome del Gruppo NoGrazie.
Roberto Romizi
Presidente di ISDE Italia (Associazione Medici per l’Ambiente)
© RIPRODUZIONE RISERVATA