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Lunedì 29 FEBBRAIO 2016
Gli infermieri e la fattoria di Orwell
L’Ipasvi oggi appare in tutte le sue espressioni prigioniera dell’Ipasvi. In questo clima non mi meraviglia che gli anti eroi, come il giovane presidente del collegio di Pescara, perseguito per via amministrativa cadano sul campo
Un paio di settimane fa ho letto la lettera di Gian Luca Del Poeta “Ipasvi Pescara. Io, fatto fuori perché volevo cambiare le cose” (QS19 febbraio 2016).
E’ la storia effimera, perché durata poco, di una esperienza diversa di direzione di un collegio da parte di un infermiere giovane non organico al quadro dirigente che “governa” l’Ipasvi da un paio di decenni, e caduto un po’ maldestramente sul campo come un anti eroe a causa degli espedienti più diversi.
Su questa vicenda ho letto anche la risposta un po’ scontata di Irene Rosini che da quello che ho capito ha comprensibilmente il dente avvelenato perché è quella che ha perso le ultime elezioni al collegio (QS 27 febbraio 2016).
Non intendo entrare nei dettagli della vicenda anche se la sua documentazione meriterebbe una attenta valutazione ma non posso non sottolineare il ruolo del ministero della Salute che quale autorità garante a mio avviso in modo molto frettoloso l’ha liquidata con un commissariamento, quindi vanificando delle libere elezioni, e le cui motivazioni ufficiali mi sono parse eccessivamente laconiche e sommarie.
La questione è delicata perché sia mai “l’autorità terza” fosse condizionata da atteggiamenti preconcetti riconducibili a lotte di potere interne all’Ipasvi, avremmo a che fare con una distorsione istituzionale. Per cui ricorrendo all’epochè suggerisco al ministro Lorenzin di buttarci un occhio.
L’occasione però è buona per riprendere una riflessione interrotta da molto tempo sulla professione degli infermieri che dopo il rutilante 2014 (incompatibilità, trasparenza, linciaggi, eretici bruciati in piazza, guerre per le competenze, ecc.) nonostante un promettente cambio di presidenza in casa Ipasvi, è piombata nell’oblio, tagliata fuori dalle grandi questioni sul tappeto e disconfermata sulle proprie strategie da imbarazzanti errori e da brucianti sconfitte...ma senza che nessuno mai facesse autocritica o fosse invitato a farsi da parte.
Riflettendo sul rutilante 2014 e sul per niente rutilante 2015, mi sono venuti in mente due episodi che voglio raccontare:
· ll primo è il mio unico incontro casuale con Barbara Mangiacavalli da presidente Ipasvi, (la presidente con il gatto mammone sulla spalla. QS 12 ottobre 2015)) ad un convegno nel quale dopo i saluti formali chiesi “allora Barbara che dici ce la facciamo una chiacchierata”. Stentorea e imbarazzata la sua risposta: “..ma ..vediamo.. è un periodo difficile...gli impegni in agenda sono tanti...”.
· Il secondo è il convegno estivo di Pugnochiuso, considerato almeno dai suoi promotori una palestra di libero pensiero, nel quale ho assistito ad una relazione lunghissima con la quale veniva letteralmente saccheggiato senza alcun imbarazzo il libro curato da Chiara D’Angelo (“Il riformatore e l’infermiere. Il dovere del dissenso) ma senza mai citare la curatrice e nemmeno l’autore delle idee saccheggiate...come se tutto fosse partorito genialmente in quel momento ex capite Jovis.
Questi due episodi si prestano bene a raffigurare due forme diverse ma complementari di indisponibilità:
· quella istituzionale di una certa Ipasvi a discutere,
· quella del protagonismo personale di un’altra certa Ipasvi.
Entrambi esprimono bene secondo me le difficoltà dialettiche dell’Ipasvi cioè:
· di un pensiero senza pensiero,
· che avrebbe bisogno di un pensiero,
· ma non vuole un altro pensiero tra i piedi.
L’Ipasvi oggi appare in tutte le sue espressioni prigioniera dell’Ipasvi. E’ come in un pollaio dove la gallina che non fa uova, per non apparire infeconda decide di far fuori tutte quelle che le fanno. Quindi la “gallina” innanzi tutto e se le uova non ci sono più che problema c’è? Come esiste l’uva senza semi esiste la gallina senza uova.
Ma l’infecondità autoreferenziale dell’ipasvi costa cara perché è pagata con la post ausiliarietà, il demansionamento, lo sfruttamento crescente di una professione nella sua interezza.
Ora mi rendo conto che passare dai gatti alle galline fa molto Orwell (la fattoria degli animali) e immaginare una gallina con in groppa un gatto è puro surrealismo. Ma il problema di fondo su cui non mi stancherò mai di insistere è che più di 400.000 infermieri sono da decenni esattamente nella posizione di Siringhino, l’infermiere che nella favola pubblicata su “infermieristicamente” ha un grande ampolla magica (il profilo professionale) ma che a causa delle galline infeconde e dei gatti mammoni continua a perdere i suoi poteri portentosi.
In questo clima non mi meraviglia che gli anti eroi come il giovane presidente del collegio di Pescara perseguito per via amministrativa, prima di tutto dalla sua Federazione nazionale e quindi commissariato dal ministero, cadano sul campo.
E neanche mi meravigliano le parole quasi minacciose di Irene Rosini che nell’invitare il suo rivale a rivolgersi alle “sedi competenti” cioè all’Ipasvi aggiunge “ci troverà lì, serenamente pronti a rispondere per poi chiedere a nostra volta conto delle sue accuse”.
Come non mi meraviglia che l’Ipasvi consideri la conferenze stampa fatta da Del Poeta per denunciare in modo trasparente la situazione del suo collegio come un reato perseguibile con provvedimenti disciplinari. Insomma passa il tempo, cambiano i presidenti ma il vizio di bruciare gli eretici in piazza resta.
Ora gli eretici, a parte il povero Del Poeta, sono 400.000 e siccome molti di costoro tutti i giorni senza mai saltarne uno, fanno i tappabuchi a tutti e a tutto penso che sia tempo di riprendere a discutere di infernieri, anche se l’agenda della seconda presidente dell’Ipasvi è piena di impegni .
Ivan Cavicchi
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