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Martedì 03 MAGGIO 2016
La telemedicina del Policlinico Casilino di Roma per l’Africa
Un progetto di FareRete al servizio del BeneComune e a supporto della Telemedicina bloccata dallo stallo della politica italiana. Primo step l'acquisto di 2 elettrocardiografi da destinare ad un ospedale del Senegal per istituire un servizio di teleconsulting tra il nosocomio senegalese e il Policlinico Casilino di Roma. Il 15 maggio una serata di beneficienza
Succede da duecentomila anni. E continua a succedere ancora adesso. Solo che ora ce ne accorgiamo di più, ne siamo più consapevoli, ce lo vediamo accadere tutti i giorni sotto gli occhi, nella sua drammaticità, nelle sue dimensioni, nella eroicità dei salvataggi e dei soccorsi.
Il continente africano è terra di abbandono da centinaia di migliaia di anni e molto probabilmente l’Eurasia non è stata l’unica meta dell’Homo Sapiens che lasciava il continente dov’era nato. Studi recenti indicano come possibile un’uscita dall’Africa attraverso una rotta “meridionale” (Etiopia) che dopo un lungo percorso l’avrebbe portato a popolare addirittura l’Australia.
I nostri progenitori invece, gli antenati di noi europei, avrebbero seguito una rotta “settentrionale” (Egitto e Sinai) per giungere in Europa. Rotta infondo non molto diversa da quella che i migranti contemporanei percorrono dalla fine del secolo scorso e che dall’inizio di questo frequentano in numero sempre maggiore.
Gli esseri umani si spostano, migrano, cercano una vita migliore, nuove opportunità, spinti da fame, malattia, guerra, ambizione, o volontà di conquista.
Ma per quanto possano portare con se, forse ciò che pesa di più nel loro scarno bagaglio è proprio il sentimento di sradicamento dalla propria cultura e dal proprio ambiente, assieme alla difficoltà di integrarsi in uno nuovo, che gli è estraneo e cui lo sono essi stessi.
E per lo straniero venire accettato, specie se i numeri sono alti, non è quasi mai facile; in qualche modo è contro l’istinto naturale di conservazione di chi abita un certa regione da tempo. Ciò non fa che aumentare il senso di disagio e di non appartenenza, incrementando il costo umano e sociale dello stabilirsi in una nazione o addirittura in una parte di mondo non proprie.
Senza considerare l’impoverimento in risorse umane del paese d’origine dato che ad andarsene sono in maggioranza adulti nel pieno del loro potenziale lavorativo e i più giovani, non di rado con un elevato livello d’istruzione (relativamente al proprio paese).
Anche da tutto questo nascono la necessità di ridurre al minimo possibile le ragioni di abbandono della propria terra e il dovere dei paesi maggiormente sviluppati di aiutare la crescita economica, sociale e culturale delle nazioni o dei continenti meno fortunati.
Si tratta di una missione delicata e imponente al contempo. Delicata perché l’aiuto proveniente da una cultura e da una mentalità diverse rischia sempre di sovrapporsi, in maniera più o meno distruttiva, alle strutture socio-culturali preesistenti finendo per essere percepito come estraneo e quindi mai completamente integrato nell’esistente.
D’altro canto c’è anche il rischio che nuovi modelli sociali e comportamentali vengano adottati acriticamente con profonde conseguenze sociali, sanitarie, economiche e via dicendo. Ma è anche una missione imponente per le dimensioni dell’intervento che occorre effettuare. Per esempio, l’Africa sub-sahariana è nota per essere la regione del mondo maggiormente affetta dal problema della denutrizione: ne soffre una persona su quattro (circa 223 milioni) e i toni si fanno ancora più drammatici quando pensiamo ai bambini.
A parte l’alta mortalità da denutrizione, sopravvivervi non significa affrontare una vita di agi: ventitré milioni di bambini africani frequentano le lezioni a stomaco vuoto! Ancora più complesso e sconfortante è il quadro che riguarda le malattie non legate a denutrizione.
Di solito, quando si pensa alla mancanza di salute in Africa, vengono in mente per prime le malattie infettive. Una visione corretta, non c’è dubbio, ma che porta inevitabilmente a sottovalutare pericolosamente il ruolo delle malattie non trasmissibili, in particolare quelle del sistema cardiovascolare, che in Africa rappresentano attualmente la prima causa di morte tra i soggetti di età superiore ai trent’anni. Al proposito occorre considerare che gli africani sono particolarmente predisposti ad alcune di esse come l’ipertensione arteriosa, a causa di una maggiore vulnerabilità geneticamente determinata alla ritenzione idrosalina.
Non sorprendono la conseguente maggiore farmaco resistenza dell’ipertensione e il suo esordio più precoce. Oltretutto prendersi cura di una malattia cardiovascolare non trasmissibile non è la stessa cosa che combattere, per esempio, un’infezione. Quest’ultima, a parte il caso dell’HIV o della tubercolosi, per solito richiede cicli di trattamento limitati nel tempo (si pensi alla malaria) in confronto all’impegno protratto (a vita, nella maggior parte dei casi) richiesto per controllare condizioni come l’ipertensione arteriosa o altre malattie cardiovascolari.
E se qualsiasi condizione abbisogni di un monitoraggio periodico e protratto ha un impatto pesante sui sistemi sanitari anche avanzati, è facile immaginare le conseguenze in termini di costi e organizzazione su strutture decisamente meno sviluppate, come quelle che ritroviamo nella stragrande maggioranza dei paesi africani.
L’Africa ci ha generato ed è con essa che abbiamo quindi un debito particolare, analogo a quello che contraiamo alla nascita con i nostri genitori. C’è moltissimo da fare, in tutti i settori, ma certamente quello sanitario, assieme al problema della malnutrizione, si configura come la principale emergenza perennemente in atto nel continente.
Ore, mentre si cercava di contrastare il problema delle malattie infettive rendendo disponibili risorse ingenti, le malattie croniche non trasmissibili scalavano rapidamente i tassi di morbilità e mortalità, anche o soprattutto in conseguenza del mutamento degli stili di vita e alimentari verificatisi così rapidamente in molti paesi del continente nero.
In particolare è la situazione dell’infanzia a destare preoccupazione. I dati aggiornati UNICEF, ONU, OMS mostrano una significativa riduzione dei tassi di mortalità infantile del 49% tra il 1990 e il 2013 passando da 12,7 a 6,3 milioni di decessi a livello globale annuo. In termini assoluti, questo calo si traduce nella sopravvivenza di ben 100 milioni di bambini nel periodo preso in esame.
Nonostante questo, l'Africa Subsahariana mantiene ancora i tassi di mortalità infantile più elevati al mondo - 92 decessi ogni 1.000 nati vivi -, quasi 15 volte più della media dei Paesi ad alto reddito. Come c’era da attendersi le malattie infettive continuano ad essere la principale causa di morte, ma il decesso perinatale e in particolare quello causato dalle malattie cardiache congenite è diventato la seconda.
È evidente quindi che lo sviluppo dello screening, della diagnosi precoce e del trattamento delle cardiopatie potrebbe drasticamente diminuire i valori di mortalità infantile. In tal senso, la telemedicina rappresenta uno dei mezzi più promettenti, in grado di permettere ai pazienti africani di usufruire di servizi sanitari di buon livello, altrimenti difficilmente erogabili.
Il “teleconsulting” (uno dei campi di applicazione della telemedicina) mediante la realizzazione di consultazioni mediche a distanza, (utilizzando apparecchiature collegate ai sistemi informatici) può rappresentare una delle soluzioni finalizzate all’ottimizzazione della qualità di diagnosi e cura anche in paesi disagiati. È infatti più semplice agire in tal senso che pensare di esportare in contesti sottosviluppati un modello di infrastrutture mediche che richiederebbe anni e ingenti risorse (umane e materiali) per essere sviluppato.
Un battito per l’Africa
Il progetto “Un battito per l’Africa” nasce da tali premesse, e prevede inizialmente l’acquisto di 2 elettrocardiografi da destinare ad un ospedale del Senegal per istituire un servizio di teleconsulting tra il nosocomio senegalese e il Policlinico Casilino di Roma per la diagnosi precoce di aritmie cardiache che potrebbero essere l’espressione di patologie cardiache particolarmente insidiose.
La traccia elettrocardiografica verrà trasmessa (sfruttando la tecnologia Mobile o Web) a distanza ed in tempo reale presso il centro di refertazione (eHealt Center) della Cardiologia dell’ospedale romano Policlinico Casilino, diretta dal Prof. Leonardo Calò, dove un equipe di cardiologi esperti in campo aritmologico potrà in tempo reale pronunciarsi sulla diagnosi indicando l’iter diagnostico-terapeutico più appropriato.
Tutto questo è reso possibile dalla partnership tra l’ospedale Policlinico Casilino e l’azienda MovingCare che nasce dall’incontro con il know-how scientifico di un gruppo di professionisti medici a livello internazionale creando un moderno centro operativo di telemedicina ad alta tecnologia.
I primi pazienti a beneficiare degli elettrocardiografi saranno quelli dell’Ospedale Hopital Saint Jean De Dieu situato nella città di Thiès in Senegal, grazie ad un progetto di sostegno (richiesto dalla Diocesi di Thies) sostenuto dalla Fondazione il Buon Samaritano, il cui vice presidente è Monsignor Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, Segretario del Pontificio Consiglio per gli operatori Sanitari.
L’ospedale venne costruito nel 1983 nella città di Thiès a 70 km dalla capitale Dakar, per volere del primo vescovo di Thiès Monsignor F.X. Ndione. La sua posizione lo rende un luogo strategico di cura per le popolazioni che vivono nei villaggi rurali d’intorno. Il centro è aperto a tutti i malati senza distinzione di razza, etnia, religione e rango sociale, ed ha come sua missione quella di fornire cure di qualità a prezzi sostenibili.
Tuttavia nonostante la specifica vocazione dell’ospedale sia quella di mettere a disposizione dei poveri tutte le cure sanitarie praticando un tariffario che va incontro alle possibilità dei più bisognosi (con una riduzione dei costi di base dal 35 al 50%), circa un terzo dei malati assistiti non riesce a sostenere il costo delle cure, che pure vengono egualmente erogate. In linea con la missione di assistenza e cura a favore dei più bisognosi, l’ospedale prende in carico gratuitamente tutti i bambini cardiopatici e diabetici i cui genitori non possono permettersi le cure.
Nel 2014 il mancato pagamento per cure erogate è stato di oltre ventisettemila euro. Un deficit importante, che grava su una struttura dotata di 125 posti letto distribuiti in 5 reparti e in grado di offrire un ventaglio di cure e servizi molto ampio: medicina interna, cardiologia, diabetologia, neurofisiologia, gastroenterologia, pneumologia, dermatologia, urologia, ginecologia-ostetricia, pediatria, neonatologia, chirurgia profonda, ortopedia-traumatologia, oftalmologia, neurochirurgia, otorinolaringoiatria.
L’ospedale, inoltre, partecipa alle attività pianificate dal Ministero della Salute del Paese: il programma nazionale di lotta alla tubercolosi, quello di lotta alla trasmissione materno-infantile dell’HIV/AIDS e i programmi di lotta alla malaria, all’epatite B e alla malnutrizione grave.
La struttura offre servizi 7 giorni su 7, ventiquattro ore al giorno ed ha un servizio di pronto soccorso con laboratori e camere operatorie sempre in funzione. Insieme al principale ospedale di Dakar, l’ospedale Saint Jean De Dieu è il solo nella regione a distribuire tre pasti al giorno agli assistiti. Infine, il centro dispone anche di un’ambulanza e di un veicolo attrezzato per condurre visite oftalmologiche al di fuori dell’ospedale (Ophtalmobus): ogni giovedì alcuni medici effettuano visite nelle cittadine e nei villaggi vicini a Thiès.
Serata di Beneficenza
Per raccogliere i fondi necessari all’acquisto dei primi 2 elettrocardiografi è stata organizzata una serata di beneficenza dal titolo “Tre cuori per la musica”. L’evento si svolgerà al Teatro Parioli di Roma domenica 15 maggio 2016, e avrà come protagonisti tre gruppi musicali formati da cardiologi e non, i quali, forti dell’esperienza precedente di un’altra serata di beneficienza organizzata da A.L.I.C.E Lazio Onlus con il contributo incondizionato di Daiichi Sankyo, si riuniranno di nuovo con entusiasmo per mettere a disposizione le loro doti artistiche, uscendo dal ruolo istituzionale di medici, per una causa benefica.
Leonardo Calò e Marco Rebecchi
Policlinico Casilino, Roma
Massimo Picàri
FareRete
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