quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Mercoledì 24 FEBBRAIO 2016
Camera. De Filippo risponde su carenza personale sanitario e inserimento fibromialgia nei Lea
La stabilità 2016 ha previsto uno specifico percorso di programmazione regionale dei fabbisogni del personale, avviando procedure concorsuali straordinarie, Le Regioni dal 1° gennaio 2016 potranno inoltre ricorrere a forme di lavoro flessibile. Per il Css la fibromialgia è una patologia cronica, invalidante solo in alcuni casi e non necessariamente permanente. Non vi sono le condizioni per il suo inserimento nell'elenco delle malattie invalidanti.
Il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, è intervenuto ieri in commissione Affari Sociali alla Camera per rispondere a due interrogazioni. La prima, presentata da Walter Rizzetto (Misto), riguardava le iniziative per fronteggiare la carenza di personale sanitario. De Filippo ha spiegato che la legge di stabilità 2016 ha previsto uno specifico percorso di programmazione regionale dei fabbisogni del personale, allo scopo di consentire l'indizione di procedure concorsuali straordinarie per far fronte alle esigenze emerse. Questa procedure “verranno in parte riservate ai lavoratori precari già operanti nel settore della sanità”. In caso di necessità, le Regioni dal 1° gennaio 2016 possono ricorrere a forme di lavoro flessibile fino al termine ultimo del 31 ottobre 2016.
Questa la risposta integrale di De Filippo: “La direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ha inteso disciplinare l'organizzazione dell'orario di lavoro, coordinando le disposizioni contenute nella direttiva 1993/104/CE con quelle della direttiva 2000/34/CE. Il nostro Paese ha recepito tale disciplina normativa con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, entrato in vigore il 29 aprile 2003, il quale, nel regolamentare l'articolazione dell'orario di lavoro, dètta principi in materia di riposi, ferie, lavoro notturno e straordinario. Tali disposizioni trovano applicazione sia per i dipendenti privati che per quelli pubblici, quindi anche per il personale del comparto sanità. In particolare, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 66 del 2003, garantisce ai lavoratori il diritto ad undici ore di riposo consecutivo nel corso di ogni periodo di 24 ore; mentre l'articolo 4 fissa in 48 ore, comprese le prestazioni straordinarie, la durata massima settimanale dell'orario di lavoro. La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ha introdotto una prima deroga al decreto legislativo n. 66 del 2003, riguardante il riposo del personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del servizio sanitario nazionale. L'articolo 41, comma 13, del decreto- legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha apportato una seconda deroga relativamente al limite massimo dell'orario di lavoro settimanale. Dette deroghe hanno determinato, nel 2012, l'avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, per contrasto della normativa italiana concernente l'orario di lavoro dei medici e del personale del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale con la normativa comunitaria.
Le giustificazioni presentate nelle sedi comunitarie dal Governo italiano non sono state ritenute sufficienti per porre termine alla procedura di infrazione; per cui, negli ambiti della legge 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-bis), si è resa necessaria l'introduzione dell'articolo 14, norma finalizzata ad abrogare le disposizioni oggetto dell'attenzione della Commissione europea. Peraltro, al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l'abrogazione di tali disposizioni è stata differita di un anno, con l'obiettivo di consentire alle regioni di avviare specifiche procedure di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi, anche tenendo conto della riorganizzazione della rete ospedaliera prevista dall'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012. Inoltre, è stata rinviata ai contratti collettivi nazionali di lavoro del settore la disciplina delle eventuali deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio Sanitario Nazionale, nel rispetto dei limiti previsti dalle norme europee.
A tal riguardo, il Comitato di settore in data 4 novembre 2015 ha approvato un apposito atto di indirizzo, al fine di individuare, nell'ambito della contrattazione collettiva, le eventuali deroghe e le connesse misure rivolte a consentire il pieno recupero psicofisico del personale interessato. Nel contempo, per consentire alle aziende sanitarie di superare le difficoltà nell'organizzazione dei servizi e nell'erogazione delle prestazioni ai pazienti, tenuto conto che le limitazioni al «turn over» introdotte negli ultimi anni hanno comportato disagi nel Servizio Sanitario Nazionale, la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) all'articolo 1, commi 541 e seguenti, ha previsto uno specifico percorso di programmazione regionale dei fabbisogni del personale, allo scopo di consentire l'indizione di procedure concorsuali straordinarie nel periodo 2016-2017, onde far fronte alle esigenze emerse. Dette procedure verranno in parte riservate ai lavoratori precari già operanti nel settore della sanità.
Nelle more della predisposizione e della verifica dei piani inerenti al fabbisogno del personale, le regioni, dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 luglio 2016, laddove emergano criticità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possono ricorrere a forme di lavoro flessibile, nel rispetto della normativa vigente in materia sanitaria, e quindi anche delle disposizioni che contemplano il contenimento del costo del personale ed i piani di rientro. Se al termine di detto periodo dovessero permanere condizioni di criticità, i contratti di lavoro attivati potranno essere prorogati fino al termine massimo del 31 ottobre 2016. Queste misure consentiranno alle regioni di verificare i reali fabbisogni del personale, nonché di fronteggiare le criticità derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro. In effetti, una nuova, ulteriore deroga alla disciplina comunitaria, anche se parziale o temporanea, avrebbe generato contenzioso sia a livello comunitario, con la probabile apertura di una seconda procedura di infrazione, sia a livello nazionale, dal momento che molti professionisti sanitari hanno già avviato azioni legali nei confronti dello Stato italiano per i danni lamentati a causa della violazione della disciplina europea sull'orario di lavoro. Per completezza, rammento anche la misura introdotta ai sensi dell'articolo 4-bis del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, per fronteggiare le carenze delle figure professionali sanitarie segnalate dalle regioni in piano di rientro. In tali regioni, infatti, il blocco del «turn-over» del personale «può essere disapplicato, nel limite del 15 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, qualora i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino (...) il raggiungimento, anche parziale, degli obiettivi previsti nei piani medesimi”.
Rizzetto, replicando, si è dichiarato non del tutto soddisfatto della risposta, stigmatizzando il fatto che sia necessaria l'apertura di una procedura di infrazione in sede europea per cercare di trovare una soluzione alle carenze di personale sanitario. Esprime, inoltre, perplessità sull'uso di forme di lavoro flessibile in campo sanitario previsto fino al mese di ottobre 2016. Segnala, inoltre, che in molte situazioni non si è proceduto ad un regolare pagamento delle ore di straordinario effettuate dal personale sanitario per garantire la piena operatività delle strutture ospedaliere.
E’ stato poi il turno di Paola Boldrini (Pd) e della sua interrogazione sull’inserimento della fibromialgia nei livelli essenziali di assistenza. De Filippo ha sottolineato come gli assistiti possano già usufruire di tutte le prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza, erogabili per il tramite delle strutture del Servizio sanitario nazionale. Il sottosegretario spiegando come, secondo il parere del Consiglio superiore di sanità, la fibromialgia venga considerata come patologia cronica, invalidante solo in alcuni casi, non necessariamente permanente, “il Ministero della salute ritiene che non vi siano, al momento attuale, le condizioni per l'inserimento della fibromialgia nell'elenco delle malattie invalidanti”.
Questa la risposta integrale di De Filippo: “Da molti anni il Ministero della salute sta approfondendo i vari aspetti della fibromialgia e le problematiche ad essa connesse, coinvolgendo società scientifiche ed esperti e esaminando tutte le informazioni disponibili. Infatti, la fibromialgia è oggetto di un numero crescente di richieste di piena tutela sanitaria, e di iniziative rivolte a consentire l'inserimento di questa patologia nei livelli essenziali di assistenza. A tal riguardo, segnalo che gli assistiti possono già usufruire di tutte le prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza, erogabili per il tramite delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Inoltre, già nel 2011, questo Ministero ha ritenuto opportuno presentare al Consiglio Superiore di Sanità (C.S.S.) una richiesta di parere sulla fibromialgia. In esito a tale richiesta, la Sezione II del Consiglio ha espresso il parere in data 20 settembre 2011.
Detta richiesta di parere al C.S.S. ha riguardato la «Sindrome da Fatica Cronica (CFS) e la Fibromialgia», in merito a:
a) criteri diagnostici sufficientemente chiari, e condivisi all'interno della comunità scientifica, che consentano di distinguere le forme più gravi di CFS e di Fibromialgia;
b) esistenza di protocolli terapeutici che identifichino prestazioni sanitarie effettivamente appropriate ed efficaci, che il Servizio Sanitario Nazionale possa offrire gratuitamente a coloro che ne sono affetti;
c) stime attendibili sul numero delle persone interessate, per valutare l'impatto economico delle eventuali misure da intraprendere.
Il Gruppo di lavoro istituito nell'ambito della Sezione II ha elaborato due distinti documenti, parte integrante del parere, sui quali la stessa Sezione ha espresso parere favorevole, ed ha proposto che:
«i documenti summenzionati costituiscano la base di lavoro per una Consensus Conference da promuovere, al più presto, presso il Consiglio Superiore di Sanità, con il contributo di Istituzioni e Società Scientifiche in ambito neurologico, reumatologico, psichiatrico, internistico ed immunologico, al fine di sviluppare un consenso aggiornato sulla “definizione di caso”, su criteri diagnostici oggettivi ed omogenei, che renda possibile distinguere le condizioni cliniche a seconda della gravità».
Tuttavia, tale Consensus Conference non ha avuto luogo durante il periodo di vigenza del C.S.S. che l'ha proposta; si ritiene che ciò sia avvenuto anche in relazione al fatto che, successivamente, si sono resi disponibili nuovi criteri – 2010 Modified Criteria (ModCr 2011) e i nuovi criteri 2013 Alternative Criteria (AltCr) – rispetto ai precedenti criteri del 1990.
Pertanto, questo Ministero ha formulato un'ulteriore richiesta di parere da sottoporre al C.S.S., specificamente rivolta alle seguenti questioni:
1. «se esista consenso sui nuovi criteri diagnostici, e se questi siano in grado di individuare i pazienti con forme cliniche corrispondenti ai criteri di gravità ed invalidità previsti dalla normativa (decreto legislativo n. 124 del 1998);
2. se esista consenso sulla individuazione di prestazioni di specialistica ambulatoriale appropriate per il monitoraggio e la prevenzione delle complicanze e degli eventuali aggravamenti, con particolare riferimento alle forme cliniche più gravi (così come definite al punto 1);
3. se, alla luce degli ultimi dati di prevalenza nel nostro Paese (0,5 per cento negli uomini e 3,5 per cento nelle donne), sia possibile stimare il numero di pazienti affetti da forme gravi ed invalidanti di fibromialgia, al fine di effettuare una corretta valutazione dell'impatto economico legato all'eventuale inserimento della fibromialgia tra le patologie oggetto di tutela».
L'istruttoria ha visto l'istituzione, in seno alla Sezione I, di un Gruppo di lavoro, che ha approfondito gli aspetti tecnico-scientifici ed organizzativi della tematica. Detto Gruppo di lavoro ha prodotto un documento, allegato come parte integrante al parere, sul quale la Sezione I si è espressa sui singoli punti come segue:
punto 1. «Esistono i criteri diagnostici, ma non validati, per individuare forme gravi ed invalidanti. Non vi sono, invece, criteri per le forme pediatriche. Tuttavia l'identificazione dei criteri necessari per individuare le forme più gravi ed invalidanti deve far parte della research agenda che dovrebbero definire i cut-off utilizzando i criteri appropriati per 12 mesi dello Short Form-Health Survey».
punto 2. «Esiste un consenso diffuso tra i Reumatologi sulle prestazioni specialistiche da effettuare per individuare le forme più complicate e più gravi (per esempio forme ad impronta psichiatrica)».
punto 3. «È possibile pensare che tra 1.5 e 2 per cento della popolazione ne sia affetta (circa 900.000 persone)».
Il C.S.S. ha evidenziato, inoltre, altri punti:
identificando come specialista di riferimento il Reumatologo e l'utilità di segnalare ai medici di Medicina Generale la necessità di una maggiore attenzione sulle problematiche della fibromialgia e di indirizzare i pazienti verso gli specialisti reumatologi;
individuando ed elencando come appropriate talune prestazioni da erogare;
definendo la malattia, in merito alla possibilità di inclusione della fibromialgia tra le malattie soggette a tutela ai sensi del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, come cronica, invalidante solo in alcuni casi, non necessariamente permanente;
segnalando la necessità di attendere che siano definiti i cut-off attraverso studi idonei.
Nel parere reso in data 14 settembre 2015, la Sezione I del Consiglio ha proposto che lo studio della definizione dei cut-off potrebbe essere svolto dal Gruppo di lavoro sulla «fibromialgia» della stessa Sezione I, integrato con ulteriori esperti delle principali e maggiormente rappresentative Associazioni dei pazienti, ed ha auspicato l'attribuzione del Codice identificativo di malattia, perché questo consentirebbe un'incisiva riduzione di consulenze, esami e prestazioni inappropriate da parte di altre figure professionali, nonché prospettato il riconoscimento di un'esenzione minima di almeno 24 mesi.
Pertanto, tenuto conto che il citato parere considera la fibromialgia come cronica, invalidante solo in alcuni casi, non necessariamente permanente, e che è necessario attendere che siano definiti i cut-off attraverso studi idonei, il Ministero della salute ritiene che non vi siano, al momento attuale, le condizioni per l'inserimento della fibromialgia nell'elenco delle malattie croniche allegato al decreto ministeriale n. 329 del 1999”.
Boldrini, replicando, ha evidenziato che si sarebbe aspettata maggiori risultati dall'attività del gruppo di lavoro costituito presso il Consiglio superiore di sanità. Ricorda che in alcune situazioni – Provincie di Trento e Bolzano, Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia – si forniscono risposte concrete ai malati di fibromialgia, osservando che purtroppo ciò non accade nell'intero territorio nazionale. In conclusione, ribadisce la difficile situazione in cui si trovano le persone affette da tale patologia, anche in ragione dell'onerosità dei farmaci.
© RIPRODUZIONE RISERVATA