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Giovedì 21 GENNAIO 2016
Unioni civili. Livia Turco: “Sì alle stepchild adoption. No all’utero in affitto”
Rispetto ai temi della procreazione e della genitorialità ho maturato l'importanza di tre discrimini valoriali: l'amorevolezza concreta nei confronti delle persone; la coscienza del limite verso le nuove tecniche: non tutto quello che si può si deve fare; la maternità non è un diritto ma l'esercizio di una responsabilità
Mi auguro con tutto il cuore che il Parlamento approvi finalmente la legge sulle Unioni Civili sanando così discriminazioni ed ingiustizie verso persone che hanno il solo torto di amarsi con molta intensità.
Spero sia approvata anche la norma che prevede l'adozione co-parentale (Stepchild adoption), il figlio naturale di uno dei due genitori. Si tratta dell'applicazione di una norma già esistente nel nostro ordinamento, l'articolo 44 della legge sulle adozioni.
Ciò che chiedo al legislatore è di formulare questa norma in modo rigoroso che non dia adito, seppur indirettamente alla pratica dell'utero in affitto. Rispetto ai temi della procreazione, della genitorialità e più in generale sulle questioni che attengono alla vita ed alla morte ho maturato l'importanza di tre discrimini valoriali: l'amorevolezza concreta nei confronti delle persone; la coscienza del limite verso le nuove tecniche: non tutto quello che si può si deve fare; la maternità non è un diritto ma l'esercizio di una responsabilità.
Nelle scelte concrete mi faccio illuminare da questi valori. L'amorevolezza concreta nei confronti delle persone mi induce a guardare con sguardo, mente e cuore, partecipe alle nuove coppie ed ai nuovi genitori che si amano con grande intensità e che crescono con grande amore i propri figli, coppie i cui legami durano nel tempo, sono intensi e suscitano commozione nel vederli.
Perché discriminali, non riconoscerli solo perché gay e lesbiche? Perché non riconoscere a queste coppie la possibilità di adottare il figlio del partner? Il valore della coscienza del limite nei confronti delle nuove tecniche e la consapevolezza che la maternità non è un diritto ma l'esercizio di una responsabilità mi fa dire un no netto, forte, intransigente contro la maternità surrogata o utero in affitto.
Un no netto perché questa pratica stravolge e cancella anni di elaborazione delle donne che si sono liberate dall'idea della maternità come fatto biologistico, del grembo materno come puro contenitore naturale su cui altri potevano decidere, si sono liberate dallo stereotipo della maternità come destino da subire per elaborare invece l'umanità e la bellezza della maternità.
Umanità che inizia proprio dal grembo materno che non è solo grembo fisico ma psichico in cui inizia la relazione tra madre e figlio. Relazione di primaria importanza che nutre il figlio nella sua formazione ma che resterà nel tempo ed accompagnerà la sua crescita. La relazione madre figlio che si forma nel grembo materno è fonte di umanità non solo per la crescita di ciascun figlio ma perché paradigmatica di una visione antropologica., quella che riconosce la centralità delle relazioni umani, che fonda la libertà individuale sul riconoscimento della dipendenza di ciascuna persona dall'altro, per cui la libertà è riconoscimento del legame e della responsabilità che ci unisce all'altro.
Questo vale soprattutto nella procreazione. Mettere al mondo un figlio non è un diritto ma l'esercizio di una responsabilità. Il sacrosanto desiderio ad avere un figlio non può essere esercitato ad ogni costo ma deve tenere conto di come crescerà il figlio. Per questo non bisogna guardare solo alle tecniche che possono offrire la possibilità di una maternità ma a problemi troppo trascurati come la crescita della sterilità dovuta tante volte ad un un orologio sociale che non tiene conto dell'orologio biologico per cui i giovani che non trovano lavoro e non possono essere indipendenti possono scegliere un figlio secondo un tempo sociale che stravolge il tempo biologico.
La bellezza della relazione materna che si forma a partire dal grembo materno è che essa cresce dentro di sé il figlio che è altro da sé, è un altra persona ed il compito genitoriale è insegnare a quel figlio di imparare a stare al mondo in modo autonomo. L'immagine della madre curva sul figlio piccolo che gli insegna a camminare e dunque ad allontanarsi da sé per andare da solo nel mondo è una metafora bellissima dell'etica della maternità. L'etica di una libertà responsabile che elabora il legame di dipendenza dall'altro come parte della a autonomia e libertà individuali . Questa etica della maternità credo costituisca un ingrediente importante di un etica pubblica, di un senso civico, che abbia al centro la cura delle persone e la presa in carico delle persone.
Tutto ciò viene stravolto da una pratica che considera il grembo materno grembo fisico che si può comprare per fare un figlio che sarà separato dalla madre e che la madre cresce nel suo grembo sapendo che tra loro non ci sarà nessuna relazione.
Pratica tanto più degradante e disumana quando questa donna porta in grembo il figlio per combattere la sua condizione di povertà. Non solo cresce un figlio con il quale non avrà nessuna relazione ma lo fa, separandosi per mesi dagli altri figli, dalla famiglia, reclusa in centri ad hoc, con la consapevolezza che ciò che porta in grembo non è parte del suo amore ma un oggetto che gli serve per avere i soldi per continuare a vivere.
Tutto ciò è disumano e noi donne dell'occidente benestante, patria dei diritti umani e dei diritti delle donne, della dignità femminile dovremmo con cuore e mente indignati opporci con tutte le nostra forze. Anche se queste donne sono lontane dal nostra sguardo immediato dovremmo dotarci di una vista più acuta e di un pensiero più lungimirante, avere un cuore più generoso. Per dire no a questa forma barbara di sfruttamento del corpo della donna e di cancellazione della libertà e dignità femminile.
Quando si tratta di dignità umana il mondo non ha confini, e, poi, il mondo è già in casa nostra.
Livia Turco
(Questo articolo è uscito anche su Vita.it)
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