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Martedì 29 MARZO 2016
Slow Medicine e la choosing wisely. Un nuovo “salva vita Beghelli”?
Slow Medicine ci dice che oggi la choosing wisely è la nuova verità, che esiste un vasto movimento internazionale, che è una svolta culturale, che per la medicina è straordinariamente innovativa bla...bla. Ma questo film l’ho già visto, almeno tre volte
Non so se sentirmi lusingato o altro ma è la seconda volta che al povero editorialista si risponde scomodando addirittura dei consigli direttivi o dei comitati scientifici. Troppa grazia Sant’Antonio. Roba grossa e ufficiale.
Prima è avvenuto con “Allineare sanità e salute” (Qs 9 marzo 2016) alla quale la signorilità dialettica non fa difetto e discute con grande correttezza le tesi che pur non condivide. Ammutolendo se la discussione si fa impegnativa.
Recentemente con Slow Medicine che senza nessuna signorilità risponde:
· contra homine liquidandomi come un ignorante cioè come colui che non si documenta quindi ignora e di conseguenza non sa cosa dice,
· ma purtroppo senza misurarsi (argumentum pro subiecta materia) con le questioni di merito da me sollevate (Qs 21 marzo 2016).
Questo trattamento di favore da parte di Slow Medicine, mi ha lasciato molto perplesso ma siccome per un pragmatista vale sempre il “principio del norcino” (del porco non si butta via niente) vorrei tentare un chiarimento ma, se permettete, solo dopo aver chiarito un paio di cosette .
Il direttivo di Slow Medicine a ben guardare non scrive neanche un articolo, cioè non cerca il confronto, ma scrive una nota che non si capisce se sia un comunicato di condanna per lesa maestà o un depliant pubblicitario di choosing wisely o non so che altro. L’impressione è di avere a che fare con qualcuno molto permaloso e molto presuntuoso che esclude a priori la possibilità che io abbia letto i documenti e proprio per questo che abbia delle cose da dire magari equivocando. Per il direttivo di Slow Medicine questo è impossibile. L’unica “evidenza” che conta è la mia ignoranza.
Eppure l’editorialista ignorante aveva nel suo piccolo sottolineato anzitempo l’importanza della choosing wisely inquadrandola nei problemi di welfare degli USA e indicandola addirittura come strada alternativa all’appropriatezza ministeriale (Qs 26 febbraio 2016). E poi appellare i super eroi di Slow Medicine “affettuosamente “come dei “lineaguidari” e dei “proceduralisti” (Qs 14 marzo 2016 riga 66) era un omaggio alla loro tradizione scientifica che proprio perché scientifica è sempre stata verificazionista, evidenzialista e proceduralista.
Per cui non si capisce né la reprimenda né a chi è diretta la lezioncina propagandistica sulla choosing wisely . L’editorialista vi starà pure sui calli ma in genere vi assicuro sa di cosa si parla.
Se poi Slow Medicine, oltre che riservarmi delle attenzioni contra homine, mi vuole spiegare se l’incontro fatale con choosing wisely ha rappresentato per lei una rottura paradigmatica con la sua visione scientifica ben venga. Anzi complimenti....era ora. Anche se e spero proprio che non vi offendiate.. in tutta sincerità ci credo poco. Cambiano le sigle, le associazioni, gli slogan, le verità di riferimento, i maitre a pensér, ma ho l’impressione che voi non cambiate mai. Anche come slow dancers l’abitudine di insegnare al mondo come deve girare non l’avete persa per niente
Leggo nel vostro statuto che vi proponete come una “associazione di promozione sociale...che persegue il fine esclusivo della solidarietà sociale, umana, civile, culturale e di ricerca etica” (art. 1) e che il nobile scopo che perseguite è “sviluppare e diffondere la cultura di una sanità sobria, rispettosa e giusta”(art. 4). Ne deduco dal momento che la parola “scienza” non compare mai che non vi proponete come una società scientifica.
Ora è più chiaro il carattere predicatorio dei vostri slogan (fare di più non vuol dire fare meglio, cure appropriate e di buona qualità per tutti, medicina giusta e rispettosa ecc). Ma, dal momento che non è chiarita nessuna discontinuità paradigmatica, ne deduco anche che voi, come dicevo prima, siete sempre voi.. o no? Cioè Siquas Vrq (Società Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria-VRQ) questa volta una società scientifica la cui mission è “ fare ricerca, validare, diffondere i modelli, gli strumenti, le tecniche, i metodi per progettare, organizzare, valutare e migliorare la Qualità e la Sicurezza dell’Assistenza Sanitaria”.
In sostanza voi siete coloro che non prescrivono ma raccomandano linee guida (le famose “raccomandazioni”) cioè coloro che basano le loro verità o raccomandazioni sui “metodi di dimostrata efficacia” cioè quelli che valutano servendosi di “criteri standard e riconosciuti”.
Per me, come ho scritto negli articoli sui lineaguidari, raccomandare linea guida non è disdicevole per cui francamente non capisco come possiate sentirvi offesi se qualcuno vi considera “con affetto” dei “lineaguidari “, quando lo siete sempre stati e secondo me ancora lo siete fino al midollo. Vi segnalo che, a parte i vostri statuti, ho quanto serve per dimostrarvelo. Cioè le “evidenze” come direste voi non mancano.
Ma in fin dei conti cosa vuol dire questa terribile ingiuria? Non siete certo figli di cento albumi come potrebbe sembrare dal vostro inesausto eclettismo di facciata, ma siete figli legittimi del circolo di Vienna (1920) come tutta la medicina scientifica, cioè siete come la stragrande maggioranza dei medici dei neopositivisti solo che, a differenza di costoro, siete convinti di essere migliori cioè di avere delle verità veramente vere.
Vi assicuro che “neopositivisti” non è una parolaccia. Al neopositivismo, variamente definito, dobbiamo lo sviluppo del concetto di scienza e come dicevo ancora adesso è alla base della concezione scientifica della medicina. Il neopositivismo, compreso il vostro anche se ritenuto da voi superiore, ha solo un difetto: con il tempo si è invecchiato e davanti al cambiamento del mondo e alle sue ben note complessità, ha tirato fuori tante di quelle magagne da consigliarne un ripensamento. Quel ripensamento che voi avete evitato sviluppando invece i caratteri più scientisti del neopositivismo quelli che voi riassumete quando dite “metodi di dimostrata efficacia” e “criteri standard e riconosciuti”.
Essere neopositivisti per voi significa semplicemente quello che come Siquas avete sempre sostenuto:
· la verità è solo strettamente scientifica ed è tale solo se verificata da un metodo,
· una cosa è giusta solo se rispetta una procedura di verità comprovata da criteri standard indipendentemente dal risultato.
Tutto qui. Dove è l’offesa? Al contrario se qualcuno dicesse a me “sei un lineaguidaro neopositivista” io che per necessità riformatrici non lo sono mai stato, dovrei chiarire (mai insultare contra homine) che per me è proprio la struttura razionale della concezione neopositivista di scienza il problema da risolvere per riformare la medicina.
Per necessità riformatrice, cioè per trovare delle soluzioni alla crisi profonda della medicina, mi sono formato ad un’altra scuola e da convinto pragmatista post positivista credo di aver dimostrato ampiamente che il neopositivismo in medicina fa acqua da tutte le parti, facendomi un mazzo tanto, guarda caso in nome della “scelta”, della “relazione”, della “ragionevolezza”, “dell’esigente” della “complessità” della “compossibilità” della “singolarità” ecc.
La mia ultima fatica non a caso si chiama “La complessità che cura” (2015). State tranquilli se non l’avete letto non ve ne farò una colpa e meno che mai vi accuserò di essere degli ignoranti.
Il nodo cruciale che presto, per la gioia di Slow Medicine, sarà oggetto di una nuova pubblicazione, per me resta la riforma della clinica intesa come una particolare forma di razionalità neopositivista. La clinica come è insegnata nelle università è epistemicamente un modo di conoscere la malattia datato. Oggi abbiamo a che fare con l’esigente, la complessità, l’economicismo, le linee guida, il contenzioso legale, la medicina difensiva, la singolarità, ecc, in una parola abbiamo a che fare con una super-complessità.
La clinica con la super-complessità ha dei problemi per cui va ricontestualizzata pragmaticamente oltre il neopositivismo cioè nel mondo reale. Diversamente dai lineaguidari io non credo che la soluzione sia a neopositivismo clinico invariante quella di guidare la clinica con delle raccomandazioni o con un metodo rigoroso o con dei decreti per l’appropriatezza, cioè mettere la clinica sotto la tutela.
Non credo che il neopositivismo per quanto rigoroso possa riformare il neopositivismo e meno che mai che sia credibile che esista un neopositivismo razionale da contrapporre ad un presunto neopositivismo irrazionale come mi pare vogliono fare tutti i lineaguidari compreso Slow Medicine alias Siquas Vrq.
Il neopositivismo in medicina ha dato moltissimo, ha una sua razionalità che non va buttata alle ortiche e che oggi funziona meno di ieri e che per questa ragione si deve aggiustare. Punto. Per fare questa riforma ho proposto di seguire alcuni principi post-positivisti, pragmatici a relativismo contenuto, cioè ho proposto una razionalità ragionevole che ormai molto tempo prima che venisse fuori dal cilindro di Slow Medicine , la choosing wisely ho definito “medicina della scelta”.
Siccome ci stiamo chiarendo è bene che si sappia che la “medicina della scelta” quella che voi amanti degli anglicismi, definireste “choose based medicine” per me, navigatore solitario, è stata la risposta ai neopositivisti della sanità che non volevano saperne di ripensarsi di cui Slow Medicine al tempo Siquas-Vrq, faceva parte e che culminò con la legge 229/99 .
In questa legge di riforma il nucleo verificazionista, evidenzialista e proceduralista del neopositivismo proceduralista anziché essere riformato perché il mondo era cambiato fu reso obbligatorio e sanzionabile (Art. 15-decies, Obbligo di appropriatezza).
La dimostrazione è che in tutti questi anni vi siete ben guardati dall’aprire un confronto con la “medicina della scelta”, cioè con chi, pur in minoranza, voi che dite di rispettate le minoranze, tentava la strada del ripensamento della clinica, avete fatto di tutto per emarginarlo, tenerlo fuori dai piedi, insultarlo perfino quando scherzando vi definì “evidenziatori” come i pennarelli fosforescenti .
In tanti anni, (non potrò mai dimenticarlo) sono stato invitato a un vostro congresso una sola volta (Assisi 2006) ma solo perché all’epoca ero consigliere del ministro della Salute, ma non a parlare di “medicina della scelta” ma a commemorare Andrea Alesini uno dei nostri compagni di gioventù quando cioè eravamo certi di essere dei rivoluzionari.
Quel congresso, tanto per cambiare, si concluse con nuove raccomandazioni quella volta sull’audit clinico il cui postulato chiarito dal documento conclusivo era: “fornire raccomandazioni evidence-based e non opinion-based”. Che è uno dei postulati guida dei lineaguidari.
Ma il tempo come si dice è galantuomo e la “medicina della scelta” rispunta come “choosing wisely”. E ora magari stufi di andare a lumache incontrate la “scelta” e la “relazione” e da irriducibili neopositivisti, venite a dire a me che sono ignorante?
Beh… per rispetto a questo giornale gli insulti in rigoroso romanesco me li tengo nel gargarozzo, ma rivendico il diritto di incazzarmi.
Dopodiché cerchiamo di fare uno sforzo per capirci meglio se è possibile.
Voi ci dite che oggi la choosing wisely....è la nuova verità, che esiste un vasto movimento internazionale, che è una svolta culturale, che per la medicina è straordinariamente innovativa bla...bla. A me da editorialista ignorante questo film, seguendo tutta la vostra storia, l’ho già visto tre volte e questo è capitato curiosamente quasi ogni circa 10 anni :
· la prima volta quando negli anni ‘80 avete incontrato Donabiedan quindi la qualità, cioè quando con il verificazionismo (VRQ) volevate salvare la sanità dall’arbitrio dei medici.
· la seconda volta quando negli anni ‘90 avete incontrato Sackettcioè l’evidenza quale unica verità rivelata (ebm) alla quale sottomettere la clinica e gli atti medici.
· e la terza volta nel 2000 e rotti avete incontrato Carlo Petrini cioè lo Slow Food e avete cominciato ad andare a lumache facendo le prediche sulla sobrietà quella che in epistemologia chiamiamo ragionevolezza.
· la quarta volta ora, quando quasi 10 anni dopo (2012) avete incontrato la choosing wisely scoprendo improvvisamente il valore della scelta e della relazione e del dialogo che sono alcuni dei valori postpositivisti.
E tutte le volte la stessa storia: movimento internazionale, svolta culturale, nuova verità bla ...bla ecc . Ma tutte le volte anche delle musate clamorose. Che fine ha fatto la qualità? Eppure era talmente una svolta che abbiamo messo in piedi servizi, metodologie, formato persone, speso soldi. Che fine ha fatto l’empowerment con il quale abbiamo riempito i convegni? Che fine ha fatto l’ebm ridimensionata nelle sue pretese metafisiche dalle sue tante eccezioni e contraddizioni nei confronti del malato complesso e non solo?
E a me povero editorialista che...
· mi sono beccato tutti gli sputacchi di voi “evidenziatori” perché non ho mai creduto nei dogmatismi dell’evidenza...(La medicina della scelta 2000),
· ho studiato e continuo a studiare ma sul serio, la complessa questione della “scelta” e della “relazione”(La clinica e la relazione 2004). Mica crederete che sia una passeggiata?
· non mi sono mai bevuto la vostra idea positivista di qualità (La qualità della qualità, in “il pensiero debole della sanità” 2008),
· che lavoro da mille anni sul rapporto difficile tra razionalità e ragionevolezza ”(una filosofia per la medicina, razionalità clinica tra attualità e ragionevolezza 2011).
Ripeto....a me ...povero editorialista....date dell’ignorante? E cosa dovrei dire di chi pensa di rifondare la medicina andando per lumache? Ma lasciamo perdere l’incazzatura e facciamoci delle domande.
In fin dei conti voi di Slow Medicine ci state proponendo un nuovo “salva vita Beghelli”. Ma come si fa a non dare un’altra musata? A evitare che sia un’altra moda? Come probabilmente sarà la medicina narrativa o il risck management?
Tre domande:
· la prima impertinente è: perché mai dovremmo credere che grazie a voi neopositivisti la choosing wesely salverà il mondo quando non siete riusciti a salvarlo da neopositivisti con la verificazione di qualità, con l’evidenzialismo statistico-epidemiologico quindi le linee guida e meno che mai con la sobrietà?
· la seconda pertinente è: perché mai le mode culturali in sanità durano al massimo un decennio e come mai queste presunte svolte culturali a neopositivismo invariante alla fine si rivelano effimere e la medicina continua ad andare sempre peggio?
· la terza seria è: abbiamo bisogno di riformare la medicina perché il mondo è cambiato da un pezzo e perché abbiamo un mucchio di problemi, cosa cambiare e come si fa?
La mia risposta dopo tanti anni di ricerche di studi, di pubblicazioni, è la seguente:
· evitando la superficialità e le scorciatoie perché si tratta di riformare un paradigma scientifico neopositivista ,quello clinico, e questo non si fa né con le mode né con le lumache né con le lettere al direttore,
· misurandosi con le inadeguatezze ormai vistose e innegabili della razionalità neopositivista che è alla base della medicina,
· accettando la sfida profonda della complessità e del cambiamento quella che mette in crisi ogni tipo vecchio e nuovo di scientismo e accettando quindi più tipi di razionalità più tipi di verità trovando il modo di renderle compossibili,
· altre cose che per brevità non cito.
Amici slow neopositivisti ...quindi non si tratta:
· di ridipingere la casa per appigionarla meglio come avete fatto in tutti questi anni cambiando ogni 10 anni pennello, ma di riformarla sul serio a partire dalle sue fondamenta per poi riformare il modello base di formazione e tirare fuori una nuova idea di medicina di malato e di operatore di salute,
· di andare a lumache ma di reinventare pragmaticamente il concetto di cura in questa società riconfermando l’anima ippocratica della nostra medicina quindi ripensando la relazione tra il malato e l’operatore quali autori della cura e facendo della relazione non un modo per convincere i malati a non farsi esami inutili, ma un modo nuovo di conoscere e fare clinica (clinica relazionale).
Io a questa impresa straordinaria, cioè alla grande riforma culturale mai fatta e che avremmo dovuto fare per inverare la riforma del ‘78, ci sto lavorando praticamente da sempre e per questo pretendo quanto meno rispetto ma non quello banalmente della buona educazione perché non ho bisogno del vostro sussiego, ma quello culturale pro subiecta materia perché quello che conta per me siccome le cose vanno davvero male è costruire un pensiero che adempia all’impresa riformatrice.
Oggi voi slow dancers vi appellate al dialogo e alla condivisone, parlate di scelta, di relazione. Vi assicuro in tutta onestà che arrivate, anche se benvenuti, tardi e secondo me anche poco preparati per cui l’impressione che ho leggendo i vostri documenti ancora una volta è che non vi sia una elaborazione degna di una vera svolta culturale e che pure questa volta c’è il rischio di toppare.. magari fra 10 anni.
Ecco perché ho scritto quello che immagino più dell’appellativo lineaguidari vi ha dato fastidio e che convintamente ribadisco:
“La choosing wisely,sia chiaro a paradigma medico epistemologicamente invariante, resta un importante indirizzo di razionalizzazione... ma la sua declinazione slow...mi sembra un modo nuovo per dire cose vecchie. Sia chiaro, essa resta cosa buona e giusta, ma per me non risolve le aporie pesanti del verificazionismo” (Qs 14 marzo 2016).
In conclusione. Ho come l’impressione che comunque stiamo facendo a sassate tra orbi, cioè tra gente che in ogni caso con le proprie diversità culturali, è dalla stessa parte. Penso che se davvero vogliamo difendere la medicina pubblica, si debba aprire un confronto e una discussione riformatrice seria levandoci dalla testa che qualcuno di noi ce l’ha più “evidente” più “rigoroso” più “verificato” dell’altro.
Io non ho “direttivi ” con i quali tappare la bocca a qualcuno, e meno che mai voglio tappare la bocca a qualcuno, mai contra homine, sono solo un editorialista ignorante con delle idee e un lungo lavoro alle spalle quello che voi ed altri non avete ancora fatto e che può farvi comodo.
Si faccia una festa e ognuno di noi porti quello che ha nel frigidaire, le proprie idee, le proprie scoperte, le proprie ricerche e anche le proprie sconfitte perché se non impariamo dalla nostra storia, la storia che ci piacerebbe fare non la faremo mai.
Ivan Cavicchi
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