quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Sabato 07 NOVEMBRE 2015
SuPAR: la proteina che prevede l’insufficienza renale

Elevate concentrazioni di questa proteina facilmente dosabile nel sangue, prevedono il declino della funzionalità renale entro i successivi 5 anni e individuano i soggetti a rischio quando si è ancora in tempo per correre ai ripari. Ma il suPAR potrebbe anche diventare un target terapeutico; allo studio un anticorpo monoclonale neutralizzante che si spera possa proteggere i reni dall’attacco del diabete e dell’ipertensione

Vuoi sapere se da qui a 5 anni svilupperai un’alterazione della funzione renale? Da oggi è possibile e basterà una semplice analisi del sangue per stabilire la presenza del rischio. La ricerca, pubblicata sul New England Journal of Medicine online first e presentata in contemporanea al meeting dell’American Society of Nephrology's Kidney Week in corso in questi giorni a San Diego è frutto della collaborazione di alcune tra le più prestigiose università americane, dalla Emory di Atlanta, alla Harvard Medical School di Boston.
 
Il marcatore di rischio di un danno renale prossimo venturo si chiama suPAR (soluble urokinase-type plasminogen activator receptor), una proteina dosabile nel sangue, che è in pratica un prodotto di scarto del sistema immunitario.
 
“La suPAR diventerà per le malattie renali quello che il colesterolo ha rappresentato per le malattie cardiovascolari” afferma deciso Jochen Reiser, autore senior dello studio e  professore di Medicina presso il Rush University Medical Center (Chicago, USA).
 
Avere a disposizione i risultati di questo esame potrà attirare in tempo utile l’attenzione dei medici e dei loro pazienti sul rischio incombente di un danno renale e consentire così di attuare strette misure di prevenzione (miglior controllo della pressione e del diabete, perdita di peso). Il rigoroso studio pubblicato dal New England consegna dunque oggi alla medicina preventiva uno strumento molto importante.
 
Studi condotti in precedenza da Reiser e colleghi avevano suggerito un ruolo causale del suPAR  nella glomerulosclerosi focale e segmentaria. Ma questi nuovi risultati indicano che suPAR riveste un ruolo molto più esteso nel campo delle malattie renali croniche e potrebbe dunque avere importanti implicazioni di salute pubblica.
 
Si stima che negli USA almeno il 15% della popolazione sia affetto da patologie renali croniche; il 4% circa deve ricorrere alla dialisi o ad un trapianto di rene per insufficienza renale terminale. Riuscire ad intercettare una patologia renale in tempo ed attuare importanti misure di prevenzione potrebbe dunque non solo contribuire ad evitare morti premature e a migliorare la qualità di vita, ma anche a tagliare sensibilmente la spesa sanitaria che è decisamente elevata in questo contesto (nel 2012 Medicare ha speso 87 miliardi di dollari per le cure mediche fornite ai pazienti con patologie renali croniche e terminali).
 
Le cause più frequenti di insufficienza renale sono il diabete, l’ipertensione e le glomerulonefriti. L’insufficienza renale cronica è inoltre considerata un killer silenzioso perché i pazienti non si accorgono di essere affetti da questa condizione fino a quando è in uno stadio molto avanzato, quando compaiono una serie di complicanze, soprattutto in ambito cardiologico.
 
Attualmente la funzionalità renale e le sue alterazioni vengono valutate attraverso la stima del filtrato glomerulare (eGFR), che si misura a partire dalla creatininemia, e con la proteinuria. Si tratta di indicatori utili nel monitoraggio di una patologia renale già diagnosticata ma non sufficientemente sensibili nel cogliere le primissime avvisaglie della malattia, né dotati di un valore predittivo relativamente al rischio di sviluppare questa condizione.
 
Lo studio americano dimostra invece che elevati livelli di suPAR hanno un’eccellente capacità predittiva rispetto al rischio di sviluppare insufficienza renale. La ricerca ha interessato 2.292 persone,  tutte sottoposte a calcolo dell’eGFR e al dosaggio del suPAR. Il 41% di quelle con livelli di suPAR superiori a 3.040 ng/ml, in assenza di patologia renale nota (i valori di eGFR risultavano cioè nella norma), nell’arco dei successivi 5 anni ha sviluppato insufficienza renale cronica; per contro, solo il 10% dei soggetti con bassi valori di suPAR all’inizio dello studio, ha sviluppato negli anni successivi questa condizione.
 
“Da oggi abbiamo la possibilità di stratificare i pazienti a seconda del loro rischio di sviluppare o meno una condizione di insufficienza renale, utilizzando i livelli di suPAR” afferma Salim Hayek, primo autore dello studio e ricercatore presso l’Emory Clinical Cardiovascular Research Institute.
La ricerca ha diviso i livelli di suPAR in quattro quartili:
-          Normale: < 2.373 pg/ml
-          Sopra la norma: 2.373-3.030 pg/ml
-          Alto: 3.040 - 4.020 pg/ml
-          Molto alto: > 4.020 pg/ml
 
Per questo studio sono state utilizzate due distinte coorti di pazienti. La prima è la Emory Cardiovascular Biobank che comprende una raccolta enorme di campioni di sangue prelevati da pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco tra il 2003 e il 2009. In questa particolare coorte, i soggetti con livelli di suPAR superiori a 4.020 presentavano una probabilità elevatissima (80%) di sviluppare insufficienza renale nell’arco dei successivi 10 anni.
 
La seconda coorte era rappresentata dalle donne partecipanti al Women's Interagency HIV Study (WIHS); anche in questo caso è stata riscontrata un’associazione significativa tra i livelli di suPAR e il rischio di insufficienza renale, ma meno eclatante che nella prima coorte. La spiegazione più probabile secondo gli autori è che i soggetti della coorte di Emory erano più anziani e a maggior rischio di insufficienza renale rispetto alla coorte di donne del WISH, giovani e senza problemi cardiaci. Dopo aver aggiustato i risultati per la presenza o meno di HIV (che può aumentare i livelli di suPAR) i ricercatori hanno comunque confermato che elevati livelli di suPAR sono predittivi di un futuro declino della funzionalità renale.
 
Ma questa differenza fa riflettere sul fatto che non tutte le coorti presentano lo stesso livello di rischio in base alle concentrazioni di suPAR e che è dunque necessario ripetere lo studio su diverse tipologie di pazienti prima di arrivare a prevedere correttamente il rischio di insufficienza renale nei vari pazienti. Ovviamente poi il rischio che una persona ha di sviluppare insufficienza renale non dipende solo dai valori di suPAR ma anche dalla presenza di altri fattori di rischio, che meritano ulteriori approfondimenti e nuovi studi.
 
 
“Resta comunque il fatto – conclude Quyyumi – che trovare un elevato livello di suPAR rappresenta una pessima notizia per la salute dei reni”. Questo studio ha infatti dimostrato che il suPAR è un predittore di insufficienza renale cronica molto più potente di qualunque altro fattore di rischio noto.
 
Molto interessanti anche i risultati relativi alla popolazione diabetica. Sebbene il diabete sia uno dei fattori di rischio più potenti per il declino della funzionalità renale, solo un paziente su tre sviluppa nefropatia diabetica. “Fino ad oggi nessuno era in grado di prevedere quali pazienti con diabete avrebbero sviluppato questa complicanza – afferma Reiser – Il nostro studio dimostra che tra le persone con diabete, quelle con elevati livelli basali di suPAR  erano a maggior rischio di sviluppare nefropatia. Questo ci aiuterà anche a stratificare il rischio di sviluppare insufficienza renale nelle persone con diabete”.
 
La previsione degli autori è dunque che questo test entrerà prestissimo nella routine clinica, accanto al dosaggio del colesterolo e alla misurazione della pressione arteriosa. Il test è stato utilizzato finora solo a scopo di ricerca e non è ancora stato approvato dalle autorità regolatorie, ma si prevede sia solo questione tempo. Oltre ad essere un indicatore di futura insufficienza renale, il suPAR si eleva anche in corso di sepsi e malattie cardiovascolari. Alcuni ospedali in Europa lo hanno già adottato in pronto soccorso per selezionare i pazienti più gravi.
 
E un’azienda farmaceutica sta già lavorando alla messa a punto di un farmaco in grado di ridurre i livelli di questa proteina. Secondo Reiser a fare questo lavoro potrebbe essere un anticorpo monoclonale iniettabile che legando il suPAR lo vada a neutralizzare. “Questa molecola - sostiene Howard Trachtman, nefrologo pediatra dell’NYU Langone Medical Center e coautore dello studio – potrebbe diventare un target terapeutico per migliorare le condizioni dei pazienti a rischio di insufficienza renale futura. Bloccare il suPAR potrebbe rivelarsi utile alla stessa stregua del blocco del sistema renina-angiotensina, ottenuto con gli ACE-inibitori e i sartani, che sono tra i pochissimi farmaci approvati per il trattamento delle nefropatie croniche”.
 
A rendere ancor più complessa la situazione c’è anche il fatto che esistono diverse forme di suPAR, alcune decisamente più tossiche di altre, come quella implicata nella glomerulosclerosi focale segmentaria, una forma di nefropatia particolarmente aggressiva che può attaccare i reni trapiantati, a volte a distanza di qualche ora dall’intervento e che li riduce in breve in un’enorme cicatrice. “Le diverse forme di suPAR sono altrettanto importanti delle concentrazioni ematiche di questa proteina – spiega Reiser - e questi aspetti andranno approfonditi. Lo studio pubblicato sul NEJM si concentra solo sui livelli ematici totali ma un giorno saremo in grado di differenziare le varie forme di suPAR, un po’ come facciamo  le dperiverse forme di colesterolo, come l’HDL e l’LDL”.
 
Maria Rita Montebelli

© RIPRODUZIONE RISERVATA