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Martedì 20 OTTOBRE 2015
La scommessa degli Stati Generali dei medici: il Governo Clinico nel rispetto della nostra autonomia
Anche se ha perso forza, agibilità e concretezza, in una inerzia legislativa che ha indebolito potenzialità e deluso speranze, il governo clinico si qualifica ancora come un efficace strumento di organizzazione e gestione delle attività di tutela della salute. E in grado di rompere la catena decisionale ancorata alla discrezionalità dei direttori generali di Asl e ospedali
Diversi osservatori ritengono che una delle malattie principali del nostro SSN si chiami governance. La cornice legislativa degli assetti del SSN (Dlgs 502/92, Dlgs 229/99, Lg 3/2001) non ha impedito alla politica di invadere la sfera gestionale della sanità, piegando le esigenze della buona gestione a quelle della cattiva politica, intorno alla quale si sono ramificati interessi clientelari e spartitori, a partire dalle procedure di individuazione dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie fino agli incarichi dirigenziali del “middle management” tecnico professionale, ai quali subordinare il riconoscimento del merito e delle competenze professionali.
Le Aziende sanitarie sono oggi quasi un organismo geneticamente modificato, la cui mission principale, se non unica, è il governo dei costi di produzione attraverso un puro meccanismo di controllo dei fattori di produzione, medici e dirigenti sanitari compresi. E' evidente la lacerazione esistente tra professionisti ed istituzioni sanitarie, arroccati in due universi, diversi e distinti, di valori e di vocazioni che una cultura aziendalista di matrice manifatturiera non è riuscita a saldare o quantomeno a far convergere . In cui le innovazioni culturali, organizzative e gestionali, che pure hanno una loro ragione non eludibile e una loro forza non comprimibile, aggiungono ulteriori incertezze.
Questa cultura di efficientismo gestionale si esprime attraverso un controllo pressoché assoluto dei professionisti, costosi fattori di produzione ma anche generatori di altri costi, ed una catena di poteri e di comando ontologicamente refrattaria ad un diverso modello gestionale, che concretamente intenda coinvolgere i medici e rispettarne autonomia, responsabilità e competenze. Il moderno paradosso del ruolo del medico nelle organizzazioni sanitarie è dato, appunto, dal suo essere considerato tanto piccolo, marginale e magari da amministrare con sanzioni di ogni tipo, quanto essere grande, centrale ed esclusivo nelle sue funzioni di garanzia e di responsabilità sull’efficacia e la sicurezza dell’intero sistema delle cure e nella tutela dei diritti costituzionali da questo protette.
Funzioni che legittimano la autonomia professionale che da sempre rivendichiamo nei confronti di un management economicistico che, per allineare le prestazioni alle risorse sempre più limitate, interpreta e governa i processi clinico assistenziali secondo l'unica cultura di cui dispone, quella dell'ottimizzazione dei costi diretti ed indiretti dei fattori di produzione. Un pensiero unico, fortemente strutturato e tenacemente protetto nella architettura normativa dell'azienda sanitaria, riduce, in sostanza, i professionisti ad anonimi fattori produttivi, programmandone le attività in ragione dei minori costi preventivabili e riconducendo i processi clinico assistenziali ad una sequenza di atti e procedure tecnico professionali.
Ma, “orientare la valutazione degli esiti prioritariamente sulla misura del consumo delle risorse, privilegiare le organizzazioni in ragione della ottimizzazione dei costi rendendo flessibili e trasferibili funzioni e competenze, delimitare gli ambiti di autonomia e discrezionalità nelle scelte dei professionisti perché siano macchine esperte ma "banali", significa rompere la relazione tra autori, processi e cittadini che è centrale nel garantire la qualità, l'efficacia e la stessa compatibilità economica delle attività finalizzate alla tutela della salute” (Amedeo Bianco).
Le Regioni non intendono modificare la catena di comando delle decisioni, comprese quelle che entrano nel core delle pratiche professionali e della selezione del merito e delle competenze. Esse rivendicano come paradigma unico e immutabile, quasi un valore indisponibile, la discrezionalità connessa al principio del rapporto fiduciario con i Direttori Generali, la natura monocratica del management aziendale, vero padrone di persone e cose, la subalternità dell’autonomia tecnico-professionale alle ragioni della gestione economicistica.
Una governance nuova non può che ripartire dal lavoro e da un recupero della autorità sul lavoro da parte di chi il lavoro lo fa. “Chi svolge il lavoro conosce la qualità, il valore, le competenze e le esperienze che servono per svolgerlo al meglio. Il sapere di chi il lavoro lo fa è superiore a tutto” (Anna Buttarelli). Anche perché le condizioni di lavoro, e quelle retributive, non sono mai state peggiori di quanto osservato nell’ultimo decennio, con un evidente disorientamento della categoria, che va accentuandosi con il rischio di degenerare in un processo di delegittimazione. Il cambiamento necessario passa, cioè, per il reclutamento di saperi e competenze professionali sull’obiettivo di “promuovere, mantenere e recuperare la salute fisica e psichica della popolazione”.
In questo contesto, l’idea del governo clinico, nata ormai molti anni fa, mantiene le sue buone ragioni nel prospettare un nuovo modello gestionale capace di reggere la sfida della sostenibilità economica, sociale, etica e tecnico-professionale di un sistema sanitario equo, accessibile ed efficace, attraverso il passaggio, sul piano dell’organizzazione e gestione dei servizi, alla centralità del ruolo delle professioni all’interno delle Aziende Sanitarie.
Anche se ha perso forza, agibilità e concretezza, in una inerzia legislativa che ha indebolito potenzialità e deluso speranze, il governo clinico si qualifica ancora come un efficace strumento di organizzazione e gestione delle attività di tutela della salute, che richiede, però, come condizione pregiudiziale, il riconoscimento e il rispetto di una sfera decisionale fondata su una sostanziale autonomia tecnico professionale dei medici e di tutti i professionisti coinvolti.
La quale deve tradursi in responsabilità professionale e strumenti di governo delle attività sanitarie che non si limitino all’individuazione di organismi che orientino e supportino il management aziendale nelle scelte tecniche (il Consiglio di Direzione, il Consiglio dei Sanitari, il Comitato di Dipartimento) ma elaborino procedure di selezione e verifica delle carriere meno discrezionali ed autoritarie ed arrestino la deriva burocratica verso la quale è oggi sospinta la stessa pratica dell’ appropriatezza clinica. Anche la efficienza e la ottimizzazione dei costi scaturiscono dalla applicazione di conoscenze e valori professionali di diretta derivazione clinica per garantire la qualità e la appropriatezza delle prestazioni erogate ai cittadini.
Un servizio sanitario moderno ha bisogno di tecnocrazie manageriali e professionali, ma anche di consenso sociale. Un diverso equilibrio tra le competenze ed i poteri, politico, manageriale e tecnico professionale, riconoscendo più spazio e più peso alle associazioni di tutela ed ai governi dei territori (municipalità, comuni, consorzi di comuni) nella programmazione e valutazione degli obiettivi e dei risultati di salute, è oggi cruciale nel vincere (o perdere) le due sfide più grandi per il nostro sistema sanitario, quella del consenso dei cittadini e quella della sua sostenibilità economica nella salvaguardia dell'equità e dell’universalismo.
Ma ciò non sarà possibile se i Medici vengono sconfitti nei loro valori etici e deontologici, marginalizzati a macchina banale nelle organizzazioni sanitarie, lasciati da soli a reggere la forbice tra la domanda di salute in crescita e le risorse disponibili in calo. Anche per questo chiediamo attenzione e rispetto per un settore cruciale per la vita dei cittadini e per i professionisti che con esso si identificano.
Questa la posta in gioco oggi. Il 21 ottobre ed oltre.
Costantino Troise
Segretario Nazionale Anaao Assomed
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