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24 APRILE 2016
Sicilia. Ecco come è fallita la riforma “Russo”



Gentile Direttore,
chiarisco subito che parlo più come operatore sanitario che come sindacalista, e vengo a significare delle semplici valutazioni personali, partendo da un concetto di politica economica basilare e primordiale: la domanda costruisce l'offerta. Ciò si traduce facilmente in ambito sanitario, dove l'offerta assistenziale deve rispondere alla domanda ed ai bisogni della popolazione; in economia si fanno le indagini di mercato, in sanità, invece, si dovrebbero fare gli studi epidemiologici.
 
Perché uso il condizionale si chiederà qualcuno, ed io rispondo che lo uso per mera provocazione, per palesare che le indagini epidemiologiche o non vengono svolte oppure vengono ignorate! Il risultato di questa politica sanitaria miope è di una evidenza disarmante: i bisogni di salute rimangono spesso disattesi, i costi della sanità lievitano, malgrado i continui tagli, i tempi di risposta crescono esponenzialmente,  le liste d'attesa sono sempre più lunghe, i pronto soccorso sempre più intasati, gli operatori sempre più sotto pressione  e via discorrendo.
 
Non si può sottacere sull'obiettività di certe cose e mi riferisco al fallimento della "riforma Russo": ricordiamo tutti che il principio basilare, assolutamente condivisibile, su cui si basò il solerte assessore era quello della deospedalizzazione del paziente, concetto che rientra a pieno titolo nel più ampio argomento dell'umanizzazione delle cure. Purtroppo il percorso intrapreso in quel periodo di gestione politica rimane oggi una delle tante incompiute di cui, ahimè, la mia Sicilia è foriera.
 
Praticamente, ad oggi, di detta riforma si è concretizzato solo il taglio dei posti letto, non seguito dal logico potenziamento del territorio, atto consequenziale che avrebbe permesso alla riforma di realizzare il suo ambizioso obiettivo: il risultato è che il povero paziente ha difficoltà a ricoverarsi, se ha la fortuna di trovare un posto letto riceve un'assistenza "numericamente contratta" (grazie ai continui tagli effettuati dai politici di turno!) e quando viene dimesso si ritrova abbandonato a se stesso, non trovando sul territorio le risposte ai suoi bisogni assistenziali. È facile prevedere la fine di questa favoletta e mi chiedo: ma abbiamo risparmiato? Lascio alla libera fantasia di ognuno di voi la possibilità democratica di dare una risposta!
 
Inoltre, a mio modo di vedere, un processo industriale di riorganizzazione dell'intera impalcatura del Ssr dovrebbe prevedere, oltre all'analisi epidemiologica di cui sopra, che l'intera offerta assistenziale regionale, pubblica e privata, venga "messa nel calderone" e ridistribuita con criteri oggettivi ed obiettivi, scevri da condizionamenti vari, scientificamente riconosciuti e validati. Purtroppo tutto ciò è utopistico, le logiche sono dettate da altre esigenze e rispondono ad altri criteri.
Ma si sa, questo è il paese dei Gattopardi, dove si cambia tutto per non cambiare nulla.
 
Antonino Trino
Infermiere e sindacalista

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