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Martedì 08 MARZO 2016
Riforma Ordini. Quel ddl che mette a rischio la nostra autonomia 



Gentile Direttore,
mentre in Senato si sta discutendo del cosiddetto Ddl Lorenzin che prevede tra l'altro anche il riordino delle Professioni sanitarie, vorrei condividere alcune osservazioni a margine di un'altra Proposta di Legge, la 1229 sul riordino degli Ordini professionali sanitari presentata qualche tempo fa dall'onorevole Donata Lenzi, capogruppo del Pd in Commissione Affari Sociali della Camera.
 
Gli Ordini professionali sanitari hanno storicamente avuto il riconoscimento di una loro specialità distintiva a livello normativo in relazione alla delicata funzione settoriale di vigilanza e controllo investenti l’esercizio professionale degli iscritti, che per tale, abbraccia aspetti e compiti ausiliari e concorrenti aventi evidenti riflessi sulla salute pubblica.

L’esercizio deontologico della professione esige il rispetto di canoni prestazionali qualificanti investenti la stessa sicurezza del cittadino-paziente sin dal momento e livello propositivo/informativo del contenuto pubblicitario che, al momento dell’erogazione della prestazione professionale, è soggetto ai compiti di vigilanza e controllo dell’Ordine professionale di appartenenza del professionista o della struttura sanitaria.
 
I compiti di vigilanza e controllo e la possibilità di intervenire localmente con prossimità, se non con immediatezza, costituiscono il fulcro dell’efficacia concreta e lo stesso senso dei compiti affidati in via legislativa agli Ordini sanitari, tanto che la recente generale legislazione di riforma degli Ordini professionali ha riconosciuto, sullo specifico punto, una specificità tale da escludere che ad essi andasse applicata la nuova strutturazione organizzativa dei procedimenti disciplinari, articolata in distinti organismi accentrati in via regionale e distinti dagli Ordini provinciali, che divenivano unicamente collettori e veicolatori di istanze disciplinari pervenutegli dall’utenza.

Si pensi al fatto che nel settore sanitario anche una informazione pubblicitaria sbagliata, anche solo in termini dell’essere smaccatamente improntata alla promozione consumistica tout-court di un intervento sanitario, può rappresentare un pericolo concreto per la salute con aspetti ben diversi dalla informazione resa da altre professioni.

E’ importante sottolineare come non sia un caso che il Legislatore, che ha recentemente dettato le linee di riforma delle professioni, abbia specificamente escluso l’applicabilità del regime di scorporo della funzione disciplinare dagli Ordini delle professioni sanitarie, per la quale “resta confermata la normativa vigente” (art. 3 comma 5 lett. f) D.L.13/08/2011 n. 138 e art. 8 D.P.R. 07.08.2012 n. 137).

E’ altrettanto importante notare che per gli altri Ordini la struttura disciplinare è stata legislativamente prevista attraverso articolazioni regionali, e non già accentrate in un (lontano) organismo nazionale.

Non constano casi in cui gli Ordini siano deprivati di fatto delle funzioni di vigilanza sul decoro professionale o siano assoggettati a poteri di Indirizzo, coordinamento, ed addirittura verifica da parte della Federazione Nazionale.
 
Per gli Avvocati, ad esempio, il potere centrale di “coordinamento ed indirizzo” (diverso dall’ “indirizzo e coordinamento” perché invertendo i fattori il prodotto – diversamente che in matematica - cambia) risulta non generale e finalizzato al “rendere omogenee le condizioni di esercizio della professione e di accesso alla stessa”).

L’Ordine professionale – soprattutto sanitario, come ha già mostrato di intendere il Legislatore della riforma – ha un senso se localizzato e dotato di compiti di vigilanza di controllo ed esercizio della funzione disciplinare, così come articolato dal Legislatore istituente del 1946, tutt’ora di stretta sorprendente attualità.

La legge istitutiva risulta articolata ed incentrata sugli Ordini Provinciali, sul carattere autonomo degli stessi nel rispetto delle specificità ed articolazioni territoriali e la centralizzazione era ed è qualificata dal termine “riunione”: “Gli Ordini sono riuniti in Federazione…” a sottolinearne il mantenimento di un tratto soggettivo distintivo, o quando definisce i compiti e poteri della Federazione nazionale nei confronti degli Ordini “di promozione e coordinamento” a significare una attività non impositiva ma di primaria stimolazione ed acquisizione di consenso da parte degli Ordini stessi preliminare alla funzione del coordinamento. Anche ora il termine risulta usato dalla c.d. PDL Lorenzin, ma praticamente svuotato del significato originario.

L’articolato della PDL Lenzi, al di là della primaria preoccupazione di conferire nuove case ordinistiche alle varie professioni emergenti risulta di fatto perseguire un progetto di “centralizzazione democratica” annientante di fatto l’articolazione locale ordinistica, svuotata di ogni compito di rilevanza ed incidenza in ambito territoriale se non la tenuta “notarile” degli albi.

Tra i compiti già individuati ed affidati agli ordini dalla legge istitutiva, che ne facevano anche punto di riferimento degli iscritti, nessun riferimento viene oggi effettuato a competenze di vigilanza, verifica, disciplina.

L’art. 3 si spinge arditamente ad individuare il potere principe del nuovo Ordine che è sì la vigilanza sul decoro ed indipendenza dell’Ordine, ma di una indipendenza di fatto ceduta all’organismo federativo centralizzato che indirizza, coordina, verifica che l’autonomia e l’indipendenza sia corrispondente ai dettami della centralizzazione, esercente in via centralizzata la funzione disciplinare degli Ordini e dei loro iscritti.
 
Il tutto condito da una previsione di scioglimento (art. 4) per una causa ben specifica per la sua estrema genericità: “quando non sono in grado di funzionare regolarmente”, che risulta legittimo pensare al fatto di “quando non si conformano agli atti di indirizzo, coordinamento, verifica” centralizzati.
 
L’attività ordinistica si risolverebbe, oggi, da soggetti di propositività locali a semplici “esecutori” delle determinazioni dell’organismo federativo centrale, così come sostanziati all’art. 3 comma 2, che recita: “Alle Commissioni di Albo spettano le seguenti attribuzioni: A)…. B) …… C) dare esecuzione ai provvedimenti disciplinari nei confronti di tutti gli iscritti

Appare del tutto emblematica la disposizione di sbarramento riguardante la candidabilità a componente del primo Consiglio Direttivo della nuova era di entrata in vigore del progetto di legge.
Testualmente: art. 2 comma 8 “…..In sede di prima applicazione non possono essere eletti i candidati i componenti del Consiglio Direttivo che abbiano già svolto tale incarico per più di dieci anni”.
 
E’ evidente il carattere semplicemente epurativo di una ben individuata rappresentanza di pregressa radicazione territoriale.
Il carattere epurativo risulta evidente dal fatto che dopo l’eventuale entrata in vigore della PDL Lenzi in parola un consigliere, di nuova nomina o anche se pregressamente ha ricoperto la carica per nove o dieci anni, potrà ricoprire la stessa carica nel nuovo regime per altri, dieci, venti, trent’anni.
 
Chi ha ricoperto la carica per undici anni è quindi marchiato a fuoco, non può candidarsi. Arbitrario, inaccettabile ed insostenibile rispetto a qualsiasi ricorso giurisdizionale in materia.
 
Arbitraria, inaccettabile ed insostenibile anche la disposizione sull’accorpamento di ordini territoriali in caso di mancato raggiungimento del quorum di votanti del 30%, tradizionalmente difficile da conseguire in molte realtà locali, rispetto ad una previgente disciplina che in seconda votazione non prevedeva sbarramenti del genere.
 
L’accorpamento di varie provincie altro non farebbe che acuire il problema partecipativo elettivo, generando, per converso problemi di gestione e governabilità di realtà ordinistiche di diventata incontrollata estensione e consistenza.
 
Quanto alle nuove professioni ordinistiche non risulta comprensibile il disposto dell’art. 1 comma 5 per il quale ai novelli Ordini degli infermieri, ostetriche, tecnici di radiologia “si applicano le disposizioni del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 sttembre 1946, n. 233.”
 
La PDL Lenzi interviene per deprivare della disciplina legislativa in parola gli ordini sanitari e lo conferisce alle nuove professioni sanitarie? La paradossalità indica che non può essere possibile ma è anche indice di un certo approccio di malcelato ed ingiustificato revanchismo nei confronti delle tradizionali professioni ordinistiche sanitarie.
 
Risultano infine del tutto condivisibili le osservazioni specificamente ed analiticamente rese dal Presidente di Parma Dott. Muzzetto, nella riunione informale di un gruppo di Ordini recentemente riunitosi a Bologna, soprattutto circa la mancanza di organicità sistemica dell’articolato legislativo, occorrendo distinguere in sezioni in due capi distinti, in relazione alla specificità delle vecchie e nuove professioni ordinistiche.
 
Nell’ambito della sezione ordinistica medico-odontoiatrica si potrebbe non perdere l’occasione per meglio specificare i caratteri di autonomia delle rispettive rappresentanze di Albo, pur “riunite” ordinisticamente.
 
In definitiva un’azione propositiva a salvaguardia dell’indipendenza ordinistica non dovrebbe abdicare ai propri compiti in sede locale per una centralizzazione vanificante l’efficacia d’azione così come enucleata dalla lungimiranza del Legislatore costituente del 1946 e così come confermata, nella sua specificità distintiva dal Legislatore della Riforma del 2011 e 2012, che ha specificamente escluso gli ordini sanitari da una decentrazione espungitiva dei compiti di controllo e verifica e valutativo-disciplinari nei confronti dei professionisti e delle STP iscritte.

Giancarlo Pizza
Presidente OMCeO Provincia di Bologna

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