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Lunedì 13 GIUGNO 2016
I medici: rivoluzionari o conservatori?
Un dialogo a distanza con l’amico Antonio Panti (presidente dell’Ordine di Firenze) convinto che il medico “autore” sia un’utopia come lo sarebbe la possibilità di fare a meno della medicina amminstrata. Ma se Panti avesse ragione vorrebbe dire che allora, per i medici, non resterebbe che rassegnarsi al declino della professione
Prima parte: modernismo e riformismo
Antonio Panti mi ha fatto delle obiezioni importanti. Lui ritiene che la medicina amministrata sia inevitabile, che i medici “non sono idonei” alle mie proposte di cambiamento e di conseguenza che il mio sia un “ragionamento utopico”. Lo ringrazio per la sua amicizia e per la sua franchezza.
Di contro pochi giorni fa (4 giugno) a Pescara ho partecipato al primo congresso interregionale dello Snami (un successone) introdotto da una bella relazione che, dopo aver esaminato i problemi della professione, concludeva auspicando addirittura la necessità di una “rivoluzione”.
Tra questi due estremi l’enorme varietà del mondo medico che per brevità non descrivo.
Pur avendo parlato io per primo delle costanti antropologiche comuni alla maggior parte dei medici, il mondo dei medici non è uno yogurt compatto e il medico “inidoneo all’utopia”, cioè resistente al cambiamento, al quale si riferisce Panti, ho l’impressione che sia quello che gli somiglia di più come generazione, come ruolo, come cultura e anche altro.
Oggi le costanti antropologiche del medico tipo sono sparigliate dai suoi problemi che sono strutturalmente comuni ma anche sovrastrutturalmente molto diversificati. Cioè il medico è sempre meno descrivibile con una tipologia universale.
Le obiezioni del mio amico Panti tuttavia sono preziose perché pongono proprio la questione che a me “utopista mio malgrado” sta molto a cuore: il rapporto tra modernismo e riformismo.
Chiariamo i termini:
· il modernismo è la propensione all'adeguazione o alla conciliazione con il cambiamento, quello che più terra terra chiamo “bricolage delle scorciatoie” per cambiare il meno possibile perché cambiare è prima di tutto difficile e “deconsolidante” rispetto a ciò che è proverbialmente “consolidato” vale a dire gli interessi, le abitudini, gli stili, ecc;
· il riformismo è la propensione a modificare un ordinamento dato attraverso graduali riforme.
Il modernismo è sostanzialmente una forma di atteggiamento moderatamente conservatore che si limita a marginali aggiustamenti senza modificare le strutture. Il riformismo invece punta a cambiare modelli, ruoli, modi di essere, prassi.
Secondo Panti sarebbe moderno un medico semi amministrato con choosing wisely(visto il favore che lui ha dichiarato verso questa ultima moda) e quindi sarebbe utopistico un autore, cioè un altro genere di medico che non ha bisogno di essere amministrato.
Vediamo le differenze:
· nel primo caso il limite limita, il medico resta a paradigma invariato ma accetta di correggere “modernamente” i suoi comportamenti sacrificando un pezzo di autonomia;
· nel secondo caso il limite diventa possibilità il medico riforma se stesso quindi le sue prassi ma sviluppando in modo riformatorio la sua autonomia.
Il modernismo quindi:
· è bricolage per restare a galla;
· di buon grado aderisce alle mode (medicina narrativa, choosing wisely, medicina di precisione, medical humanities, health technology assessment, ecc.) o a riforme sanitarie regionali molto discutibili;
· è disponibile alle competenze avanzate quindi ad aggiustare i conflitti tra professioni;
· è pronto a mediare “responsabilmente” sul decreto per l’appropriatezza.
In sintesi il modernista è colui che sotto un plafond cognitivo è disponibile ad essere “ragionevole” sulla professione ma proprio perché è in difficoltà ad immaginarne una diversa e migliore.
Per un modernista uno come me è necessariamente un utopista. A volte ho l’impressione che per il modernista diventi utopico anche andare dal giornalaio a comprare il giornale e che qualsiasi normale difesa dei valori fondanti la professione, come l’autonomia, rischi di apparirgli utopica. Calarsi le brache… ma solo fino al ginocchio… (penso alla medicina amministrata per Panti inevitabile) sarebbe quindi segno di buon senso e di realismo.
Ho fatto il sindacalista per molti anni e la prima cosa che ho imparato è distinguere ciò che è negoziabile da ciò che non è negoziabile. Vi sono valori costitutivi della professione che non sono negoziabili pena lo snaturamento della professione stessa. Questa non è utopia ma difesa di una identità valoriale.
Cioè vi sono valori che si possono solo accrescere altrimenti qualsiasi forma di negoziabilità li svaluterebbe. I diritti universali ad esempio non sono negoziabili esattamente come i doveri deontologici di una professione. I medici disposti a mediare sulla loro autonomia professionale hanno già perso la partita perché ciò facendo sono loro per primi che aprono le porte ad un negoziato al ribasso che con i tempi che corrono non potrà che essere progressivo.
E’ la storia della pulzella traviata cara a certa letteratura di appendice che di fronte al satiro sporcaccione a mano a mano perde le virtù trovandosi per strada a battere il marciapiede. Tutto sta a cominciare. Per certi valori per forza si deve essere intransigenti.
Alla fine però, utopia o no, il doppio quesito al quale il mio amico Panti e tutti i presidenti di ordine come lui, e la Fnomceo intera hanno il dovere di rispondere resta: quale professione è impossibile, cioè non negoziabile, e quale professione è possibile, cioè negoziabile.
Seconda parte: utopico e decidibile
I medici dice, Panti, non sono idonei al cambiamento quindi la mia proposta di cambiamento (autore) è utopica. Cosa vuol dire? E’ una scusa per non cambiare e per accontentarsi di un po’ di modernismo o è uno stimolo per rendere idoneo ciò che non lo è e quindi per rendere non utopica la difesa della professione e della sua autonomia dal momento che le sue virtù non sono negoziabili?
Per rispondere adeguatamente devo introdurre e spiegare una differenza fondamentale quella tra utopico e decidibile:
· utopicaèuna proposta impossibile quindi non suscettibile di realizzazione pratica;
· decidibileè una proposta possibile ma organizzando le condizioni per la sua realizzazione.
L’autore che io propongo è una idea utopica o indecidibile? Panti con grande onestà intellettuale non dice che la mia idea di autore sia utopica in quanto tale, ma solo che non è decidibile perché a causa di “medici inidonei” mancherebbero le condizioni per attuarla.
Se le virtù della professione non sono negoziabili, se il modernismo rischia di mandare il medico a battere il marciapiede, allora quello che dice Panti vuol dire tre cose che :
· l’autore sarebbe una idea decidibile quindi tutt’altro che utopica se esistessero dei medici in grado di crederci;
· se i medici sono inidonei bisognerebbe spostare l’attenzione dall’idea di autore alle condizioni per la sua attuazione;
· se i medici fossero idonei alla mia idea di autore la professione sarebbe salvaguardata.
Ma perché i medici sono/sarebbero inidonei? Chi sono i medici inidonei? Come sono inidonei? In cosa consiste l’inidoneità? Ho appena detto che i medici non sono uno yogurt compatto e quindi che è possibile che nella grande varietà delle loro situazioni professionali vi siano diversi gradi di apertura o chiusura al cambiamento. Ciò indebolisce lo scetticismo universale di Panti ammettendone tuttavia la plausibilità ma solo limitatamente ad una certa tipologia di medici. Quindi da qualche parte dell’universo medico c’è sicuramente qualcuno che non la pensa come Panti perché, per tante ragioni, non può pensarla come Panti.
Sono quindi costretto per capire il problema posto da Panti a trascendere le differenze reali tra medici, trasferendo l’analisi sull’unico terreno in cui esse possono essere in qualche modo unificate cioè quello della rappresentanza. Secondo la regola transitiva se tutti i medici sono rappresentati da chi li rappresenta allora chi li rappresenta, compreso il mio amico Panti, decide se la mia proposta è decidibile o utopistica, realistica o irrealistica.
E’ quindi Panti in quanto presidente di ordine che decide l’indecidibile perché egli suppone che la sua “inidoneità” rappresenti quella dei suoi associati. Panti mi scuserà ma io non credo che lui sia idoneo e i suoi colleghi no. Sono più incline a pensare il contrario e comunque in questo caso vale il paradosso del mentitore: Panti dice che tutti i medici sono inidonei, Panti è un medico, Panti è idoneo o no?
La questione è di capire se la rappresentanza che in nessun caso può essere postulata a interessi personali zero è o no la fedele rappresentazione dei problemi dei medici. Cioè se Panti e i suoi colleghi rappresentano davvero i medici inidonei. Se non li rappresentassero Panti e colleghi potrebbe credere che la mia proposta sia indecidibile anche se una quota imprecisata di medici che loro pensano di rappresentare potrebbe pensarla in modo completamente diverso.
Personalmente credo che il divario tra rappresentanza e medici sarà in ragione di una crescente frammentazione degli interessi, in futuro un problema sempre più acuto sul quale soprattutto la Fnomceo farebbe bene a riflettere. Ho già detto tante volte che nella questione medica c’è il problema crescente della scollatura tra medici e rappresentanza. Basta riflettere sulla difficoltà crescente dei medici ad aderire a scioperi e a manifestazioni, sulla loro disillusione crescente nei confronti dell’ordinistica, sul grado di autoreferenzialità dei loro interessi, ecc.
Per riassumere e per esser più chiaro sulla differenza tra utopico/decidibile vi propongo il seguente esercizio logico:
· supponiamo di avere una nave (la professione) che trasporta un carico prezioso (l’autonomia professionale);
· nel corso del viaggio incontra una grande bufera (medicina amministrata) rischiando di naufragare e di perdere il suo carico prezioso;
· il capitano (rappresentanza) si rivela alla bisogna “inidoneo” ad affrontare la bufera a tal punto che è “utopistico” pensare di sopravvivervi per cui l’unica soluzione è mettere mano a delle scialuppe di salvataggio (modernismo) cercando almeno di salvare la pelle.
Queste le implicazioni logiche:
· se il capitano (rappresentanza) fosse “idoneo” il salvataggio sarebbe decidibile e evitare il naufragio non sarebbe una utopia;
· se al contrario il capitano (rappresentanza) restasse inidoneo il salvataggio sarebbe una utopia, il naufragio una certezza, e le scialuppe di salvataggio l’unico mezzo per salvare la vita ma il carico prezioso sarebbe inevitabilmente perso.
Queste le implicazioni politiche:
· se il naufragio fosse ineluttabile non sarebbe perché lo sarebbe naturalmente ma solo perché le incapacità del capitano lo renderebbero tale;
· se la bufera non fosse più un problema naturale allora essa sarebbe un problema politico;
· se la bufera fosse un problema politico allora i medici diventerebbero la prima causa dei problemi dei medici;
· in questo caso la loro rappresentanza sarebbe il vero problema da risolvere.
Conclusioni:
· se il cambiamento del medico è considerato utopistico vuol dire che la professione si deve rassegnare al suo declino e che al massimo in modo modernista si possono limitare i danni;
· se il cambiamento è considerato decidibile vuol dire che la professione reagisce al declino assicurandosi delle buone proposte ma soprattutto le condizioni organizzative e culturali per la loro decidibilità.
Cercheremo di capire come la rappresentanza rende indecidibile qualsiasi buona proposta di cambiamento condannandola all’utopia.
Ivan Cavicchi
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