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Venerdì 20 MAGGIO 2011
Depressione: geni sotto osservazione
Due studi, pubblicati sull’America Journal of Psychiatry puntano il dito su un’area del cromosoma 3 che contiene 90 geni. È lì che potrebbero avere sede le mutazioni che predispongono una persona a sviluppare la depressione.
Una regione del Dna del cromosoma 3 che contiene 90 geni. È questa l’area su cui si sta concentrando l’attenzione dei ricercatori per comprendere il ruolo della genetica nell’insorgenza della depressione.
Due studi, infatti, condotti indipendentemente l’uno dall’altro da due gruppi di ricercatori del King’s College di Londra e della la Washington University School of Medicine di Saint Louis hanno identificato proprio in questa specifica area la sede di potenziali mutazioni in grado di predisporre allo sviluppo del disturbo depressivo.
Diverse per metodi e scopi le due ricerche pubblicate sull’America Journal of Psychiatry. Il team del King’s College di Londra ha valutato oltre 800 famiglie nel Regno Unito che soffrono di depressione ricorrente, mentre quello della Washington University ha valutato 25 famiglie finlandesi e 91 famiglie australiane. Gli studi, tuttavia, convergono sui risultati. Entrambi i gruppi hanno identificato un “picco di collegamento” sul cromosoma 3, il che significa che le persone depresse in entrambi gli studi erano portatori di una serie di variazioni genetiche identiche in quella specifica regione del DNA. Che, inoltre, riveste un ruolo importante per tutto il genoma.
Benché né il gruppo britannico né quello americano abbia isolato un gene o dei geni legati a un maggior rischio di depressione, il picco di collegamento si trova su parte del cromosoma che, a detta degli esperti, ospita il recettore del glutammato metabotropico 7 (GRM7) che precedenti studi avevano messo in relazione alla depressione.
“Questi risultati sono veramente stimolanti. Per la prima volta abbiamo trovato una regione genetica associata alla depressione e quello che rende straordinari i risultati è la somiglianza tra i risultati dei nostri studi”, ha commentato Gerome Breen, autore principale dello studio del King’s College.
“Le nostre scoperte di questo legame evidenziano un’area ampia. Penso che siamo solo all’inizio del nostro percorso attraverso il labirinto di influenze sulla depressione”, ha spiegato l’autore principale dello studio della Washington University Michele L. Pergadia, secondo cui sarebbe utile, ora, mettere insieme i dati dei due studi.
“I risultati sono rivoluzionari,” ha commentato Peter McGuffin, direttore del Medical Research Council Social, Genetic and Development Psychiatry del King’s College di Londra e uno degli autori anziani dello studio del King’s College di Londra. “Valgono però solo per una piccola parte del rischio genetico di depressione. Sono necessari altri studi più ampi per scoprire quali sono le altre parti del genoma coinvolte.”
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