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Venerdì 01 LUGLIO 2016
Equivalenza terapeutica. L’analisi di Crea Sanità sulla determina Aifa
La logica proposta dalla delibera dell’Agenzia del farmaco (attualmente sospesa) è orientata a raggiungere un obiettivo preminentemente economico. Alla base c’è l’ipotesi che il decentramento delle procedure di acquisto possa effettivamente determinare una tendenza alla diminuzione del prezzo, rispetto a quello ufficiale negoziato da AIFA
Il tema dell’equivalenza terapeutica fra medicinali è quanto mai attuale e sempre più esplicitamente correlato a questioni economiche. Fa testo in tal senso la recente Determina n. 458/2016 dell’AIFA che, per quanto sospesa, ha avuto il merito di porre in evidenza alcuni elementi che impongono una riflessione.
La Determina citata tenta di fare un passo avanti nella applicazione concreta dell’ipotesi di equivalenza, delimitandone i contenuti e chiarendo i termini essenziali del problema. In particolare, esplicita come «la valutazione dell'equivalenza terapeutica è un metodo attraverso cui è possibile confrontare principi attivi diversi», esplicitando che l’obiettivo principale del confronto è il perseguimento di finalità economiche.
Nello specifico, la Determina in oggetto avrebbe definito i criteri da utilizzare ai fini dell’identificazione dei farmaci valutabili secondo il metodo dell'equivalenza terapeutica, chiarendo che possono essere ammessi alla valutazione:
· principi attivi per i quali vi sia esperienza d'uso, intesa come periodo di rimborsabilità a carico del SSN, di almeno 12 mesi
· presenza di prove di efficacia che derivano da studi che non consentono la dimostrazione di superiorità di un farmaco rispetto all'altro
· oppure che derivano da studi testa a testa che non prevedono un'ipotesi di superiorità
· principi attivi che appartengano alla stessa classificazione ATC di 4° livello
· principi attivi che posseggano indicazioni terapeutiche principali sovrapponibili (anche per quanto riguarda le sottopopolazioni target)
· principi attivi che utilizzino la medesima via di somministrazione
· principi attivi che prevedano uno schema posologico che consenta di effettuare un intervento terapeutico di intensità e durata sostanzialmente sovrapponibile.
Due ulteriori elementi richiamati nella Determina, sembrano significativi:
· l’esistenza di studi di superiorità è fattore escludente ma “purché la superiorità possa essere ritenuta clinicamente rilevante” (non essendo quest’ultimo criterio chiaramente definito)
· i criteri di cui sopra non sono “rigidi” in quanto situazioni che ne derogano potranno essere comunque valutate “caso per caso” dalla Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA
Alla luce di quanto precede, sembra potersi affermare che la logica proposta è orientata a raggiungere un obiettivo preminentemente economico, giustificando a seguire le potenziali incertezze che rimangono su quello clinico/farmaceutico.
In altri termini, alla base c’è l’ipotesi che il decentramento delle procedure di acquisto possa effettivamente determinare una tendenza alla diminuzione del prezzo, rispetto a quello ufficiale negoziato da AIFA; affinché questo avvenga è, però, evidentemente necessario che si inneschi una competizione fra i prodotti.
Dal quadro brevemente delineato segue l’interesse ad analizzare le condizioni in cui sia utile, lecito ed anche opportuno prevedere formali procedure di gara per l’approvvigionamento dei farmaci.
A tal fine possiamo distinguere due fattispecie, ovvero macro categorie di farmaci: quella dei farmaci a brevetto scaduto, e dei relativi equivalenti/biosimilari, e quella dei farmaci patented.
Sulla prima categoria sembra ragionevolmente facile trovare un’ampia convergenza sull’idea che sussista una sostanziale sostituibilità: l’esercizio della bioequivalenza, e a maggior ragione il comparability exercise per i biotecnologici, il quale prevede studi di fase III, si basano proprio sulla ragionevole attesa di una sovrapponibilità terapeutica dei prodotti.
A fronte di una sostanziale sostituibilità appare poi lecito attendersi che le procedure di gara possano effettivamente produrre risultati efficienti, nel senso di una riduzione dei prezzi.
Le problematiche maggiori riguardano, evidentemente, il segmento dei farmaci coperti da protezione brevettuale che, pur ormai numericamente inferiori, rappresentano però più la parte predominante del costo sostenuto dal sistema. Per questi prodotti, malgrado il riconoscimento di una protezione brevettuale che, ricordiamo, è tesa in primo luogo a permettere il ritorno dell’investimento in ricerca sostenuto, sembra manifestarsi una crescente propensione all’interno del sistema sanitario a metterli comunque in concorrenza fra loro in quanto potenzialmente sostituibili.
La partita, da un punto di vista economico è rilevante: sebbene “equivalenza” e “assimilabilità” non sembrano voler essere categorie pienamente sovrapponibili, secondo AIFA sono 13 le aree di sostituibilità o “assimilabilità”, con un valore dei farmaci contenuti in tali ATC di circa € 3 miliardi.
Ovviamente si avrà (perfetta) sostituibilità se si conferma che l’aggiudicazione della fornitura ad un prodotto o ad un altro, non genera modifiche ex post dell’esito clinico-assistenziale: ma su questo le posizioni possono essere tendenzialmente diverse.
Ad un estremo troviamo quella per cui due molecole con indicazioni uguali, che abbiano dimostrato efficacia non statisticamente diversa (assenza di prove di superiorità), per definizione devono produrre lo stesso esito, essendo di fatto sostituibili.
Contro questa tesi si può addurre che gli studi clinici non sono mai condotti sulle popolazioni che vengono poi realmente trattate; ed inoltre che l’equivalenza è dimostrata solo su alcuni endpoint e per di più solo in media e quindi, anche le diversità si compensassero nella valutazione complessiva, giustificando la negoziazione di prezzi uguali, non c’è di fatto perfetta sostituibilità in relazione al singolo paziente. È anche da considerarsi che lo sviluppo di molecole sempre più complesse sta determinando sempre più frequentemente l’arrivo quasi contemporaneo sul mercato di farmaci con la stessa indicazione, per i quali è pragmaticamente difficile pensare di perseguire la dimostrazione di una superiorità mediante confronti diretti.
La questione è evidentemente complessa e “sottile”, rischiando di divenire ideologica: se prevale la convinzione che sia efficiente lasciare al medico la scelta ultima della molecola, ovviamente fra quelle appropriatamente utilizzabili in un certo quadro clinico, allora le quantità dei farmaci da acquistare sono legate ad aspetti epidemiologici e alla esperienza del medico, presumibilmente non replicabili con una procedura di gara; qualora, invece, si ritenga che l’uso di farmaci definiti terapeuticamente equivalenti non produca esiti differenti, diventa invero efficiente metterli a gara, scontando così un prezzo presumibilmente minore.
La posizione pragmaticamente assunta da AIFA nella citata Determina, sembra configurare la convinzione di fronteggiare una non perfetta sostituibilità, o meglio una “perfetta sostituibilità con eccezione di qualche sotto popolazione”. In questo senso va l’indicazione di prevedere una quota minima di riserva del 20% per garantire la possibilità ai clinici di ottenere uno specifico principio attivo che ritengono sia necessario per uno specifico paziente. Ovviamente è da verificare, di volta in volta, se la quota “riservata” sia effettivamente sufficiente a garantire la salvaguardia del principio per cui la condizione è posta.
A parte quando evidenziato, e pur rimanendo all’interno di una logica strettamente economica, appare però utile evidenziare anche altri potenziali elementi di criticità.
Intanto il potenziale conflitto fra obiettivi di risparmio e quelli di protezione dei diritti di sfruttamento economico dell’innovazione (brevetto). La questione è quella relativa all’implicita perdita di valore che si genera con una normativa che riduce nei fatti il tempo di concreta protezione brevettuale: plausibilmente la perdita di “valore” dei brevetti genererà effetti sulla negoziazione del prezzo, nella misura in cui è plausibile che l’aumento di rischi di mercato induca le aziende a scontare a priori “la perdita”, aumentando corrispondentemente le richieste iniziali, al fine di sfruttare i limitati periodi di “effettivo” monopolio.
Appare inoltre evidente l’esistenza di una contraddizione ove si verifichi che due molecole vengano dichiarate “terapeuticamente equivalenti”,avendone però precedentemente negoziato prezzi diversi: in tal caso si dovrebbe, infatti, supporre che il diverso prezzo di rimborso implichi una diversa valutazione da parte dell’Agenzia del rispettivo “valore”, il che ne sancirebbe la non perfetta sostituibilità: non si vede quale altra valutazione, se non l’efficacia terapeutica e la sicurezza, possa infatti giustificare un diverso pricing, a parità di indicazione, forma di somministrazione, etc.
Ancor più in generale, le questioni sul tappeto sembrano suggerire che sia opportuna una riflessione più approfondita sulla governance del settore; intanto perché nella misura in cui è sempre più evidente la volontà di ottenere riduzioni di prezzo mediante lo strumento delle gare, perde progressivamente di significato la negoziazione iniziale fra AIFA e le aziende produttrici: sarebbe allora forse opportuno definire il prezzo massimo che rende costo-efficace e sostenibile la molecola, evitando negoziazioni, e lasciando alla successiva fase competitiva locale la effettiva determinazione del prezzo?
Si pongono anche questioni di equità: spostare il baricentro delle negoziazioni di prezzo a livello regionale, impone la determinazione di nuove disparità nelle opportunità di accesso a livello locale, risultando difficile immaginare che si determineranno prezzi omogenei, a meno di pensare a meccanismi di estensione di validità degli stessi, che però avrebbero impatti probabilmente devastanti sulle dinamiche di mercato.
Infine, è difficile esimersi da una considerazione pragmatica: essendo il prezzo dei farmaci in Italia già significativamente minore di quello medio europeo, ed essendo fatto noto che esiste un prezzo di riserva da parte delle aziende produttrici, fatti che congiuntamente implicano che le aspettative di ulteriori riduzioni sono limitate, è davvero strategico per le politiche sanitarie voler potenziare il procurement proprio nel settore farmaceutico?
Barbara Polistena
Statistica, C.R.E.A. Sanità – Università degli studi di Roma Tor Vergata
Federico Spandonaro
Economista, presidente C.R.E.A. Sanità – Università degli studi di Roma Tor Vergata
Nota: Questo articolo riprende alcuni elementi di riflessione sul versante economico, contenuti in un lavoro più ampio pubblicato da C.R.E.A. Sanità
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