quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Giovedì 03 MARZO 2016
Trigliceridi elevati: la genetica dimostra che aumentano il rischio di infarto
Il New England Journal of Medicine pubblica due ricerche originali e un editoriale su un nuovo fattore di rischio per malattie cardiovascolari: l’ipertrigliceridemia. I portatori di una mutazione inattivante dell’ANGPTL4, proteina inibente la lipoprotein lipasi, l’enzima ‘frantuma-trigliceridi’, presentano bassi livelli di trigliceridi, alte concentrazioni di HDL e soprattutto sembrano protetti dalle malattie delle coronarie.
Elevati livelli di colesterolo LDL nel sangue rappresentano un fattore di rischio importante e accertato da tempo per le malattie cardiovascolari. Molto più controversa è l’importanza giocata in quest’ambito dai bassi livelli di HDL e dalle elevate concentrazioni di trigliceridi. Ma almeno per quanto riguarda quest’ultimo punto, due articoli pubblicati online first sul New England Journal of Medicine, forniscono nuove prove sul ruolo causale dei trigliceridi nelle malattie cardiovascolari.
Sono studi di genetica portati avanti da due gruppi di ricerca indipendenti. Il primo, condotto da Nathan O. Stitziel e colleghi del Myocardial Infarction Genetics and CARDIoGRAM Exome Consortia, ha analizzato oltre 54 mila varianti di sequenze codificanti relative a 13.715 geni in oltre 72 mila pazienti coronaropatici, confrontandoli con 120 mila controlli.
Nel secondo studio, Frederick E. Dewey e colleghi del Regeneron Genetics Center (USA) hanno sequenziato gli esoni del gene codificante l’angiopoietin-like-4 (ANGPTL4) da campioni ottenuti da circa 43 mila soggetti partecipanti allo studio di genetica umana DiscovEHR.
I due gruppi di ricerca sono giunti in maniera indipendente allo stesso risultato, riscontrando che la presenza di una mutazione inattivante (E40K) dell’ANGPTL4 si associa a bassi livelli di trigliceridi e ad elevate concentrazioni di HDL nel plasma.
L’ANGPTL4 è un inibitore della lipoprotein lipasi, l’enzima che catabolizza i trigliceridi plasmatici nei capillari di cuore, muscolo e grasso. Una serie di ricerche hanno dimostrato che l’ ANGPTL4 orchestra il processamento delle lipoproteine ricche di trigliceridi in condizioni fisiologiche, quali digiuno, attività fisica ed esposizione al freddo.
Già in passato era stato dimostrato che la mutazione E40K fosse in grado di arrivare quasi a privare la ANGPTL4 della sua capacità di inibire la lipoprotein lipasi.
Questi nuovi studi aggiungono però a queste conoscenze acquisite da tempo un dato molto importante e cioè che i portatori della mutazione E40K e di altre rare mutazioni dell’ANGPTL4 presentano un rischio di coronaropatia inferiore rispetto ai non portatori; un risultato questo da attribuire verosimilmente ai bassi livelli di trigliceridi e all’elevato livello di HDL caratteristici dei portatori della mutazione inattivante.
“Questi risultati – commenta in un editoriale pubblicato sullo stesso numero di New England Journal of Medicine, Sander Kersten, Division of Human Nutrition, Wageningen University, Wageningen (Olanda) -oltre a confermare i risultati delle ricerche precedenti, confermano, anche con prove genetiche, che un’elevata concentrazione di trigliceridi aumenta il rischio di cardiopatia ischemica”. Questo suggerisce che ridurre i livelli di trigliceridi, potrebbe rappresentare un modo inedito per ridurre il rischio di coronaropatia. In quest’ottica ed estremizzando il ragionamento, anche l’inattivazione dell’ANGPTL4 si profila dunque come un possibile target terapeutico nella lotta alla cardiopatia ischemica.
E per provare questa ipotesi, il gruppo di Dewey ha somministrato a topi e scimmie un anticorpo anti-Angptl4, in grado di bloccare l’inibizione della lipoprotein lipasi operata da Angptl4. Iniezioni periodiche di questo anticorpo hanno in effetti prodotto negli animali una riduzione dei trigliceridi plasmatici.
L’editorialista invita tuttavia alla riflessione e getta acqua sul fuoco dell’ entusiasmo, ricordando come in due studi animali precedenti, l’inattivazione di Angptl4 nei topi nutriti con una dieta ricca di grassi saturi ha causato la comparsa di un ascite chiloso letale, preceduto da ingrossamento dei linfonodi mesenterici e da una grave forma di infiammazione. Anche nello studio di Dewey peraltro, i linfonodi mesenterici di topi e scimmie trattati con gli anticorpi anti-ANGPTL4 hanno mostrato problemi simili.
Queste alterazioni non si riscontrano invece nei portatori ‘spontanei’ delle mutazioni inattivanti ANGPTL4, ma di certo invitano a riflettere prima di gettarsi nella febbre dell’oro delle terapie anti-ANGPTL4.
Le statine e ancor più i nuovi biologici anti-PCKS9 rappresentano farmaci molto efficaci nel correggere l’eccesso di LDL circolanti, ma di certo molto resta ancora da fare per ridurre il rischio residuo delle malattie cardiovascolari, killer di primo piano sia per gli uomini che per le donne. E dopo aver tentato con alterne fortune la strada delle HDL, forse è arrivato il momento di focalizzare l’attenzione sui trigliceridi e su nuove strade terapeutiche contro le dislipidemie. Sempre però con la dovuta prudenza.
Maria Rita Montebelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA