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Martedì 03 MAGGIO 2011
Riparto 2011. Nord e Sud a confronto. La partita vista da Coletto (Veneto) e Russo (Sicilia)
Su una cosa non hanno dubbi: "Tremonti deve onorare il Patto per la Salute e darci i soldi per la copertura del ticket sulla specialistica fino a dicembre". Tuttavia, a leggere le due interviste, nessuno sembra lamentarsi di come si è chiusa la trattativa sul riparto. Resta la visione diversa sul “ruolo” da dare alle condizioni socio-economiche (favorevole la Sicilia, contrario il Veneto). Ma sul futuro federalista c’è sintonia di vedute. E la Sicilia si candida a Regione benchmark del Sud.
COLETTO: "DEPRIVAZIONE? NO, GRAZIE. SBAGLIATO MESCOLARE QUESTIONI SOCIALI E SANITA'"
Luca Coletto, Assessore alla Sanità del Veneto e coordinatore della Commissione Salute delle Regioni, è stato tra i protagonisti principali della lunga trattativa per il riparto 2011 e in particolare delle fasi finali della vicenda. Era infatti con Vasco Errani all’incontro con il ministro della Salute Ferruccio Fazio, dove si è compiuta la “verifica” dell’accordo raggiunto dalle Regioni.
Assessore Coletto, quanto è stato rilevante il contributo del ministro della Salute per la definizione del riparto?
È stato assolutamente determinante, perché nel corso della trattativa è cambiata un po’ la logica del nostro lavoro. Come ha detto più volte anche il presidente Zaia, non abbiamo accolto il criterio di deprivazione, ma abbiamo dovuto e voluto andare in soccorso delle Regioni in difficoltà. E per fare questo dovevamo contare su qualcosa in più, per andare a tirar su le Regioni che non riuscivano ad avere un importo almeno pari a quello dell’anno scorso. Siamo andati a trattare con il ministro Fazio che ha capito benissimo qual era la situazione e c’è venuto incontro.
Il ministero ha messo a disposizione circa 70 milioni, ma oltre a questo l’accordo si fonda anche sull’utilizzo dei finanziamenti del Governo che compensano i mancati introiti derivanti dai ticket sulla specialistica. Ma una parte di quelle risorse non sono ancora state stanziate. È così?
Sì, in buona sostanza è stato ripescata una proposta che noi, Veneto, avevamo avanzato in febbraio. Ma occorre sottolineare che anche la proposta del Cipe aveva dentro questo finanziamento. Ora quei soldi non sono immediatamente disponibili, perché fanno parte della manovra Tremonti, però è legge: sono all’interno del Patto per la Salute.
Lei conta che il Governo vi darà anche la parte mancante?
Mi auguro che si arrivi velocemente a definirli e a ripartirli tra le Regioni, perché con questo impegno è stata data l’intesa in Stato Regioni. La Stato Regioni ha approvato il riparto che comprende solo la prima tranche, ma il ministro si è riservato sulla totalità, e visto che quelle risorse sono valutate anche nella delibera Cipe e nel Patto per la Salute, sarebbe strano che non venissero erogate.
In questo accordo c’è anche l’impegno a rivedere i criteri in vista del riparto del 2012, venendo così incontro alle richieste delle Regioni del Sud che chiedevano l’introduzione del criterio di deprivazione socio economica.
Il testo non parla di deprivazione, parla di criteri e all’interno di questi criteri sono indicate anche questioni socio economiche. Ma non è detto che siano queste le questioni prevalenti, anche perché va dimostrata la loro validità. Oltretutto, uno dei primi paesi ad applicare questo criterio socio economico è stata l’Inghilterra e mi pare che il risultato della sanità inglese sia sotto gli occhi di tutti…Stanno tentando una riforma importante. Ecco: stanno tentando una riforma importante. Punto. Credo che sia utile imparare dagli errori.
Quali pensa allora che possano essere i criteri da utilizzare?
Sicuramente la popolazione, che è un dato certo. Altro dato certo è l’anzianità, perché una persona anziana ha un maggiore costo sanitario e su questo non c’è dubbio. Dopo di che si possono valutare anche le questioni socio economiche, ma partendo tutti da una stessa base: ospedalizzazione al 140 per mille, posti letto a 3,8 comprese le lungo degenze e le riabilitazioni, il rispetto dei tetti della farmaceutica.
Quindi nessuna novità?
Credo che la cosa essenziale sia portare tutti alle stesse basi di partenza, al rispetto dei canoni previsti dal Piano sanitario nazionale. Io sono un geometra e sono abituato a calcolare le fondazioni, perché se non ci sono fondazioni solide non si arriva nemmeno al primo piano. Fatto questo possiamo discutere di inserire criteri legati alle condizioni sociali, ma anche parametri ambientali relativi all’inquinamento, all’industrializzazione. Comunque devono essere criteri oggettivi e non soggettivi. La deprivazione non ha motivo di incidere sulla sanità, perché se mescoliamo questioni sociali e sanità andiamo incontro a una situazione di difficile gestione.
Come pensa che dovrebbero intervenire le Regioni che hanno gravi deficit sanitari?
Non c’è niente da inventare, basta rispettare i canoni del Piano sanitario nazionale. Bisogna avere la forza di andare sul territorio, spiegare ai cittadini che occorre non tagliare ma fare delle riconversioni, adeguando la realtà attuale ospedalocentrica alle esigenze del territorio. Il cittadino vuole i servizi, non gli interessa sapere in che modo vengono erogati: noi per quarant’anni abbiamo concentrato i servizi presso gli ospedali, ma ora questa logica non ha più senso e molti servizi possono essere spostati sul territorio. In Veneto, ad esempio, abbiamo fatto un accordo con i medici di medicina generale, che ci porterà a tenere aperti gli studi anche il sabato, a gestire i codici bianchi attraverso le Utap. E poi abbiamo attivato strutture a bassa intensità, country hospital, che rispondono ai bisogni dei cittadini ma costano molto meno delle degenze ospedaliere per acuti.
Per le Regioni il prossimo appuntamento è il riparto della mobilità interregionale che vale all’incirca 1,3 miliardi. Il tema è all’ordine del giorno della Conferenza delle Regioni di giovedì prossimo, 5 maggio: accordo già fatto o c’è ancora da trattare?
Proprio ieri si è riunita la Conferenza tecnica tra i direttori generali. In discussione c’è soprattutto l’appropriatezza dei Drg ad alta complessità.
Le Regioni del Sud lamentano, in sostanza, il fatto che loro “in casa” hanno regole stringenti imposte dai Piani di rientro, ma poi si trovano a pagare prestazioni erogate altrove quasi a pie’ di lista.
Noi in Veneto i controlli li facciamo e anche per i Drg ad alto rischio di inappropriatezza c’è uno scarto piccolissimo o nullo, ma d’altra parte non possiamo nemmeno permetterci di andare sotto la Tuc (tariffa unica concordata), che già non è remunerativa. Il bilancio è duro per tutti, e io non mi sento di far pagare ai cittadini veneti quello che non hanno consumato loro. In questo problema credo che dovremo coinvolgere anche il ministero, con funzioni di garanzia. E comunque, sia per quanto riguarda il riparto sia per quanto riguarda la mobilità, non dimentichiamo che a breve ci saranno i costi standard.
Come si intrecceranno i costi standard al riparto, secondo lei?
È inevitabile che i costi standard intervengono a definire le quote di finanziamento erogate a ciascuna Regione, perché una penna costerà la stessa cifra a Roma, a Torino o a Verona. Sarà via via l’abbandono dei costi storici.
Non tutti interpretano i n questo senso il decreto.
In ogni caso si prendono delle Regioni benchmark, da cinque si arriva a tre, e da lì si stabiliscono i costi standard e questi vanno a comporre il riparto.
All’indomani del riparto si è parlato di un incremento del fondo veneto di 600 milioni…
No, il nostro incremento è intorno ai 300 milioni e di questo sono assolutamente soddisfatto. Proprio venerdì scorso abbiamo chiuso il bilancio della sanità veneta del 2010 con un saldo positivo di 12 milioni, siamo riusciti ad avere una buona risposta nel riparto nazionale, abbiamo già fatto il riparto regionale.
Come mai avete fatto il riparto regionale in anticipo su quello nazionale?
Abbiamo preferito dire ai Direttori Generali qual era la somma che avevano a disposizione, per consentire loro di pianificare. Anche perché vogliamo gestire la sanità in modo manageriale: con gli obiettivi del pubblico ma con una gestione tesa a monitorare giorno per giorno il livello della spesa. Contando molto sulle possibilità dell’informatizzazione. Attraverso l’informatizzazione dobbiamo arrivare alla trasparenza delle liste d’attesa, al fascicolo sanitario che possa essere prelevabile da qualsiasi punto della rete sanitaria regionale, alle prenotazioni attraverso il Cup. Già oggi gli esiti degli esami di laboratorio vengono inviati via internet in buona parte della regione, entro il 2012 dovremmo avere anche l’anagrafe e il fascicolo elettronico. Tutte soluzioni che fanno risparmiare la sanità, i cittadini e riducono gli spostamenti inutili.
E.A.
RUSSO: "LE REGIONI DEL SUD DEBBONO RICONQUISTARE UN RUOLO CENTRALE. E PER FARLO DOBBIAMO FARE SQUADRA"
Appare soddisfatto Massimo Russo, l’Assessore alla Sanità della Sicilia, protagonista di una battaglia durissima nella sua Regione per rimettere a posto i conti della sanità. La partita del riparto ha ancora una volta penalizzato il Sud in termini di trasferimenti pro capite ma, ci dice: “per la prima volta si è concretizzata la necessità di resettare i criteri di riparto già dal prossimo anno tenendo anche conto delle condizioni ambientali, demografiche, sociali ed economiche”.
Assessore Russo l’accordo sul riparto del Fondo sanitario nazionale 2011 è stato raggiunto sul filo di lana e con non poche tensioni. Il fronte regionale sembrava, infatti, irrimediabilmente spaccato, con le regioni del Nord e quelle del Sud arroccate sulle proprie posizioni. Ma alla fine ha vinto la solidarietà.
In termini di “sofferenza” questo riparto non è stato molto dissimile da quelli degli ultimi tre anni. Fino alla fine, l’accordo sembrava essere lontano, ma poi riusciamo sempre a trovare il bandolo della matassa e raggiungere un punto di equilibrio. Però quest’anno c’è stata una grande novità. Per la prima volta le regioni del Sud sono arrivate all’appuntamento sui grandi temi quali riparto, mobilità, organizzazione sanitaria con una loro strategia ben precisa. È emersa con evidenza la presenza di interessi comuni: abbiamo fatto squadra per sdoganarci da un passato di inefficienze e sprechi e promuovere al meglio i nostri sistemi sanitari rispetto agli interessi contrapposti delle altre Regioni.
Eppure, se poniamo a confronto quanto vi spetterebbe pro capite rispetto a quanto è stato assegnato al Sud con la correzione della popolazione pesata, emerge un gap di quasi 700 milioni di euro a danno del Mezzogiorno rispetto al Nord e al Centro Italia …
Non c’è dubbio. Il criterio della quota capitaria secca dovrebbe essere quello principale, mitigato solo da indicatori di prevalenza epidemiologica delle malattie. Ma così non è, e il criterio dell’età della popolazione ha fin ora giocato un ruolo di primo piano. Quindi tutto questo ha sicuramente contribuito a spostare nell’ultimo decennio miliardi di euro al Nord. Ecco perché quest’anno abbiamo condotto con determinazione la battaglia per introdurre il criterio della deprivazione sociale. Un parametro che deve essere tenuto in considerazione, in quanto è scientificamente acclarato che alla deprivazione è correlato l’incremento di alcune patologie. E una testimonianza concreta di ciò ce l’ha fornita lo stesso Stato italiano che ha creato l’Istituto nazionale per il contrasto delle malattie delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà.
D’accordo, ma di fatto l’accordo sulla deprivazione non c’è stato e ha continuato a prevalere il solo indicatore della popolazione pesata per età…
Questo è accaduto soprattutto perché non siamo riusciti a sciogliere il nodo su quali dovessero essere gli indici per misurare il costo delle prestazioni nei territori dove è maggiore l’indice di povertà. Nonostante ciò, abbiamo però raggiunto un accordo politico importante: per la prima volta si è concretizzata la necessità di resettare i criteri di riparto ed è stato dato incarico all’Agenas e ai singoli organi tecnici delle Regioni di formulare nuovi parametri già dal prossimo anno che tengano anche conto delle condizioni ambientali, demografiche, sociali ed economiche.
Rimane poi ancora da chiudere l’accordo sulla mobilità che potrebbe non favorire le realtà del Sud alla luce della migrazione dei pazienti verso le strutture del Nord Italia. Cosa prevede?
Su questo tema ci stiamo impegnando per realizzare politiche atte ad abbattere la mobilità extra regionale. Ci stiamo quindi muovendo su due fronti: da una parte ci stiamo impegnando per ripristinare il rapporto fiduciario con i nostri pazienti offrendo loro le alternative che oggi trovano al Nord, e dall’altra stiamo anche ragionando in maniera razionale, così come abbiamo fatto in Sicilia, sulle prestazioni che sono erogate al Nord: esistono criteri opportunistici che vanno bloccati. Proporremo quindi che gli stessi criteri che applichiamo alle case di cura private per la valutazione dell’inappropriatezza valgano anche per le prestazioni erogate al di fuori della Regione di residenza. Senza contare che persistono anche problemi giuridici che è bene vengano affrontati, una volta per tutte, in maniera seria e rigorosa.
Cioè?
Si accontenti di questo. Le dico solo che stiamo lavorando per risolverli.
In attesa di svelare il mistero, passiamo oltre. In ogni caso l’ultimo testo del decreto sul federalismo regionale e i costi standard sanitari prevede che tra le Regioni benchmark ve ne sia comunque una del Sud. Quale potrebbe essere a suo avviso?
Sono convinto che le regioni del Sud, nel loro complesso, debbano riconquistare un ruolo centrale. La Sicilia, insieme alla Sardegna, è comunque una Regione a statuto speciale che godrà di spazi autonomi per l’applicazione dei costi standard avviando una sorta di negoziato “one to one” nell’ambito della Commissione paritetica. Detto questo, colgo però l’occasione per candidare sin d’ora la Sicilia come una delle prossime Regioni benchmark. Un obiettivo che, alla luce dell’assetto normativo esistente, potremmo raggiungere entro un triennio. Già entro il prossimo anno dovremmo infatti essere in grado di conseguire il pareggio di bilancio: già nel 2011 chiuderemo con un disavanzo di appena 80-90 milioni di euro. Ma non è solo una questione economica. La Sicilia, prima tra le Regioni meridionali, ha intrapreso un processo di riforma. Abbiamo fatto “saltare” dodici aziende sulle ventinove esistenti, riorganizzato e riqualificato il sistema, tagliato oltre 3mila posti letto, riconvertito i piccoli ospedali, creato un modello alternativo sul territorio. Siamo intervenuti sulla farmaceutica, sull’acquisito di beni e servizi: con le gare centralizzate abbiamo ottenuto un risparmio del 20-30 per cento.
C’è ancora un ultimo nodo da sciogliere: il Governo dovrà mettere sul piatto delle Regioni altri 486,50 milioni di euro per scongiurare il pagamento dei ticket sulle prestazioni specialistiche,come promesso nel Patto per la Salute. È fiducioso?
Mi aspetto che il Governo rispetti quanto concordato con le Regioni. Ma non sono in grado di dire come e quando arriverà questa risposta. Spero solo che gli impegni assunti siano mantenuti.
E.M.
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