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Venerdì 05 FEBBRAIO 2016
Rems. Gli infermieri lanciano l’allarme sicurezza. Mangiacavallli (Ipasvi): “I nostri professionisti sono mandati allo sbaraglio”

La Federazione denuncia la scarsa sicurezza degli operatori e, di conseguenza, dei pazienti che assistono. “Mancano formazione specifica e tutele contrattuali o di legge che prevedano misure preventive e cautelative del danno”. Mangiacavalli: "Serve subito il rinnovo del contratto"

Poca formazione, scarse tutele contrattuali o di legge e richiesta di funzioni al di fuori dalle proprie competenze. Questo il quadro a tinte fosche dipinto dalla Federazione dei Collegi Ipasvi della situazione professionale degli infermieri che lavorano nelle nuove Rems, la cui piena attuazione, come testimoniato anche dall’ultima Relazione presentata in Parlamento è ancora ben lungi dall’essere conclusa.
 
“I nostri professionisti - commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Ipasvi - sono di fatto mandati allo sbaraglio, senza formazione specifica né tutele contrattuali o di legge che prevedano misure preventive e cautelative del danno. Eppure su di loro, come sui medici al lavoro nelle Rems, ricade la massima parte del lavoro di assistenza. Ma ad esempio, in caso di pericolosità del paziente agitato in queste strutture che spesso ospitano criminali psichiatrici, i professionisti che ci lavorano non possono fare altro che chiamare la pubblica sicurezza che, al contrario delle guardie carcerarie, arriva armata, generando così un ulteriore elemento di rischio”.
 
“In questo nuovo scenario, con il superamento degli Opg e l’attivazione delle Rems - spiega Gennaro Marino, infermiere che dal 1997 è in servizio presso l’Opg di Aversa ed è membro del gruppo di lavoro costituito dalla Federazione Ipasvi a ottobre 2015 per monitorare la governance clinica organizzativa di questi nuovi scenari per la professione Infermieristica - si riscontra una disomogeneità nella programmazione e organizzazione delle strutture, che a mio modo di vedere non è altro che il riflesso delle diverse organizzazioni sanitarie regionali presenti sul territorio nazionale”.
 
Con la chiusura degli Opg, spiega Marino, il magistrato di sorveglianza deve disporre, ogni qualvolta che se ne verifichi la necessità e anche in via provvisoria, l’esecuzione della misura di sicurezza in una struttura diversa dagli ospedali psichiatrici giudiziari. “Tuttavia - aggiunge -  c’è da registrare che in alcuni casi il magistrato dispone ancora ricoveri in Opg (che per Legge dovrebbero già essere chiusi) vuoi perché le Rems non hanno posti liberi, vuoi perché nelle stesse Rems il paziente non è gestibile”.
 
Problema formativo. Per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro nelle Rems, il decreto del 2012 che le ha previste prevede che per una struttura con 20 posti la dotazione di personale deve prevedere: 12 infermieri, 6 Oss, 2 medici psichiatri a tempo pieno con reperibilità notturna e festiva, 1 educatore o tecnico della riabilitazione psichiatrica a tempo pieno, 1 psicologo a tempo pieno, 1 assistente sociale per fasce orarie programmate, 1 amministrativo per fasce orario programmate. Nel turno notturno deve essere garantita la presenza di almeno un infermiere e un Oss e i servizi di sicurezza e vigilanza perimetrale sono attivati sulla base di accordi con le Prefetture di riferimento.
 
“Le aziende sanitarie - aggiunge Marino - hanno reclutato nuovo personale (utilizzando diversi strumenti contrattuali), non tutte però hanno provveduto a formarlo (ma anche quello già in organico). Si tratta soprattutto di infermieri e altri operatori alla prima esperienza lavorativa e/o privi di esperienza in ambito psichiatrico e penitenziario. Infatti molte Regioni e aziende pur di rispettare la tempistica dettata dalle norme hanno disatteso quanto indicato dal decreto, che già prevedeva l'obbligo formativo da parte delle Asl con il supporto del ministero della Giustizia, per il personale dedicato per le Rems. Su questo aspetto, c'è da segnalare una carenza in genere – prosegue - in quanto la formazione di base per gli Infermieri non prevede moduli formativi per il nursing penitenziario e psichiatrico”.
 
“Si tenga presente - chiarisce Marino - che a differenza di altri servizi psichiatrici tipo gli Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura), la presenza h24 del medico psichiatra non è prevista e in caso di emergenza l’Infermiere dovrà attivare una procedura, come da regolamento interno della Rems, compresa quella di chiamare le forze dell’ordine competenti individuate dalla Prefettura, operazioni che allungano i tempi di intervento. Negli ex Opg c’era tutta l’area penitenziaria che si occupava della gestione giudiziaria e amministrativa del paziente/internato, oltre all'espletamento delle competenze della sfera custodiale e della sicurezza, che rappresentava una tutela per il personale sanitario”.
 
Richiesto agli infermieri di svolgere funzioni extra al di fuori delle competenze. Per quanto riguarda il lavoro richiesto agli infermieri, “attualmente - spiega ancora Marino - quelli che operano nelle Rems, oltre alle competenze del proprio ruolo professionale, si trovano gioco forza a dover svolgere anche competenze non loro, che precedentemente negli Opg venivano assolte dalla polizia penitenziaria. Basta pensare all’aspetto della sicurezza interna alle Rems, nelle quali l’infermiere risulta essere l'unico professionista garante della continuità assistenziale: deve salvaguardare la sicurezza dei singoli pazienti, la sua personale, ma anche degli altri operatori; deve provvedere alla presa in consegna degli effetti personali dei pazienti; supervisionare le visite ai pazienti da parte dei familiari perché che non si introducano sostanze proibite o oggetti che possono arrecare danno ad altri; controllare la corrispondenza epistolare e non, che ricevono gli utenti. Inoltre - aggiunge Marino - non tutte queste strutture hanno in organico personale amministrativo, e quindi anche queste competenze di tipo amministrativo-giuridico-sanitario ricadono sull'infermiere. Dal momento dell’apertura delle Rems - conclude - si sono verificate numerose evasioni e molte aggressioni a carico di altri pazienti o del personale stesso. In questi ultimi casi gli autori sono stati denunciati per lesioni e nei casi più gravi di tentato omicidio e il magistrato di sorveglianza ha disposto per loro la detenzione nei reparti psichiatrici in carcere”.
 
Mancano tutele. Le tutele mancano, quindi, anche perché manca un contratto che le preveda e con il passaggio dall’amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale dell’assistenza agli ex internati, è stato messo tutto nelle mani del personale Ssn che nel suo contratto collettivo non ha alcuna previsione per questo tipo di casistica.
 
La tutela del rischio - alto, vista la tipologia di pazienti - è rimasta a totale discrezione delle Regioni , che l’hanno risolta spesso assegnando ad esempio in alcuni casi agli infermieri destinati ai pazienti psichiatrici  le stesse indennità – bassissime: 4 euro l’ora e 15 nei festivi – previste per il personale di servizio nei reparti ad alto rischio: rianimazione, malattie infettive, sala operatoria, dialisi.
 
 
Indispensabile riapertura tavolo rinnovo contratto. Secondo Mangiacavalli “anche questa è una delle ragioni che rendono non solo doverosa, ma indispensabile l’apertura delle trattative per il nuovo contratto, facendo il punto a priori di tutte le norme che dal 2009 (data di scadenza dell’ultimo accordo valido) a oggi, sono intervenute cambiando il panorama dell’assistenza e del lavoro dei professionisti a cui essa è affidata. Inoltre - prosegue - va cambiata anche la formazione, oggi ancora legata a vecchi schemi che non permettono di attuare quel nuovo modello di organizzazione manageriale e clinica proprio di situazioni patologiche  gravi emergenti e di cronicità. Non per niente stiamo insistendo per dare il via ai percorsi formativi specialistici per gli infermieri e non per niente stiamo spiegando quotidianamente che la gestione di strutture multiprofessionali, come sono anche le Rems, deve necessariamente avere una responsabilità trasversale che consenta una visione generale degli interventi, sia, lo ripeto, dal punto di vista manageriale che da quello clinico. Gli infermieri ci sono - conclude - e anche le nostre proposte per far partire questo modello, già approvate anche dalle Regioni. Bisogna fare in fretta però, perché tutto sia omogeneo a livello nazionale e per non lasciare vuoti rispetto a nuove patologie, a nuove cronicità e a nuove esigenze di pazienti che altrimenti restano ‘abbandonati’ sul territorio. E anche dei professionisti che non possono avere le mani legate nella loro attività assistenziale e non debbono correre ulteriori rischi”.

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